venerdì 12 marzo 2010

Iacono, Alfonso M., L’illusione e il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare.

Milano, Bruno Mondadori, 2010, pp. 208, € 18,00, ISBN 978-88-6159-361-9.

Recensione di Gianmaria Merenda - 12/03/2010

Filosofia teoretica, estetica

“Per entrare nel mondo dell’illusione, i sostituti non hanno bisogno di somigliare ai sostituiti. È sufficiente che vi si riferiscano perché, quando costruiamo un nuovo mondo con l’immaginario, noi lo rendiamo autonomo senza tuttavia che il riferimento al mondo da cui ha tratto origine si perda” (p. 3). Il senso del libro di Iacono si trova ben descritto nell’Introduzione. Poche righe, che verranno ampliate, sviluppate e spiegate nel corso dello scritto (cfr., in particolare, il capitolo quinto, Copia, mimesi, sostituto, per l’interessante dialettica Platone/Deleuze su copie/icone e simulacri/fantasmi, pp. 109-119). Poche righe in cui si legge che l’uomo colma un’insufficienza di ‘dati’, dovuti alla sua percezione, con un’illusione. L’uomo crea un mondo fittizio da sostituire al mondo reale, ma lo crea lasciandolo legato al mondo reale con dei riferimenti che non lo limiteranno nel puro mondo dell’immaginario. Un’operazione che emenda l’imperfezione di ciò che appare e che amplia il significato della cosa apparsa.
La sostituzione di un originale con una sua copia mimetica, tragicamente uguale e differente ad un tempo, pone seri problemi alla filosofia - Iacono indica, puntualmente, Platone - e alla teologia. Il sostituto, l’immagine fittizia di ciò che è, innesca l’orrore dell’idolatria, ovvero il pericolo di dimenticare l’originale per la copia. L’essenziale è la differenza dall’archetipo che la copia mette in evidenza; il problema della totale sovrapposizione tra originale e copia non è minimamente avvertito. Iacono chiarisce che nel caso della simulazione (la mimesis negativa) è implicito il tentativo di sostituire l’inganno originale con una copia, ma questo tentativo può essere smascherato. Differentemente, nella rappresentazione (la mimesis positiva) è palese la differenza tra originale e copia, perché nella rappresentazione non esiste il tentativo di sostituzione tout court, questa differenza può portare con sé un diverso senso di verità. Interessante l’utilizzo che Iacono propone del saggio A cavallo di un manico di scopa di Ernst Gombrich. In quel saggio Gombrich si interroga sul gioco dell’hobby horse, il giocattolo con la testa di un cavallo e il manico di una scopa a far da groppa. Che cos’è l’hobby horse? Un’immagine o una rappresentazione? In quel gioco, spiega Iacono, la verosimiglianza è scarsa, solo la testa e il gesto possono ricordare la monta di un cavallo, eppure, la “funzione del sostituto può essere esercitata anche là dove non vi sia un legame mimetico tra l’oggetto sostituto e l’oggetto sostituito.” (p. 15). Dunque un legame deve esserci tra il mondo del cavallo reale e il mondo del sostituto cavallo-manico di scopa. Allontanandosi dal pensiero di Gombrich, sono due i punti di accesso che Iacono propone per sviluppare la problematicità del dialogo tra mondi messo in evidenza dall’hobby horse: la teoria della mimesis di Aristotele (per chiarire come il sostituto possa avere “un’autonomia relativa rispetto all’originale”) e la teoria del gioco di Gregory Bateson (per quel che concerne lo sguardo “a cavalcioni sulla cornice” tra il mondo reale e il mondo della fantasia). Se in Gombrich la rappresentazione perfetta è quella in cui non si può cogliere la differenza del sostituto con il sostituito, per Iacono è proprio la percezione della differenza che permette di far comunicare mondo reale e mondo della fantasia.
