giovedì 23 aprile 2009

Basso, Luca, Socialità e isolamento: la singolarità in Marx.

Roma, Carocci, 2008, pp. 238, € 28,50, ISBN 9788843046751.

Recensione di Adele Patriarchi – 23/04/09

Filosofia politica

Come esplicitato all’inizio dell’Introduzione, il testo di Luca Basso prende le mosse dalla convinzione che “la questione della realizzazione individuale giochi un ruolo centrale” nel pensiero di Marx, tanto da potere additare come un “vecchio luogo comune” la tendenza a interpretare la riflessione marxiana “in modo organicistico, e quindi all’insegna dell’idea del dominio della società sull’individuo” (p. 9). Per questa ragione, il titolo del libro contiene la nozione di “singolarità” che, pur essendo parzialmente estranea al vocabolario di Marx, secondo l’autore appare capace di interagire con il “dispositivo marxiano”, facendo emergere da esso il tema della realizzazione individuale. La nozione di singolarità viene declinata nel suo “configurarsi come “transindividualità” termine indicante il continuo, mobile scambio che si instaura fra l’“individuale” e il “collettivo”” (p. 15).
All’inizio del primo capitolo, intitolato Il problema dell’individualità, la riflessione di Basso parte dall’analisi dell’Ideologia tedesca, in cui l’indagine sull’individualità viene declinata in relazione alla nozione di Bestimmung. I bestimmte Individuen, gli individui determinati, “sono influenzati” sia “dalle circostanze all’interno delle quali si muovono” che “dalla presenza degli altri individui” (p. 37). Le “circostanze” sopra indicate fanno riferimento all’”attività produttiva” e “al contesto sociale e politico” in cui si trovano collocati gli individui che, al contempo, influenzano e sono influenzati dall’ambiente economico, sociale e politico in cui vivono. Essendo collocato all’interno di condizioni storicamente determinate, l’individuo non può che presentarsi come “strutturalmente contingente e singolare” (p. 37). L’autore sottolinea come tale posizione non costituisca un’”invariante” nel percorso marxiano ma sia un punto d'approdo di tale rilevanza, da rendere possibile additare nell’Ideologia tedesca un testo di “frattura” rispetto alle opere precedenti (p. 38). Basso intraprende quindi un’analisi dell’evoluzione intellettuale di Marx a partire dalla Critica del diritto statuale hegeliano (1843), in cui emerge come nozione centrale quella di Gattungswesen, di uomo come ente generico. L’elaborazione di tale concetto non implica tuttavia l’adesione a una visione organicistica nella quale l’individuo sia sussunto alla comunità; piuttosto esso nasce in vista del superamento della distinzione tra società civile e stato - e, quindi, fra bourgeois e citoyen - che secondo Marx emergeva dai Lineamenti (pp. 52-56). Nella Questione ebraica (1844), bourgeois e citoyen “costituiscono, rispettivamente, l’uomo reale e l’uomo vero” in riferimento proprio alla nozione di Gattungswesen. L’uomo reale “è l’uomo nella sua immediata esistenza sensibile individuale”, mentre “l’uomo politico è soltanto l’uomo astratto, artificiale, l’uomo come persona allegorica, morale” (p. 58). Il primo è reale ma non è vero “essendo lontano dal Gattungswesen”; il secondo è vero perché vicino al Gattungswesen ma è anche astratto e generico. Negli scritti successivi, Marx finisce con il problematizzare la nozione di citoyen, pervenendo alla convinzione della “sostanziale dipendenza dello Stato dagli interessi del bourgeois” e ponendo come “centro prospettico” della propria riflessione la bürgerliche Gesellschaft, la “società civile-borghese” (p. 70). Una società, quest’ultima, caratterizzata dal bellum omnium contra omnes, dall’egoismo, dall’individualismo, dalla particolarità (p. 70). È partire dalla Sacra famiglia (1845) che il concetto di Gattungswesen viene depotenziato nei propri “segni distintivi”, perché esso viene “concepito non a partire da un’astratta comunità “io-tu”, bensì all’interno delle strutture della bürgerliche Gesellschaft, e quindi viene declinato politicamente” (p. 51). In quest’opera, l’immagine atomistica e individualista dell’uomo nella società comincia