martedì 20 aprile 2010

Borsellino, Patrizia, Bioetica tra “morali” e diritto.

Milano, Raffaello Cortina, 2009, pp. 370, € 26,00, ISBN 9788860302427

Nota di Beatrice Magni - 20/04/2010

Etica, Filosofia del diritto

Perché negli anni Sessanta nascono il concetto e il termine ‘bioetica’? La comparsa della parola esprime l’improvvisa inquietudine per una vulnerabilità umana misurata nel vertiginoso sviluppo delle conoscenze intorno al vivente, e delle infinite possibilità di intervento sul corpo. Si tratta di una consapevolezza emersa negli Stati Uniti in seguito allo svilupparsi di una ricerca sull’uomo capace di mobilitare considerevoli risorse umane e finanziarie, nell’ambito di una società intrisa di “valori” iscritti nel diritto della vita quotidiana? O, più semplicemente, è l’esito della reazione conseguente alla sconvolgente scoperta del modo con il quale il nazismo trattò il corpo, la dignità e la libertà di milioni di persone?
Probabilmente una congiunzione di tutti questi fattori che, negli Stati Uniti, hanno trovato modo di cristallizzarsi in questo termine diventato universale. Poiché, in effetti, la parola è nata negli Stati Uniti dalla penna del medico americano Van Rensselaer Potter, che la utilizzò in un libro del 1971, Bioetica: The bridge of the Future, un testo ponte destinato a introdurre l’etica nel sapere biologico e scientifico. L’ambizione iniziale, in effetti, era quella di esplorare l’insieme delle ricerche sul vivente con l’obiettivo preciso di garantire le migliori condizioni alla sopravvivenza dell’essere umano e del pianeta. Rapidamente, però, la dimensione globale-planetaria andrà riducendosi all’analisi dello sviluppo delle scienze biologiche applicate alla medicina – e fondamentale, in questo senso, sarà l’influenza del fondatore del “Kennedy Institute of Ethics”, André Hellegers. Questa focalizzazione sulla medicina continua però a porre problemi di fondo, in particolare riguardo i limiti della riflessione intorno al vivente – uomo, animale, vegetale. Il termine ‘etica applicata alla scienza rischia dunque, in questa fase, di rimanere prigioniero del suo oggetto, piuttosto che alimentare una specifica riflessione.
Ed ecco che, improvvisamente, il termine ‘bioetica’ riesce a coinvolgere tutti, teologi, filosofi, giuristi, scienziati, medici, agenti e pazienti, in una riflessione comune nella quale tutti hanno diritto di parola. Una ‘trans-disciplinarità’ che viene però fraintesa. Per molto tempo, in effetti, gli scienziati accettarono con riluttanza che le loro ricerche e i loro interventi sul corpo fossero sottoposti ad uno sguardo esterno, privo di competenze scientifiche. Accettarono con riluttanza il giudizio dei filosofi, dei teologi e dei giuristi. Nonostante ciò, la ricchezza della bioetica sembra risiedere precisamente in questo incontro permanente tra punti di vista diversi e differenti. Una bioetica che fosse solo l’espressione di una riflessione scientifica non avrebbe senso nella contemporaneità, non più di una bioetica dal profilo strettamente religioso, filosofico o giuridico.
Le questioni fondamentali che riguardano il corpo suscitano, a seconda delle varie culture e sensibilità, risposte molto diverse, in quanto relative a diversi dilemmi, quali ad esempio l’inviolabilità o meno del corpo da parte della scienza e della ricerca medica, l’indisponibilità di questo corpo, la sua potenziale commercializzazione, il rapporto tra il corpo e la persona, lo “status” dell’embrione e del feto, l’atteggiamento nei confronti della nascita e della fine della vita, la definizione di morte clinica, biologica e cellulare, i rapporti del gene rispetto al corpo e alla persona e, da ultimo, controversie più recenti come quella relativa alla dimensione economica della cura.
Ognuno di questi ambiti è inesauribile, ma sempre centrato sullo stesso problema fondamentale e tuttavia inafferrabile. Che ne è del rispetto della dignità umana? Che cosa significa rispettare il corpo? La dignità consiste nel rispetto di questo corpo? Il corpo è una proprietà? Ho un corpo, o sono un corpo? Se il corpo è, in effetti, semplicemente a disposizione dello spirito, allora è indefinitamente misurabile, riparabile, modificabile, votato all’oggettivazione e modellabile come una materia, secondo la concezione platonica più ortodossa. Se, al contrario, il corpo non è solo quello nel quale vivo, ma anche quello senza il quale non ho un’esistenza autonoma, allora non è più discrezionalmente “violabile” da parte della medicina. Il corpo si confonde con la persona, e non solo sul piano simbolico. Questa dualità, o questo monismo, traducono e giustificano conflitti di valore mai stati così attuali.