Definito il termine di relazione tra il mondo reale e il mondo creato dall’accettazione consapevole di un’illusione, Iacono introduce il lettore nella dinamica pratica di questa relazione. La finestra a cui l’autore fa riferimento nel titolo del secondo capitolo è il quadro pittorico descritto da Leon Battista Alberti. Un quadro, per Alberti, è una finestra che mette in relazione chi guarda un quadro con il mondo che il pittore ha voluto rappresentare. Iacono fa notare che nella descrizione di Alberti è molto importante la presenza della cornice del quadro. Il semplice sguardo del supporto dipinto, tela, cartone, muro o tavola, potrebbe ingannare chi osserva il quadro. Ciò che interessa a Iacono non è una rappresentazione per la rappresentazione ma è la rappresentazione che mette in contatto due mondi, e la cornice ha la sua importante funzione di delimitare prospetticamente l’accesso tra i due mondi (cfr. p. 50). Bene si coglie questa relatività con l’esempio della pittura di Cézanne. Iacono, in pochi tratti, definisce il salto di qualità che l’opera dell’ultimo Cézanne pone in essere. Similmente a ciò che accade nella pittura cinese, Cézanne non dipinge il visibile, non imita la natura, non copia e rappresenta il reale. Cézanne dipinge la sua idea di natura. Egli non tenta di sovrapporsi alla natura, ma, anzi, egli si affianca alla natura e ne propone un sostituto intellettuale (p. 55). Su questo punto Iacono introduce la problematicità della verità della rappresentazione. Ciò che propone Cézanne è reale o verosimile? Vero e falso come si distinguono? Iacono ritorna al discorso della cornice del quadro: bisogna percepire la cornice per appercepire il proprio sguardo sul mondo interno al quadro; su quella appercezione si può cogliere la relativa ambiguità della rappresentazione pittorica (pp. 63-65). Solo un ripensamento della realtà, della verità, del loro essere in relazione sul dipinto può far accedere al mondo intermedio che esiste tra il sostituto e il sostituito.
Di mondo intermedio parla Paul Klee, un mondo che è un modo di vedere la realtà attraverso illusioni che non sono condivise dalla maggior parte delle persone. Di una pluralità di mondi intermedi parla Iacono: “i mondi intermedi sono molti, che possono definirsi intermedi perché stanno concettualmente e strutturalmente in relazione tra loro e soprattutto perché ciascuno di essi non è una monade, non può vivere senza riferirsi a un altro mondo intermedio” (p. 69). Iacono rappresenta la sua teoria dei mondi intermedi con l’immagine del bambino che scopre il mondo con la coda dell’occhio sulla propria madre: “l’immagine della coda dell’occhio mette in rilievo la facoltà di saper vivere nella compresenza di più mondi in termini tali che l’immersione in un mondo non implica l’esclusione di altri mondi, ma la loro percezione laterale” (p. 71).
La “percezione laterale” di molteplici mondi intermedi apre a nuove domande: quale è il mondo della verità? È quello da cui osserviamo o è il mondo osservato? Quale è il mondo della finzione? Iacono introduce nuovi concetti da analizzare: il vero; il falso; il verosimile; il doppio e lo spettatore. In un sistema relazionale che fa connettere più mondi, più sensi, il pericolo (pensiamo a Platone) di sostituire il mondo ‘vero’ con il mondo della finzione, del verosimile, è sempre in agguato. I concetti di vero e falso non hanno più la stabilità teoretica - se mai l’hanno avuta - necessaria all’integrità psichica di un individuo (cfr. p. 14: “noi dobbiamo chiederci se l’ambito della sostituzione debba restare confinato a quello della nevrosi e della psicosi oppure se esso copra, se non tutto, gran parte del vasto e complesso territorio dei processi cognitivi”). Due sono i momenti  della filosofia in cui, con forza, viene scavalcato il problema della verità: con Nietzsche quando afferma che essendo l’uomo immerso nel linguaggio tutto è finzione; con Kant, spiega Iacono, quando l’inganno una volta scoperto smette di essere tale poiché “l’illusione essendo basata sulla verità, permane anche quando è stata avvertita la realtà illusoria” (p. 105). È la consapevolezza che fa percepire l’inganno come tale ed è sempre la consapevolezza a far percepire la realtà illusoria “come processo di verità”. È una prerogativa dello spettatore di una rappresentazione (l’apparire di un evento) di poter entrare consapevolmente nell’illusione e giudicare ciò che è vero e ciò che è falso.