a essere problematizzata, sia perché Marx sottolinea l’impossibilità per l’uomo stesso “di prescindere dal proprio contesto sociale” a causa del proprio “interesse” (p. 81), sia perché comincia ad affacciarsi la nozione di classe: il “bellum omnium contra omnes non riguarda semplicemente individui, ma classi contrapposte” (p. 84). Pochi mesi dopo la pubblicazione della Sacra famiglia, Marx scrive le Tesi su Feuerbach, in cui la presa di distanza dalla filosofia feuerbachiana, assesta un colpo decisivo alla nozione di Gattungswesen. Poiché “l'essenza umana” viene concepita come “l’insieme dei rapporti sociali” (p. 86), la filosofia della prassi riesce a “vedere” la “società umana” o “l'umanità socializzata” (X tesi), al contrario del materialismo di Feuerbach che può arrivare, al massimo, a intuire i singoli individui nella società borghese, cioè ad avere una visione atomistica della società. La necessità di un’azione concreta volta alla trasformazione del mondo (XI tesi), e quindi l’abbandono di una “tematizzazione astratta, svincolata dalle condizioni materiali del suo darsi” (p. 18), prepara quindi il terreno per la nascita dell’Ideologia tedesca.
Nel secondo capitolo, intitolato Al di là della dicotomia “privato” - “sociale”, l’autore ritorna, dopo l’excursus concettuale svolto nella prima parte del libro, ad analizzare l’Ideologia tedesca, sottolineando come il progetto di esaminare la bürgerliche Gesellschaft trovi alimento negli eventi politici contingenti, tra i quali spiccano il fenomeno del cartismo e la rivolta dei tessitori slesiani del 1844. Non a caso, fa notare l’autore, l’espressione “partito comunista” compare per la prima volta proprio nell’Ideologia tedesca “a testimonianza del fatto che il tentativo di dare vita ad un’organizzazione della classe operaia si afferma con sempre maggiore forza negli anni indicati” (p. 96). Con il passaggio da “una visione incentrata sull’“uomo” ad una fondata sugli “individui determinati” (p. 99), la bürgerliche Gesellschaft non è più immaginata come insieme atomistico di individui irrelati fra loro, ma come un insieme di individui determinati sia dalle proprie relazioni reciproche che dal grado di sviluppo delle forze produttive (p. 96). Il mutamento indicato implica sia l’affermazione del “carattere non naturale ma sociale della produzione”, sia il “rifiuto dell’idea del dominio assoluto [degli individui determinati] sulle condizioni e sulle circostanze esistenti” (p. 99). Infatti, la società civile/borghese si caratterizza sia per l’applicazione della “divisione del lavoro”, che per l’utilizzo del denaro come strumento di “quantificazione” dell’uomo e dei rapporti sociali (p. 103). Emerge, da questo contesto discorsivo, il “carattere ambivalente” del capitalismo, nel quale l’uomo viene “sussunto” sotto il potere oggettivo della divisione del lavoro e, contemporaneamente, proprio in forza del suo assoggettarsi all’oggettività e all’astrazione, l’individuo può entrare in contatto con gli altri uomini e, quindi, essere sociale. Per dare conto di tale ambivalenza, viene introdotta da Marx la distinzione tra “comunità apparente” (scheinbare Gemeinschaft) e “comunità reale” (wirkliche Gemeinschaft): la prima caratterizza gli “individui come membri di una classe”, la seconda gli “individui come individui” (p. 19). Nella scheinbare Gemeinschaft la soggettività umana viene “stritolata”, perché l’individuo viene assoggettato al meccanismo di produzione, viene sussunto sotto un potere astratto e oggettivo (pp. 19, 110). Nel contempo, grazie alla nozione di wirkliche Gemeinschaft diventa possibile cogliere la “valenza dirompente del capitalismo”, cioè il fatto che “prima del capitalismo, risultava inconcepibile l’idea stessa della realizzazione individuale” (p. 131). Nella società borghese convivono, quindi, sia l’individualismo che la tendenza organicista a sussumere il singolo sotto un potere astratto e oggettivo.
