Recensione di Silvano Zipoli Caiani – 26/12/2006
In questa raccolta curata da Mirella Fortino sono pubblicati, per la prima volta in italiano, due saggi del fisico e filosofo Pierre Maurice Duhem. I due lavori, risalenti rispettivamente agli anni 1892 e 1894 e antecedenti alla comparsa della grande Théorie Physique del 1906 (trad. It. La teoria Fisica: il suo oggetto, la sua struttura, Il Mulino Bologna, 1978), ne anticipano alcuni tratti salienti, giungendo a delineare quelle che saranno le riflessioni dell’epistemologo francese sia rispetto alla connotazione olistica della conoscenza, sia rispetto all'impostazione generale del problema del realismo.
L'importanza del pensiero di Duhem è ben rappresentata, oltre che dall'ammirazione espressa da vari esponenti dell'empirismo logico e da autori come Ernst Cassirer nella prima metà del secolo, anche dal rinnovato interesse per le dinamiche relative ai modelli olistici seguito alla comparsa dei celebri lavori di Quine.
Il pensiero di Duhem affonda le proprie radici nella cultura positivistica tardo ottocentesca, una certa aderenza a una forma di riduzionismo trova infatti espressione attraverso le pagine di questi saggi giovanili (nei primi anni novanta Duhem è poco più che trentenne). L'originalità della concezione duhemiana emerge però attraverso le peculiari conseguenze che l'epistemologo francese trae dall'analisi dei processi di formazione che caratterizzano la teoria fisica. L’insopprimibile presenza di una funzione astrattiva, operata sul dominio delle esperienze immediate, al fine di maturare le condizioni per una descrizione oggettiva dei dati sperimentali, rappresenta infatti per Duhem il principio di una serie di riflessioni sulla natura stessa della conoscenza scientifica, sul suo metodo di conferma nonché sulla sua portata ontologica.
Leggendo i saggi qui raccolti è possibile seguire l'evoluzione del pensiero duhemiano lungo il percorso che lo condurrà, nell'arco di dodici anni, alla formulazione matura della sua celebre tesi olistica. Se il punto di partenza, sia nel saggio del '92 che in quello del '94, è lo stabilirsi di un’eliminabile origine osservativa della conoscenza scientifica, l'accostamento dei due lavori lascia emergere il ruolo svolto dal complesso dei fattori contestuali. Da un primo riscontro di quella caratteristica che andrà poi sotto il nome di sotto-determinazione del complesso teorico, Duhem giunge alla formulazione di un primo abbozzo della sua concezione olistica, escludendo la possibilità di una coordinazione univoca tra ipotesi individuali, isolatamente prese, e il piano dell'esperienza disponibile. In questa prospettiva il saggio del 1894 rappresenta un punto di svolta, il suo accostamento con il lavoro precedente lascia emergere l’originalità che il percorso duhemiano prenderà in seguito, fino al suo compimento nella celebre opera del 1906.
Per meglio comprendere quale sia il percorso teorico intrapreso da Duhem in questa fase, bisogna fare attenzione alla concezione simbolica della conoscenza adottata dal fisico francese. Nel saggio del '92, così come in quello successivo, il processo di genesi delle teorie scientifiche è assimilato allo stabilirsi di una correlazione tra il piano astratto delle nozioni e quello osservativo dei dati sperimentali. L'instaurarsi di una corrispondenza costituisce il momento iniziale nella formazione delle ipotesi teoriche, ma è al contempo causa dell'impossibilità d'instaurare un rapporto diretto e naturale tra le leggi di una data disciplina e l'oggetto suoi dei suoi studi.