“Quando la rappresentazione assume i tratti dell’imitazione, il riferimento diventa somiglianza e il rapporto tra il sostituto e il sostituito si basa cognitivamente sulla differenza nella somiglianza” (p. 121). Tre autorevoli filosofi sorreggono Iacono nella sua disamina del problema della rappresentazione e dello spettatore: Mendelssohn, Goethe e Nietzsche. Tratto comune fra Mendelssohn e Goethe è l’attivo coinvolgimento dello spettatore nella percezione della rappresentazione: lo spettatore deve percepire cognitivamente l’inganno che si svolge davanti ai suoi occhi, e di quell’inganno, deve saper “costruire un diverso rapporto con l’oggetto e la sua rappresentazione” (p. 123). La verità della rappresentazione non starebbe, per dirla con le parole di Goethe citate da Iacono, nella verosimiglianza della cosa rappresentata, ma nella rappresentazione stessa, nella relazione tra arte e natura che la rappresentazione mette in atto.
Il problema della rappresentazione si complica ulteriormente con Nietzsche poiché egli mette in discussione la peculiarità dell’uomo: l’intelletto umano è il sostituto ed esso “produce e utilizza finzione (Vertsellung)” (p. 128) attraverso il linguaggio: Nietzsche rivolta il rapporto platonico Idea-copia; non è più l’Idea ad essere la forma originaria e il mondo non deve più essere considerato un’approssimazione di quell’Idea. In Nietzsche “i concetti e le idee sono finzioni che si traducono in autoinganno quando gli uomini li credono esistenti in natura” (p. 130), sono l’autoinganno dell’intelletto che non ha più un vero legame con ciò che è la realtà. L’autoinganno nietzscheano permette all’uomo, guardando il problema da un’angolazione positiva, di percepire la rappresentazione del mondo come qualcosa di stabile, di socialmente condivisibile e vivibile. L’uomo, dice Iacono con le parole di Nietzsche, può costruire il suo mondo, diversamente da quello che capita agli altri animali. È la regolarità, la ripetitività, dell’autoinganno dell’intelletto umano che permette di costruire i concetti. È la mancanza di memoria che confina nell’oblio il fatto che la verità dell’uomo è una rappresentazione ‘irrigidita’ di una realtà sostituita (cfr. p. 135). Attraverso l’ironia, il gioco e la rappresentazione possono essere colti nella loro essenza di verità proprio perché forniscono all’uomo la cornice che Alberti, e Iacono con lui, riteneva necessaria per far dialogare verità e sostituto (cfr. il paragrafo Bateson e Winnicott, pp. 164-70). “L’io che ha la capacità di perdersi nella finzione può arrivare a concepire la stessa contrapposizione cartesiana tra l’io e il mondo come una finzione, come un ‘fare finta’, come un gioco di cui era sfuggita dunque la consapevole verità della sostituzione” (p. 185). Iacono invita a non dimenticarsi del sostituto e della cornice della rappresentazione: persi quei riferimenti si perde la possibilità di criticare il mondo, si perde la possibilità di situarsi tra il mondo.

Indice

Introduzione
1. Il problema del sostituto
2. Attraverso la finestra
3. Mondi intermedi
4. Duplicità e sdoppiamento
5. Copia, mimesi, sostituto
6. Imitazione e illusione
7. Verità e menzogna in senso extramorale
8. La verità del verosimile
9. L’illusione, l’ironia, l’umorismo
Ringraziamenti

L'autore

Alfonso M. Iacono insegna Storia della filosofia presso l’Università di Pisa. Tra le sue pubblicazioni: Autonomia, potere, minorità (Feltrinelli, 2000); Mondo intermedi e complessità (con Aldo G. Gargani, ETS, 2005); Storia. Verità e finzione (Manifestolibri, 2006).

Link

Pagine personali dedicate al prof. Iacono presso l'Università di Pisa:
- http://arp.unipi.it/listedoc.php?ide=000208&ord=C
- http://unimap.unipi.it/cercapersone/dettaglio.php?ri=3893&template=dettaglio.tpl

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