venerdì 3 marzo 2006

Bianco, Michele, Religione e filosofia in Hegel.

Milano, Franco Angeli, 2006, pp. p128, € 15,50, ISBN 88-464-7302-7.

Recensione di Lucia Ziglioli – 03/03/2006

Storia della filosofia (idealismo)

«In questo torbido inizio di secolo, scrivere un libro su Hegel, potrebbe allora servire ad attivare la memoria all’uomo comune di ritrovare il punto di vista del pensiero speculativo che non è […] il pensiero che si pone al di sopra delle cose, ma il pensiero che entra, scende in mezzo ad esse, nella cosa stessa, nel processo della sua attuazione» (p. 8).
In queste poche righe introduttive l’autore dichiara l’intento che l’ha mosso alla stesura oggi di un testo su Hegel: promuovere un pensiero che non disconosca il proprio esserci nel mondo, ma che se ne faccia consapevole e che di questo mondo si assuma la responsabilità. Attraverso l’idea di dialettica e filosofia come conciliazione del pensiero con la realtà, Hegel ci può insegnare proprio questo. Religione e filosofia in Hegel insegue, attraverso l’analisi di tre delle coppie fondamentali della riflessione di Hegel (religione-filosofia, pensiero-essere, diritto-libertà) la genesi e i tratti fondamentali della Versöhnung hegeliana.
Nella prima parte del testo l’autore cerca di mostrare il tentativo di Hegel di unificare la religione con la filosofia. Il giovane Hegel ritiene la religione una delle manifestazioni della salute di un popolo: a seconda di come una popolazione si serve di questo strumento, è possibile giudicare di essa. Scrive Bianco: «La religione come strumento d’azione è il solco di lettura della storia per Hegel» (p. 21) e, a questo stadio della riflessione hegeliana, tale strumento è utilizzato per denigrare la stanchezza e la vecchiaia dell’età presente, dominata dal cristianesimo, rispetto alla forza e giovinezza del popolo greco che liberamente esprime il proprio genio nella religione popolare.
Col procedere della riflessione hegeliana Bianco rileva il sorgere di un interesse sempre più storicistico: l’antica religione popolare e il cristianesimo non sono più contrapposti, ma vengono ricondotti al medesimo sviluppo storico: lo sviluppo della società civile.
La religione realizzata si distingue da ciò che essa è nella sua teorizzazione solo razionale perché costretta ad adattarsi ai bisogni della società. Tali considerazioni portano Hegel, da un lato, a rivalutare il cristianesimo nel suo piano filosofico, in quanto in esso è posta la mediazione tra divinità e uomo, tra infinito e finito; dall’altro lato Hegel continua a rifiutare il cristianesimo nella sua realizzazione storica poiché qui esso si è posto come positività, si è scissa la mediazione tra finito ed infinito e l’uomo ha subito Dio come autorità.
Bianco ritiene che Hegel rintracci le cause della positivizzazione del cristianesimo nella storia, o meglio, nell’evoluzione politica delle nazioni; ed è proprio in questa relazione tra universalità dello stato e singolarità del cittadino che è possibile scorgere, secondo Bianco, il motore e il fine della storia hegeliana: la conciliazione del singolo con l’universale.
L’autore rintraccia la successiva tappa dell’elaborazione della concezione hegeliana di religione nel saggio Fede e sapere. Qui Hegel distingue tra fede e religione: la prima è solo la risposta all’alienazione dell’uomo nel mondo reale, la fuga da questo in un al di là; la religione, invece, è il divenire dello spirito cosciente del proprio esserci reale. Pensare la religione come spirito autocosciente significa attribuirle il più alto grado di dignità filosofica e proprio in merito a questo Hegel giungerà, secondo Bianco, ad eguagliare filosofia e religione.
Nelle Lezioni sulla filosofia della religione assistiamo ad una nuova valutazione positiva del Cristianesimo: questo è ora indicato coma la religione assoluta dello Spirito. Bianco ritiene che, da questo momento in poi, Hegel voglia mostrare la coincidenza della religione con la filosofia; il farsi concreto dello spirito, il suo temporalizzarsi, esprimerebbe proprio l’essere uno di Dio e mondo. Scrive Bianco: «lo spirito che si fa concretezza nel suo farsi vivente, chiarisce che cos’è questo spirito, e indica il punto in cui Hegel vuole far coincidere religione e filosofia» (p. 44). La positività della religione, così duramente attaccata negli scritti giovanili di Hegel, trova ora la propria legittimazione logica nella manifestazione dello spirito che, appunto perché vero assoluto, richiede anche il lato della finitezza sensibile. La fede sarebbe, quindi, il momento finito ma necessario della religione assoluta. Hegel eguaglia la religione con la filosofia perché, spiega l’autore, pensa lo spirito come il Dio cristiano.
Nella seconda parte del testo è indagato il compito della filosofia di conciliare pensiero e realtà e il rapporto tra questo compito e la dialettica. Si mostra il movimento della dialettica hegeliana, movimento che non procede unicamente dal pensiero puro, ma che muove dalla “cosa stessa”. La dialettica hegeliana è fondata sul rifiuto di una scissione tra essere e pensiero: la cosa deve superare la particolarità empirica nella quale si mostra immediatamente, per cogliere in sé il movimento concettuale che la pone in rapporto con il suo altro. Il concetto è la verità della cosa in quanto è l’identità dell’universale (il pensiero) con il particolare (la realtà). La dialettica è il motore attraverso il quale la verità viene alla luce: dialettica e filosofia secondo Bianco vengono così a coincidere.