La riflessione sulla nozione di classe marca il passaggio dall’Ideologia Tedesca al Manifesto, nel quale si sottolinea costantemente come la società borghese non possa essere pensata solo come composta da individui ma anche da classi in conflitto fra loro; gli uomini, nella società borghese, non si relazionano fra loro in quanto individui ma in quanto membri di un classe (p. 137). Poiché la “classe” si dispiega sul terreno della pratica, tale concetto si manifesta come nozione “politica”: quando gli individui conducono una lotta contro un’altra classe essi si costituiscono, a propria volta, come classe (p. 21). Così, al variare delle condizioni storiche oggettive, varia la composizione di classe, che non è data una volta per tutte ma dipende dalle condizioni storiche concrete che fanno della “cooperazione” fra singoli individui “un movimento politicamente significativo” (p. 141). In Marx, quindi, vi è il “rifiuto di ogni visione sostanzialistica del proletariato, sia in senso ontologico […] sia in senso sociologico” (p. 21). Nel 1848 sembrava essersi sviluppata una situazione storica nella quale fosse possibile un’azione rivoluzionaria, frutto degli operai stessi, una “sollevazione generale in Europa all’interno della quale la Germania avrebbe giocato un ruolo decisivo” (p. 145). Obiettivo del movimento, in relazione alla fase contingente, è la messa in crisi delle relazioni di proprietà istituite dalla borghesia, della relazione di dominio che ne scaturisce (p. 143), in favore di un’”associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti” (p. 144). Tale frattura non comporta l’abbandono di nozioni apparentemente legate alla società borghese, come quelle di giustizia, libertà e uguaglianza, ma una “trasvalutazione” di tali principi nella prospettiva di una società senza classi (p. 150).
Nel terzo capitolo del libro, intitolato Nesso sociale e indifferenza, l’autore prende le mosse dal fallimento dei movimenti rivoluzionari del 1848 e dall’ascesa del bonapartismo, per fare emergere come “il carattere problematico dell’idea di una rivoluzione mondiale” costringa Marx a una profonda “riarticolazione” della propria analisi politica. Da un lato, il fenomeno del bonapartismo - e del nazionalismo in generale - induce il filosofo a ripensare l’immagine dello stato come “comitato d’affari della borghesia” (p. 24); dall’altro, il 1857 è l’”anno in cui si verificò la prima crisi mondiale di sovrapproduzione, con le potenzialità rivoluzionarie di cui risultava carica” (p. 155). Marx, allora, rivolge progressivamente sempre maggiore attenzione all’analisi dell’economia politica, giungendo alla composizione dei Grundrisse. Punto di partenza dell’opera è il “riferimento al modo di produzione capitalistico e ai meccanismi determinati che lo sottendono” (p. 157). Rispetto alla questione del rapporto fra individuo e comunità, “il capitale opera distruttivamente, attua una rivoluzione permanente” rispetto alle società precedenti ed esercita un’”enorme influenza civilizzatrice” perché crea “un livello sociale rispetto a cui tutti quelli precedenti si presentano semplicemente come sviluppi locali dell'umanità e come idolatria della natura” (p. 159). Il capitalismo, cioè, corrode quel legame inscindibile che esisteva nelle strutture sociali precedenti fra l’uomo e la comunità politica di appartenenza, “creando” l’”individuo” (p. 164); al contempo, esso distrugge i valori presenti nelle comunità precedenti, creandone di nuovi: il mercato, infatti, è dominato da quello specifico valore che è il “valore di scambio”, la cui quantificabilità è assicurata attraverso l’utilizzo di quello strumento di “misura” che è il denaro. Nei Grundrisse, a differenza delle opere precedentemente analizzate e della Questione ebraica in particolare, la società è vista come “somma delle relazioni, dei rapporti in cui questi individui stanno l’uno rispetto all’altro” (p. 176). Tali relazioni non hanno carattere irenico, ma sono conflittuali, si configurano “come rapporti di dominio, sulla base di un’asimmetria tra le forze esistenti” (p. 176). Si inserisce in questo contesto discorsivo la critica alla nozione di individuo concepita nel pensiero liberale, nel quale un “uomo naturale, assolutamente isolato e indipendente” viene posto a fondamento