mercoledì 12 luglio 2006

Lombardo, Giovanni, La pietra di Eraclea. Tre saggi sulla poetica antica.

Macerata, Quodlibet, 2006, pp. 146, € 18,00, ISBN 88-7462-144-2.

Recensione di Gualtiero Tacchini - 12/07/2006

Estetica (critica letteraria)

Il volume è una raccolta di tre scritti - due già apparsi in rivista, il terzo è ampliamento di una relazione presentata a un congresso - aventi in comune, come sottolinea l’autore nella Premessa, “l’idea della trasposizione, così come essa si manifesta in quelle enunciazioni teoriche della poetica antica che sembrano più prontamente raccordabili al pensiero critico moderno” (p. 7).

Un’antica metafora dell’intertestualità: la pietra di Eraclea mette in rilievo alcune premonizioni greche della moderna teoria dell’intertestualità. Queste premonizioni si riscontrano non solo in epoca alessandrina, ma anche agli inizi stessi della letteratura, in quei modi della produzione e della ricezione che sono propri degli aedi. Ricondurre alcune competenze dei poeti antichi all’odierna nozione dell’intertestualità non è arbitrario, a patto che si ricordi che si tratta sempre di “una competenza polifonica che se, da una parte, lasciava risuonare nella memoria del poeta l’intera tastiera espressiva della tradizione, dall’altra non approdava mai alla disseminazione del senso tipica degli attuali esercizi decostruttivisti” (p. 14). Infatti, autorevoli studiosi, soprattutto Giorgio Pasquali e Gian Biagio Conte, “hanno dimostrato che le tecniche dell’antica ‘arte allusiva’ miravano sempre ad impreziosire la filigrana formale del testo, mai a frantumarla nel pulviscolo in catturabile degli infiniti sensi possibili” (ibid.).

Ma un vero archetipo dell’intertestualità si trova proprio in quel passo platonico che tradizionalmente è stato visto come il modello dell’opposta concezione poetica, quella - consacrata poi dal Romanticismo - del poeta come genio solitario ispirato. Lombardo afferma che “l’impulso che la Musa infonde nel poeta e che questi, a sua volta, trasmette al suo uditorio viene paragonato alla dynamis della calamita (la pietra ‘che Euripide chiamò Magnete ma che i più chiamano pietra di Eraclea’, 533d), la quale ha facoltà di rendere magnetici gli anelli di ferro a cui si accosta […] nel caso della poesia si forma una catena di poeti ispirati che trasmettono gli uni agli altri l’energia creativa emanata dalla Musa” (pp. 21-22). Quindi, “sostituendo all’ipostasi mitica della Musa l’ipostasi culturale di una Letteratura intesa come il grande intertesto della memoria colta del lettore, e riconoscendo negli anelli della catena magnetica le varie fasi di una lunga tradizione letteraria […] si ottiene un’efficace rappresentazione simbolica delle coordinate teoriche dell’intertestualità” (p. 22).

Sulla stessa linea si muovono Longino, quando afferma l’agonismo con la tradizione come condizione necessaria per raggiungere il sublime, e, nel suo commento a Virgilio, Microbio, nonché Seneca quando dichiara “inventuris inventa non obstant” (cit. a p. 27), affermazione che comunque ricevette molte critiche sia antiche che attuali.

Il secondo capitolo, Un’agnizione classica in Montale: il simbolo del bivio, consta di un percorso teorico e della verifica di tale percorso su un testo del XX secolo. Partendo dalle teorie di Humboldt, l’autore arriva ad affermare che il fruitore di un testo letterario con i suoi atti decodificatori passa progressivamente da una semplice ricezione a una comprensione capace di assegnare al testo significati assenti al momento della produzione. Questa creatività non procede ex nihilo, ma “l’apporto produttivo del lettore ai sensi del testo implica un repertorio di dati preesistenti che sappiano riaccendere le risemantizzazioni della lettura” (p.57). Tali dati preesistenti vanno individuati nelle conoscenze fondamentali dell’uomo, che per Veselovskij sono riferiti a “un lessico di schemi e situazioni tipiche, alle quali la fantasia è abituata a rivolgersi per esprimere un determinato contenuto” (p.64). La letteratura, sempre secondo lo studioso russo, è una delle forme di attuazione storica di tali schemi e situazioni tipiche. La seconda parte mostra la vitalità di uno di questi schemi: l’immagine-simbolo del bivio ne I limoni di Montale, con due caratteristiche che da oltre due millenni sono rimaste costanti: “1) la cornice polemica in cui si iscrive la dichiarazione di un nuovo programma poetico; 2) il paradigma oppositivo facile vs difficile che presiede alla risoluzione stilistica della differenza tra le due vie” (p.66). Tali elementi si trovano in Callimaco, che “trasferisce il simbolo del bivio dall’originario ambito filosofico al piano delle querelles letterarie” (p.67) e offre un testo col quale il montaliano presenta fitti parallelismi formali. Ma, da Callimaco, la rete intertestuale si complica sia in senso “regressivo” (Esiodo) che in quello “progressivo” (Virgilio, Orazio e Dante, col quale l’immagine è notevolmente arricchita di significati). Questa escursione intertestuale ci mostra non solo la libertà interpretativa del lettore ma anche come la lettura sia orientata dalla cultura letteraria del lettore. Se due poeti distanti oltre due millenni possono affidare i medesimi contenuti alla stessa immagine del bivio è perché tale simbolo “appare, all’aurora della civiltà, in quel nucleo di simboli archetipici costituenti il repertorio figurale primario e germinativo della nostra tradizione letteraria” (p.77).