Il saggio di Patrizia Borsellino si propone di indagare le tensioni morali e giuridiche esistenti tra ricerca e pratica clinica in campo biogenetico, nell’ambito di società pluralistiche: la bioetica rappresenta il luogo privilegiato della riflessione dell’autrice, il contesto “nel quale si devono cercare e si possono trovare risposte alle domande relative alla spettanza delle decisioni e ai confini della relazione di cura, soprattutto – ma non solo – quando si è in presenza di situazioni critiche […] oppure alle domande relative ai benefici e ai rischi della sperimentazione, così come alle concrete opportunità e ai reali pericoli collegati alle applicazioni delle conoscenze acquisite nell’ambito della genetica” (p. IX). La versione di bioetica qui considerata si propone di essere immune da tentazioni e vicoli ciechi, quali la banalizzazione – la trappola della dipendenza dal pregiudizio, da quello che John Stuart Mill definirebbe il magico potere della consuetudine -, la logica del sospetto nei confronti del progresso scientifico, e un’ideologica intransigenza che pone il veto su qualsiasi opportunità di riflessione critica verso gli ambiti normativi della morale (le morali, come sottolinea l’autrice) – etica e meta-etica – e delle deontologie, mediche e giuridiche. E giuridico è il filo rosso della riflessione, il punto di vista privilegiato del testo (con prevalente, ma non esclusivo, interesse per il contesto italiano): i casi esemplari di controversia – fecondazione artificiale, sperimentazione sugli embrioni, aborto, ingegneria genetica, testamento biologico, eutanasia – sono esaminati secondo i criteri descrittivi della genealogia e del confronto, e con ambizione normativa, in termini di ricerca di soluzioni ragionevoli e argomentate prese di posizione a favore della strada ritenuta preferibile. A governare l’argomento normativo sono principalmente il criterio del danno, secondo il quale il controllo sociale, sotto i due aspetti della coercizione legale e della verifica dell’adeguamento individuale allo standard morale, potrà interferire solo a scopi protettivi della (ancora) milliana sfera other regarding, e il rispetto dell’autonomia, intesa come competenza e capacità individuale di “dar forma alla propria esistenza” (p. XIII).
Il capitolo di apertura è dedicato a definire i confini di una bioetica intesa come etica critica, ovvero impegnata a fare distinzioni tra stati del mondo, identificare criteri per valutare stati del mondo, ordinare stati del mondo possibili, secondo criteri di ragionevolezza. La bioetica presa sul serio – nei suoi aspetti descrittivi, metaetici, e normativi – sarà dunque in grado di assumere, e soprattutto mantenere, un carattere filosofico e un metodo scientifico, tale da permettere di affrontare questioni (e dilemmi) normative e valutative plurali. ““Bioetica, rectius “bioetiche”” (pag. 9), dunque: “non vi è, cioè, un unico modo di intendere e di praticare la bioetica, perché diversi sono i modi di intendere la natura, il ruolo e gli obiettivi dell’etica filosofica di cui in essa si fa applicazione… se la bioetica ontologicamente fondata si iscrive nell’orizzonte di una metaetica oggettivistica a impronta assolutistica, che fa dell’etica l’ambito per il raggiungimento della “Verità intorno a ciò che costituisce il bene ultimo dell’uomo, sul presupposto dell’esistenza di assunti, principi, valori morali da considerarsi validi e indiscutibili in virtù della fonte, esterna all’uomo (Dio, la Natura, la Società), da cui promanano, oppure in virtù della loro inerenza costitutiva all’ontologia dell’uomo, la bioetica come autonomo contesto giustificativo fa propri gli assunti delle concezioni metaetiche di tipo non oggettivistico e non assolutistico, sia nelle versioni non cognitivistiche, che pongono l’accento sulle scelte soggettive inevitabilmente implicate dai giudizi di valore, sia nelle versioni moderatamente cognitivistiche, nelle quali si attribuisce rilievo al ruolo decisivo che hanno le informazioni empiriche e le analisi razionali nella costituzione delle prese di posizione morali” (pp. 9, 17). Se il corredo biologico è esso stesso plasmato socialmente da pratiche e istituzioni, nel secondo capitolo l’autrice indaga precisamente quello che indica come un “tardivo interesse dei giuristi per le questioni bioetiche e, conseguentemente, lo scarso apporto che, almeno fino a un certo punto, alla bioetica è venuto da una riflessione realizzata in prospettiva giuridica” (p. 44), cui deve necessariamente rispondere un cambio di direzione e di prospettiva nel quale il diritto positivo entri a pieno titolo nella bioetica toolbox, in qualità di risorsa non solo inevitabile, ma anche e soprattutto imprescindibile. Questa nuova prossimità tra morale e diritto si declina nei modi plurali di una filosofia del diritto di orientamento analitico, che trova in Norberto Bobbio e Uberto Scarpelli referenti esemplari, e si distingue per il “rifiuto delle sintesi