Nel saggio del 92, particolarmente rappresentativo è l'esempio riguardante lo statuto della nozione di temperatura. La possibilità di delineare una misurazione oggettiva delle grandezze legate alla sensazione di calore passa infatti attraverso l’idealizzazione delle proprietà fisiche possedute dall'oggetto che s'intende osservare. Solo concependo ciascuno dei punti di un corpo come se fosse «più caldo, meno caldo, o altrettanto caldo di ogni altro punto» (p. 57) sarà infatti possibile attribuire un valore determinato alla nozione di temperatura, permettendone la successiva manipolazione matematica necessaria allo sviluppo della teoria fisica.
La relazione che si viene a instaurare tra la sensazione di calore provata dal soggetto e l'astrazione matematica associata alla nozione di temperatura perde così qualsiasi connotazione naturale. Essa viene sostituita da un rapporto di traduzione simbolica, grazie al quale a ogni ideale dato d'esperienza è associabile in modo convenzionale una certa grandezza numerica.
La perdita di una relazione immediata tra natura e descrizione ha inoltre come conseguenza quella di stabilire un'importante limitazione concettuale al valore dell'impresa scientifica. Una buona teoria è infatti una teoria che simbolizza in maniera approssimata un insieme esteso di leggi fisiche, e ciò in funzione sia della precisione dei dati disponibili sia del campo di applicazione in cui s'intende collocarla. Il ruolo mediatore svolto dal soggetto nella scelta delle convenzioni permette inoltre un importante grado di libertà nella definizione delle diverse ipotesi generabili a partire da un identico set fattuale. Ciò stabilisce la possibilità di giungere a descrizioni differenti accomunate da una stessa sotto-determinazione osservativa.
Nel saggio del '94 la constatazione del pluralismo linguistico alla base della conoscenza scientifica trova un assetto maturo attraverso la distinzione tra osservazione e interpretazione dei dati sperimentali. La distanza che separa enunciati teorici come «l'esperienza c'insegna che sostituendo a un H della benzina il gruppo acido CO-OH, si ottiene l'acido benzoico» (p. 95) da constatazioni empiriche immediate, diviene sempre più marcata con il progresso delle conoscenze scientifiche. La pretesa di separare l'osservazione di un fenomeno fisico da qualsiasi assunzione di natura teorica diviene secondo Duhem nient’altro che un tentativo illusorio.
Il ruolo del fattore interpretativo nella genesi della conoscenza scientifica è però discriminante nell'economia dei due saggi. La crescente consapevolezza da parte di Duhem riguardo all'impossibilità di ripercorrere a ritroso il processo conoscitivo, muovendo fino alla constatazione di una memoria puramente sperimentale, lo porta nel saggio del '94 a conclusioni più articolate. Due in particolare sono le differenze che occorre sottolineare, la prima riguardante il riconoscimento della condizione solistica, cui soggiace la valutazione di ogni ipotesi scientifica, la seconda riguardante il giudizio rispetto alla portata ontologica di una conoscenza astratta e simbolica come quella della fisica moderna.
Nel saggio del 1892, proprio la concezione simbolica dei processi conoscitivi rappresenta per Duhem il principale fattore di separazione tra i contesti scientifico e metafisico. Affermando che la fisica non è la spiegazione del mondo materiale, ma piuttosto una delle possibili rappresentazioni delle leggi scoperte dall'esperienza, Duhem prende posizione rispetto all'adozione di un'ingenua valutazione ontologica della conoscenza sperimentale. Ad una scienza intesa come metodo per svelare la natura intima del mondo, Duhem contrappone un atteggiamento coordinativo e classificatorio, caratteristico dell’impronta positivista che contraddistingue questa fase del suo pensiero.
