sabato 16 maggio 2009

Licinio, Arcangelo - Silvestri, Filippo - Toriello, Alessandro, Corpo, Linguaggio Intersoggettività. Studi husserliani.

Milano, Albalibri, 2007, pp. 226, € 12, ISBN 9788889618554.

Recensione di Barbara Peron - 16/05/2009

Filosofia teoretica (fenomenologia)

Corporeità, linguaggio e intersoggettività nel pensiero husserliano sono i temi del saggio articolato in tre parti: la prima di Arcangelo Licinio, la seconda di Filippo Silvestri e la terza di Alessandro Toriello.
Nell’affrontare il problema del corpo, Licinio mette da subito in evidenza l’ostacolo principale con cui si scontra una simile trattazione: “la difficoltà di isolare nella riflessione di Husserl il problema del corpo come un tema determinato, con dei confini netti e definiti” (p. 7). Ciononostante l’autore riesce a seguire le tracce del fenomeno “corpo” lungo tutto l’arco della riflessione husserliana, dalle lezioni su Ding und Raum del 1907 alle Meditazioni Cartesiane del 1931, passando per le tappe decisive delle lezioni sui Grundprobleme der Phänomenologie del 1910/11 e delle Idee II, analizzate, in particolare, sulla base del manoscritto del 1912. Nel lungo e dettagliato percorso il corpo si rivela non come un fenomeno unitario, ma come fenomeno polisemico: il corpo è il campo di localizzazione delle cinestesi, dei “vissuti-d’io” e delle “proprietà egologiche”; è organo della percezione e della volontà e cosa “che appare in modo assolutamente peculiare rispetto alle altre cose” (p. 37). Il corpo, infatti, in quanto Leibkörper è sì corpo fisico (Körper), e quindi cosa, ma è anche sempre corpo organico (Leib), strumento funzionale ed espressione di una vita di coscienza propria o altrui. Proprio per questa sua peculiarità “il corpo appare sì come cosa, ma come cosa differente dalle cose materiali” (p. 73); è “un qualcosa” che tuttavia “non è affatto semplicemente una cosa materiale” (ibid.).
Alla peculiare esperienza dell’apparire del Leibkörper e alla sua differenza con le cose, Licinio dedica le pagine conclusive del suo percorso. In un’esperienza visiva fenomenologicamente ridotta, il mio Leibkörper mi appare “come un qualcosa dal quale, a differenza di tutte le altre cose, non posso allontanarmi né avvicinarmi” perché “esso accompagna tutti i miei movimenti” (p. 75), così come il corpo altrui accompagna tutti i movimenti altrui. In un'esperienza tattile in cui una mano non tocchi una cosa, ad esempio un tavolo, ma l’altra mano o un’altra mano, il Leibkörper appare sia come toccante che come toccato e ha allo stesso tempo la sensazione di toccare e di essere toccato. Muovendosi – rileva infine Licinio sulla base dei manoscritti del gruppo D - il corpo per Husserl non fa solo esperienza del proprio movimento e delle diverse forme di movimento, ma anche delle cose e dei molteplici aspetti delle cose: è il mio movimento a motivare la manifestazione degli aspetti delle cose (p. 84); ma se è così – conclude Licinio –, “è il corpo nel suo muoversi a costituire un mondo significativo, prima dell’apprensione tematicamente cosciente” (p. 85).
Nella seconda parte del testo, Filippo Silvestri tematizza il problema del linguaggio nella fenomenologia di Husserl, basandosi in particolare sugli appunti del 1913-1914 raccolti nel volume XX/2 della Husserliana, apparso in tedesco nel 2005, e sottolineando la notevole differenza rispetto al testo della prima delle Ricerche Logiche. L’analisi muove dalla distinzione tra indici (Anzeichen) ed espressioni (Ausdrücke) che nella Prima ricerca è così motivata: mentre gli indici sono “segni impropri” perché non coincidono con ciò a cui rimandano (il fumo non coincide con il fuoco, l’orma sulla spiaggia non coincide col piede ecc.) e “non contengono” in sé, “la ragione della forma che hanno e della loro essenza, il significato a cui rimandano” (p. 101), le espressioni sono “segni propri” perché “contengono” in sé “il significato” e la ragione “che li fa essere i segni che sono” (ibid.). Tale distinzione subisce, negli appunti del 1913-1914, la seguente revisione: l’elemento discriminante tra indici ed espressioni non è più da cercare nella non coincidenza ovvero nella coincidenza tra segno e significato, ma “in un orizzonte categoriale” (p. 104); vale a dire: mentre il fumo, che è indice del fuoco e sta per fuoco, non è un nome, l’espressione “casa”, che sta per la casa reale, è un nome e ha, quindi, a differenza del fumo, una dimensione categoriale. Indici ed espressioni hanno invece in comune l’arbitrarietà del rapporto che si stabilisce tra l’indice (ad es. il fumo) o l’espressione (ad es. “casa”), il segno, e il significato: “prendo un suono e lo trasformo in un segno, perché voglio usare quel suono come un segno” (p. 106); oppure prendo qualcosa e lo trasformo in un segno. In entrambi i casi è in gioco un “significare attivo” (aktives Bezeichnen) (p. 106), che caratterizza i “segni propri” (a questo punto sia gli indici che le espressioni), e che è determinato da una volontà semiotica, a cui si affianca una “intenzione significante” (p. 106-107). Al “significare attivo” corrisponde la “pretesa semiotica” di “intendere qualcosa come un segno” (p. 107) e di fare di qualcosa un segno. Non solo: chi parla o scrive ha la pretesa di “trasmettere un significato per condividerlo con un altro” (p. 112) e di essere inteso. L’intenzione comunicativa – sottolinea Silvestri – apre alla dimensione intersoggettiva del linguaggio non sufficientemente evidenziata nella Prima ricerca, concentrata sull’esperienza diretta e immediata della coscienza isolata.
L’analisi di Silvestri prosegue con la distinzione tra “coscienza del segno” (Zeichenbewusstsein) e “coscienza del significato” (Bedeutungsbewusstsein). Se nella Prima ricerca è solo l’intenzione significante a trasformare il complesso fonetico in un segno e, quindi, non vi è coscienza del segno senza coscienza del significato, negli appunti del 1913-1914 “ho coscienza che qualcosa è un segno, anche se non sono in grado di assegnargli un significato” (p. 123): se leggo un romanzo in francese e mi imbatto in una parola che non conosco, non la interpreto come “una macchia d’inchiostro” sul foglio di carta (ibid.), ma come un segno; so, appunto, che è un segno, anche se non ne comprendo il significato. L’ultimo paragrafo del percorso di Silvestri è dedicato a un tema centrale nel dibattito sulla fenomenologia husserliana: l’esprimibilità degli atti della coscienza. L’autore lo affronta confrontandosi con le principali posizioni della critica e della ricerca husserliana.
La terza e ultima parte del libro, di Alessandro Toriello, si propone di “delineare alcuni elementi di una teoria dell’intersoggettività” (p. 157) nelle Ricerche Logiche di Husserl, in particolare nei Prolegomeni a una logica pura e nella Prima ricerca. L’analisi di Toriello evidenzia la verità e validità assoluta delle leggi logiche per “uomini, mostri, angeli o dei”, sostenuta da Husserl nelle Ricerche Logiche (p. 157 e p. 193), che implica il loro essere sottratte al relativismo (o soggettivismo) solipsista dell’individuo o della specie. Se le leggi logiche devono valere universalmente per “uomini, mostri, angeli o dei”, non possono valere né soltanto per una di queste specie né soltanto per uno degli individui, o soggetti, della specie. Il loro valore deve essere, piuttosto, intersoggettivo, nel senso, innanzitutto, di sovrasoggettivo.
Se nei Prolegomeni “intersoggettività” significa per Husserl in primo luogo “sovrasoggettività” (p. 197), nella Prima ricerca logica – sostiene Toriello – “è invece possibile rinvenire un’analisi di una relazione intersoggettiva propriamente detta, ossia l’analisi dello scambio comunicativo attraverso un linguaggio che avviene tra diversi soggetti” (p. 202). Partendo dal presupposto che per Husserl “un’espressione è autenticamente tale” solo se svolge “la funzione di veicolo di un significato ideale” (p. 208), Toriello analizza cosa accade “quando le espressioni svolgono la loro funzione più propria, ossia la funzione comunicativa tra due o più soggetti che parlano o, più in generale, comunicano” (p. 210). Quel che accade è che colui che ascolta comprende il significato ideale inteso da colui che parla. Se non vi è comprensione del senso inteso, non vi è comunicazione, ma comunicazione significa “trasmissione” (p. 214) intersoggettiva del significato ideale, che proprio in quanto ideale, e quindi sovrasoggettivo, “può fungere da perno o da ponte tra le differenti soggettività empiriche che trovano un che di comune e condivisibile in qualcosa di esterno ad esse” (p. 214). Muovendo da qui, Toriello può concludere osservando che è la sovrasoggettività ideale delle leggi logiche e del significato a scongiurare nelle Richerche Logiche il pericolo del solipsismo: la sovrasoggettività è la condizione di possibilità dell’intersoggettività.