La filosofia muove dal bisogno di unificare pensiero ed essere; questo è stato lo scopo anche della Critica del giudizio kantiana. Hegel riconosce il merito di quest’opera kantiana, ma giudica fallito il suo obbiettivo: Kant non è riuscito ad innalzare l’intelletto soggettivo e limitato alla ragione. Bianco espone quindi i tratti fondamentali della lettura hegeliana di Kant. Ciò che Hegel giudica positivamente della Critica del giudizio kantiana è il tentativo di riconciliare la frattura che Kant stesso ha posto tra mondo sensibile e mondo spirituale: l’idea della bellezza è il luogo indicato da Kant per tale riconciliazione. Hegel giudica però la bellezza una falsa soluzione, perché ancora soggettiva: l’unione di sensibilità ed intelletto è in essa solo estrinseca. Lo schematismo kantiano, quindi, non riuscendo a conciliare la frattura tra pensiero ed essere, lascia ancora sussistere il bisogno della filosofia.
Il contrasto tra Kant ed Hegel è ricondotto dall’autore al divergente modo di fondazione dei concetti: per Kant si tratta di deduzione (Gesetzmässigkeit), per Hegel di posizione (Gesetzsein). La peculiarità della fondazione hegeliana è che il porre è allo stesso tempo porre il concetto e la realtà di un’idea. Con questo duplice movimento fondante, spiega Bianco, Hegel riesce ad uscire dall’impasse di un’obbligata e limitante scelta tra razionalismo ed empirismo: «la Setzung è il divenire del concetto come unità di pensiero ed essere» (p. 79). Bianco avanza la tesi che la Setzung hegeliana possa risolvere il compito di unificazione della filosofia, in quanto unità immediata che conserva però in sé i due momenti della frattura tra concetto e realtà.
Nella Critica del giudizio kantiana il compito del giudizio riflettente è quello di mediare tra sapere deterministico e sapere critico. Hegel però critica il tentativo kantiano, in quanto l’unità ambita da Kant di determinismo e finalismo è solamente postulata, non viene dall’oggetto, ma è una fede del soggetto. In questo modo il sapere degenera in fede: tale, secondo Hegel, è il risultato di una filosofia del dover essere. Bianco ritiene essere la trasformazione kantiana del sapere in fede una scelta consapevole, compiuta da Kant per evitare il “dogmatismo della metafisica”: il dogmatismo è frutto della presunzione dell’uomo di poter risolvere il reale; la natura umana ci porta, invece, a riconoscere l’impossibilità di un sapere assoluto. Così l’autore paragona il rapporto tra ragione kantiana e ragione hegeliana al rapporto tra speranza e realtà: la ragione kantiana mantiene sempre vivo il bisogno della filosofia, bisogno che più che epistemico è pratico, perché rinvia la comprensione della totalità ad un futuro sempre irraggiungibile; Hegel, invece, pone l’idea in un «essere “sostanziato”, l’essere che porta in sé la concretezza del presente» (p. 90).
Bianco non si limita però ad affermare il carattere di presenzialità della filosofia hegeliana, ma sostiene la necessità di vedere accanto alla datità posta del presente il lato dell’alienazione: l’alienazione è ciò che rende possibile, anche nel sistema hegeliano, l’apertura all’altro.
Nella terza e ultima parte del testo l’autore si propone di indicare la conciliazione nella filosofia hegeliana di realtà e di libertà, di mondo naturale, esterno e di mondo pratico, interno.
Si è già detto che il compito della filosofia è la conciliazione tra realtà e ragione: la filosofia è la cosa stessa nel suo disvelarsi. La verità della cosa che la filosofia lascia emergere è una verità completa di tutti gli aspetti del reale, è una verità esteriore, della natura, così come è una verità interiore della moralità.
Bianco rintraccia nei Lineamenti di filosofia del diritto la miglior esplicazione del rapporto tra mondo oggettivo e mondo spirituale. Egli ritiene che nella filosofia del diritto, e solo in essa, compaia quel nesso tanto rincorso di essere e pensiero, perché in questa opera tale nesso si compie su un piano reale e non nella freddezza della forma logica.
La visione hegeliana del reale come intrinsecamente identico al razionale non può non scontrarsi con la visione kantiana del diritto come dovere e della volontà pratica come tensione verso la realizzazione di questo dovere astratto. La volontà di Hegel, spiega Bianco, è la volontà immanente alla realtà nella quale agisce, in essa il volere e il suo oggetto, il suo contenuto determinato, sono uniti. La libertà, che è la volontà realizzata, è pertanto nella presenza del contenuto, non è quella vuota astrazione intesa come “libertà-da” un qualche oggetto ritenuto ostacolo (passioni, stimoli, vincoli ecc.). Il riferimento è chiaramente la libertà ancora astratta del cristianesimo, che è l’espressione della libertà come libertà negativa, come astrazione dal contenuto.
Con la filosofia del diritto Hegel mostra la verità del concetto partendo dal dato stesso, questo è il punto di vista speculativo: «la volontà libera è la volontà che ha in sé concetto e realtà» (p. 117). In questo modo, scrive Bianco, l’attuazione della volontà libera è possibile solo attraverso il superamento della scissione tra soggetto e oggetto: la filosofia pratica è intimamente unita e dipendente dalla filosofia speculativa, interiorità ed esteriorità, morale e natura sono finalmente unite.
L’autore indica il luogo di rottura tra la morale kantiana e quella hegeliana nel rapporto tra volontà individuale e volontà universale: in Kant la volontà individuale è limitata dal volere universale, dal diritto. Il diritto è un compito da realizzare, è un dover essere; nella comunità kantiana le libertà individuali rimangono separate da ciò che deve essere, dall’universale. Questa comunità, nota Bianco, è profondamente differente dalla totalità hegeliana perché in essa il singolo trova la propria realizzazione nell’universale. La volontà, realizzandosi nel mondo, si fa libertà, così la libertà non è più astrazione dal contenuto, fuga nell’al di là, come lo è ancora per la fede, ma è immanente al reale.