Il tono e il giudizio della polemica cambiano però nel saggio del 1894. Ferma la concezione simbolica della conoscenza, per cui ogni legge fisica è un costrutto astratto e provvisorio rispetto all'evoluzione dei dati osservativi, Duhem rivolge l'attenzione al ruolo essenziale dei processi storici di modifica che segnano il progresso della scienza. Questa non muta infatti come la geometria, aggiungendo proposizioni logicamente certe a quelle che essa già possedeva, piuttosto progredisce attraverso una lotta incessante tra ipotesi rivali nell'intento di superare ogni volta il grado di accordo tra teoria e realtà precedentemente raggiunto. Questa cura dell'esattezza analitica trova ora un punto di contatto con il presupposto realista. Ciò avviene attraverso l’introduzione di una verità ultima e mai definitivamente attingibile rispetto alla quale troverebbero approssimazione i risultati della conoscenza scientifica. Una citazione tratta da Pascal in chiusura del secondo saggio impedisce di appiattire il giudizio duhemiano su posizioni ancora positiviste, rappresentando un'anticipazione di quel dilemma tra le “ragioni del cuore” e della scienza presente in modo compiuto nel capolavoro del 1906.
Sulla scorta della caratteristica sotto-determinazione osservativa e della pluralità linguistica che contraddistingue il formarsi delle teorie scientifiche, solo nel saggio del 1894 Duhem pone l'accento sulla caratterizzazione olistica dei processi di valutazione sperimentale. Se nel primo dei due lavori l'epistemologo francese conserva ancora fiducia nella strategia falsificazionista quale criterio di scelta teorica, nel lavoro successivo un paragrafo fondamentale è dedicato ai limiti di applicabilità di tale metodo a ipotesi prese isolatamente.
Il ragionamento adottato da Duhem segue la constatazione dell'indissolubilità tra interpretazione e formazione delle teorie. Un fisico che si proponga di dimostrare l'inesattezza di una proposizione si troverà infatti costretto a valutare l'adeguatezza di tutto l'insieme di assunzioni che accompagnano tale proposizione. Se il fenomeno previsto secondo una data ipotesi non si produce, «non è soltanto la proposizione in contestazione che è messa in scacco, ma lo è tutta la strumentazione teorica di cui il fisico ha fatto uso» (p. 97). La scienza fisica diviene così «una sorta di organismo da prendersi nella sua interezza» (p. 100). Esclusa la possibilità di metterne alla prova ciascun elemento isolatamente, occorre valutare l'impatto di ogni modifica rispetto alla globalità delle ipotesi che costituiscono la teoria, considerandola un complesso connesso e non frammentabile.
È impossibile evidenziare in quest'occasione l'importanza che la concezione duhemina riveste nell’economia dell'attuale discussione filosofica, però due parole possono essere spese nel sottolineare la sensibilità dell’epistemologo rispetto ai risvolti relativistici della propria concezione. Diversamente da quanto avvenuto successivamente, alla ripresa della discussione sui problemi del “theory laden”, Duhem, fin dal saggio del '92, ha cura di arginare le possibili derive relativistiche associabili alla condizione di sottodeterminazione. Il rifiuto per l'equiparazione di formule dotate di un’identica base osservativa si manifesta attraverso l’appello a principi razionali quali guide nella scelta di soluzioni dotate di maggiore adeguatezza. Ciò lascia emergere ancora una volta la peculiarità del pensiero duhemiano, vicino ad una concezione empiristica della conoscenza scientifica, ma al contempo ancorato a una prospettiva metafisica (quella tomistica), che lo spinge verso una rappresentazione definitiva e unitaria della realtà.
Indice
Indice:
Introduzione di Mirella Fortino
Nota biografica
Nota di edizione
Alcune riflessioni sulle teorie fisiche (1892)
Alcune riflessioni sulla fisica sperimentale (1894)
Bibliografia
La curatrice
Mirella Fortino si è laureata in filosofia presso l’Università degli Studi della Calabria, i suoi interessi di studio in particolare riguardano la critica alla scienza fra Ottocento e Novecento. Ha pubblicato, oltre a saggi su diverse riviste, i volumi Convenzione e razionalità scientifica in Henri Poincaré (1997) e, come curatrice, il volume Il caso da Pierre Simon Laplace a Emile Borel (1814-1914) (2000). È stata inoltre curatrice di Essere, apparire e interpretare. Saggio sul pensiero di Duhem (2005).
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