Indice

Introduzione
Il corpo polisemico e l’esperienza del Leibkörper nella fenomenologia di Husserl
Il problema del linguaggio nella fenomenologia di Husserl, Husserliana XX/2
Solipsismo e intersoggettività nelle Ricerche Logiche di Husserl
Bibliografia


Gli autori

Arcangelo Licinio è dottore di ricerca in Filosofia Contemporanea e collabora come assegnista di ricerca con la cattedra di Ermeneutica Filosofica dell’Università di Bari. È autore di diversi saggi sulla fenomenologia di Husserl e Waldenfels e del volume Etica controsenso. La fondazione scientifica dell’etica in Edmund Husserl (Edizioni Dal Sud, Bari 2005)

Filippo Silvestri è ricercatore presso l’Università di Bari, dove insegna Semiotica e Filosofia del Linguaggio. È autore di diversi saggi dedicati alla fenomenologia hisserliana e del volume Il seme umanissimo della filosofia. Itinerari nel pensiero filosofico di Giuseppe Semerari (Mimesis 2007).

Alessandro Toriello è docente di Filosofia e Storia nei Licei. Attualmente è dottorando di ricerca in Filosofia e Teorie Sociali presso l’Università di Bari, dove collabora con la cattedra di Storia della Filosofia Moderna.

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