Indice

Introduzione
PARTE PRIMA: HEGEL E LA RELIGIONE
Religione popolare e Cristianesimo
Il concetto di “positività”
Fede e sapere
Filosofia e religione nelle “Lezioni sulla filosofia della religione”
PARTE SECONDA: FILOSOFIA E DIALETTICA
Logica e Dialettica
La dialettica come “bisogno della filosofia”
La filosofia di Kant nella critica di Hegel
Il problema della “fondazione” in Kant e Hegel
Il giudizio riflettente teologico nella critica di Hegel e la dualizzazione kantiana della conoscenza
Il Glauben kantiano e il Wissen hegeliano
PARTE TERZA: RAGIONE E LIBERTÀ
Il compito della filosofia secondo Hegel
La dialettica della volontà
La realizzazione dialettica della volontà
La volontà come azione dell’idea etica

L'autore

Michele Bianco (Baselice 1966) è collaboratore delle Cattedre di Filosofia Morale, Bioetica e Etica Sociale nell’Università degli Studi di Bari. Ha conseguito il baccalaureato in Filosofia e in Teleologia presso il Pontificio Ateneo Antonianum di Roma, specializzandosi in Teleologia dogmatica con indirizzo cristologico alla Pontificia Università Gregoriana. Con nomina del Vaticano è perito in re historica et archivistica. Laureatosi in Lettere e Filosofia all’Università di Palermo, ha approfondito i rapporti tra la teologia scolastica e le teologie e filosofie contemporanee, dedicandosi in particolare allo storicismo tedesco. Redattore di «Sintesie», ha pubblicato, tra gli altri, Letture filosofiche. Saggi su Hegel, Sohn-Rethel, Bonaventura e Agostino, Guida, Napoli 2004.

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