In Armonia e movimento nelle antiche teorie dello stile, si cercano anticipazioni classiche della teoria della Sprachbewegung. Già in Grecia è viva la visione del linguaggio come sistema in movimento e questo “investe il livello complesso dell’articolazione morfosintattica, ma anche il livello più semplice dei segni alfabetici e del loro aggregarsi in sillabe e in parole” (p.88). Quest’idea, che viene espressa compiutamente in Platone con l’analogia tra l’armonia verbale e l’armonia cosmica, nasce comunque già con gli atomisti, per i quali il rapporto tra gli atomi e le cose è identico a quello fra lettere e parole. Anche un altro aspetto della Sprachbewegung, la traduzione come atto creativo, con la conseguente esaltazione del momento della ricezione, si ritrova nella storia stessa di hermeneia, che significò dapprima “stile” e poi si riferì alla traduzione, il che implica il legame inscindibile tra le due realtà e l’idea di un movimento all’interno della forma medesima. Questo perché “quando si affida un certo pensiero al linguaggio ci si rende conto che quel pensiero può essere mediato in forme diverse: può cioè ‘muoversi’ lungo molteplici percorsi formali e può essere armonicamente composto entro differenti organismi testuali” (p. 93). Tali concetti si ritroveranno anche nei più antichi trattati di retorica: Longino sostiene che tra le cinque fonti del sublime la più importante è la costruzione di una synthesis eccezionale e che “la convergenza tra la musica e il sublime si realizza infatti al livello degli effetti della loro ricezione ovvero al livello delle reazioni che la loro forma espressiva provoca negli ascoltatori” (p.95).

Anticipazioni delle teorie moderne si ritrovano anche nella prassi della riscrittura metafrastica. La metafrasi, nata nell’ambito della sofistica, “consisteva nel dissolvere l’armonia compositiva ovvero la synthesis, la musica particolare, di un certo passo riscrivendolo in altra forma, sì da farne emergere, per comparazione, le caratteristiche linguistico-grammaticali e/o i pregi stilistici” (pp. 100-101). Essa ha dunque come campo privilegiato di applicazione proprio la synthesis, in quanto questa costituisce la cifra stilistica del testo e il principale tratto generatore del fascino del testo stesso. Nell’antichità la metafrasi fu oggetto di dispute che, non diversamente da quelle odierne riguardanti la traduzione, dividevano i sostenitori del primato del testo di partenza da quelli del primato del testo di arrivo, che rifiutavano come riduttiva la funzione esplicativa della metafrasi e ne rivendicavano il diritto di entrare in competizione con l’originale.

Indice

Premessa

I. UN’ANTICA METAFORA DELL’INTERTESTUALITÀ: LA PIETRA DI ERACLEA
Estetica della ricezione e poetica antica
Intertestualità omerica
Antichi esempi di lettura attiva
La metafora platonica del magnete
Il lettore sublime e l’aemulatio
L’influenza dei modelli e la lettura creativa

II. UN’AGNIZIONE CLASSICA IN MONTALE: IL SIMBOLO DEL BIVIO
La lettura creativa secondo Humboldt
Rappresentazione e significato
La poetica storica
Uso e interpretazione dei testi
Il simbolo del bivio in Montale
Il simbolo del bivio in Callimaco
Il simbolo del bivio in Esiodo
Altri antecedenti classici
Il modello dantesco
Attualità di un simbolo

III. ARMONIA E MOVIMENTO NELLE ANTICHE TEORIE DELLO STILE
Movimento del linguaggio e poetica della traduzione
La natura ritmica del linguaggio
I Greci e l’esperienza della traduzione
L’antica nozione di hermeneia
L’armonia compositiva del testo
Lo stile periodico e l’origine della prosa d’arte
Giudizio critico e tecniche metafrastiche
Metafrasi antiche e traduzioni moderne

L'autore

Giovanni Lombardo insegna Estetica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Messina. Tra le sue pubblicazioni: Hypsegoria. Studi sulla retorica del sublime (Modena 1988), Estetica della traduzione. Studi e prove (Roma 1989). Ha tradotto e commentato: Peudo-Longino, Il sublime (Palermo 1992) e Demetrio, Lo stile (Palermo 1999). Ha inoltre curato l’edizione italiana di W.J. Verdenius, I principi della critica letteraria greca (Modena 2003).

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