dell’economia e dello stato politico (p. 177). Osservando la circolazione delle merci in modo “superficiale”, si può mettere in rilievo l’uguaglianza e la libertà con la quale due individui entrano reciprocamente in contatto per la soddisfazione dei propri bisogni (p. 180). E, tuttavia, scendendo “dalla superficie della sfera della circolazione alla profondità della sfera della produzione”, si vede come “libertà e uguaglianza” si trasformino “nel loro contrario, in illibertà e disuguaglianza” a causa della dinamica del valore di scambio. L’operaio e il capitalista sono uno di fronte all’altro in una condizione di asimmetria, perché il primo aliena il proprio lavoro ricevendo “come prezzo […] il valore di questa alienazione”. La società risulta così ““spezzata” in due parti non componibili e, inoltre, non omologhe l’una rispetto all’altra” (p. 182). Poiché nella società capitalistica la libertà individuale è intrecciata con la sussunzione dell’individuo stesso a un potere astratto e oggettivo, “non risulta possibile mantenere l’uno eliminando, allo stesso tempo, l’altro” (pp. 190-191). Diventa allora chiaro che “solo una frattura “pratica” con lo “stato di cose presente” può fare “saltare” la compenetrazione in questione” (p. 192).
Dall’analisi effettuata da Basso dei Grundrisse, emerge come il sistema capitalistico si caratterizzi, a differenza delle forme che l’hanno preceduto, per l’esistenza di un’ampia rete di relazioni sociali di “mutua e generale dipendenza”. Una socialità, questa, che non viene concepita irenicamente ma che viene indagata nei suoi aspetti conflittuali. A ciò va aggiunto che gli individui che entrano in relazione fra loro sono “reciprocamente indifferenti”, per cui “il rapporto sociale presenta come sua altra “faccia” l’isolamento individuale” (p. 29). D’altro canto, afferma Basso, per potersi “isolare” bisogna possedere un certo grado di indipendenza, bisogna essere “individui”. Tant’è che Marx, nella Einleitung afferma: “L’uomo è nel senso più letterale uno zoon politikon, non soltanto un animale sociale, ma un animale che solamente nella società può isolarsi” (p. 30).
Dal punto di vista metodologico, è apprezzabile la capacità dell’autore di contestualizzare il percorso intellettuale di Marx rispetto alle condizioni politiche contingenti, nel solco della tradizione del marxismo italiano. Ciò consente di approcciarsi in maniera attendibile al pensiero marxiano, evitando di interpretare la prima parte della produzione di Marx attraverso l’utilizzo di categorie elaborate in tempi successivi e in contesti profondamente diversi. Inoltre, Basso, coniugando tale tendenza contestualizzante con una riflessione sulla nozione di singolarità, approfondita nel dibattito francese, riesce anche a evitare di contrapporre in maniera irresolubile l’”umanesimo” del primo Marx alla “scientificità” del secondo. L’esito è la messa in discussione del luogo comune sulla tendenza organicista del pensiero marxiano e, quindi, della sua vocazione a porre in secondo piano il problema della realizzazione individuale rispetto all’obiettivo del benessere collettivo. Al contempo, l’autore perviene all’intento di decostruire la lettura in termini liberali del pensiero di Marx, interpretazione emersa, in particolare, nel cosiddetto “marxismo analitico”, che faceva apparire il filosofo come un “individualista metodologico”.
Un testo, questo di Basso, complesso – perché chiede come prerequisito la conoscenza di molta parte della produzione marxiana – e di cui si consiglia la lettura.

Indice

Introduzione. Individuo e singolarità
1. Il problema dell’individualità
2. Al di là della dicotomia “privato” - “sociale”
3. Nesso sociale e indifferenza
Opere di Marx e Engels con siglario
Bibliografia


L'autore

Luca Basso è ricercatore di Filosofia politica presso l’Università di Padova.. Ha studiato nelle Università di Padova, Berlino e Pisa e ha svolto numerosi soggiorni scientifici in Germania. Fra le sue pubblicazioni: Individuo e comunità nella filosofia politica di G. W. Leibniz (Rubbettino, 2005).

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