ardite e delle evoluzioni nei cieli della metafisica e, per contro, dall’adozione, prima di tutto, di uno “stile di lavoro” in cui si dà precedenza all’analisi sulla sintesi, con la convinzione che sia la strada da percorrere se si hanno a cuore la chiarezza e il rigore concettuale” (p. 53). In un mondo caratterizzato da ciò che John Tomlinson (Sentirsi a casa nel mondo. La cultura come bene globale, Milano, Feltrinelli, 2001) chiama “connettività complessa”, intesa come il rapido sviluppo e il costante infittimento della rete di interconnessioni e interdipendenze che caratterizzano la vita sociale moderna, l’accostamento critico tra materia bioetica e qualificazione problematica di categorie giuridiche consolidate o disponibili è reso necessario dall’accelerata ed eterogenea compresenza di differenze in uno spazio comune, alias multiculturalismo (si pensi, ad esempio, alla nozione di persona indagata nel saggio, e alla connessa difficoltà di tracciarne i confini). Il richiamo – da parte dell’autrice - alla teoria analitica dei concetti suona, tuttavia, anche e forse soprattutto come una messa in guardia contro un “diritto che, pur in presenza di un diffuso pluralismo etico, sancisca la superiorità di un sistema particolare di valori morali (il lato oscuro del multiculturalismo, ben evidenziato da S. M. Okin, ndr), lungi dall’essere la migliore, o addirittura la sola strada percorribile, rischi di trasformarsi in “veicolo di autoritarismo”, in strumento per l’imposizione di certezze morali che la società non ha” (p. 69).
Che direzione prendere, dunque, a partire da questo sfondo plurale? Si andrà procedendo secondo inclusioni virtuose, o per opposizioni funzionali? La soluzione proposta comprende elementi di compatibilismo – evidente nell’affermazione secondo la quale “… si tratta di un modello conforme all’idea del diritto come “regola di compatibilità” tra valori differenti, piuttosto che come “regola di preponderanza” di un solo valore o sistema di valori – ma non dimentica il weberiano e tragico “patto tra potenze diaboliche” contenuto in Politik als Beruf , di un’etica della responsabilità attenta alle conseguenze, ovvero politicamente ‘spendibile’, ma anche lucidamente consapevole che in date circostanze un bene può nascere anche da un male, e viceversa, e che tracciare confini è la mossa cruciale. “… Eppure nessuno tenterebbe di fare nulla, se non avesse la prospettiva di pervenire a un limite. E non esisterebbe neppure intelligenza, perché chi ha intelletto agisce sempre in vista di qualche cosa, e questo è un limite: il fine infatti è un limite” (Aristotele, Met. II.): se la bioetica è luogo di sfide considerevoli, la più considerevole tra tutte è quella relativa alla definizione di un senso del limite, inteso in prima istanza come una rassegna di reali soluzioni, di vie effettivamente percorribili (siano esse inerenti alla pianificazione di politiche pubbliche e alle decisioni sulle cure, come appare chiaro nei capitoli 4 e 5 del testo, al potenziamento di alcune leggi, allo sviluppo di nuovi modi di pensare e così via) per migliorare – dove e quando necessario - la condizione del soggetto umano.
Nei capitoli che seguono, e che rappresentano il corpo centrale del testo, i capitoli sesto – relativo al caso delle mutilazioni genitali femminili, il settimo – relativo alla sperimentazione clinica, terapeutica e farmaco genetica, sull’uomo, e l’ottavo – relativo ai modelli che disciplinano la procreazione, il saggio di Borsellino entra a pieno titolo nelle pratiche e nelle (buone e cattive) prassi, interrogando quindi e mettendo in questione il difficile equilibrio tra le istanze di un liberalismo politico - un contesto condiviso in cui ogni cittadino acconsente che ciascun altro (senza distinzione di razza, genere, classe sociale e così via) abbia la sua stessa libertà di scelta - e quelle suggerite da un liberalismo onnicomprensivo. Il nodo problematico del rispetto dell’autonomia individuale come condizione per il rispetto delle culture verte, insomma, sul definire, di volta in volta, i confini di questo imprescindibile interesse, e il “caso estremo delle mutilazioni genitali femminili” rappresenta in tal senso un caso esemplare di analisi della controversia tra universalismo e particolarismo dei diritti, declinata nei meccanismi della cultural defense, in promesse di libertà da aspettative altrui aprioristicamente fondate, nella diffidenza contro “creative” appropriazioni di sapere e potere, in una parola, nelle inadeguatezze e nelle tensioni del liberalismo dell’anno duemila dove, come scrive l’autrice, “bisogna acquisire una sempre più solida consapevolezza che la difesa dei diritti fondamentali e l’affermazione della loro inviolabilità, lungi dall’entrare in conflitto con il rispetto dovuto alle diverse culture, costituiscono la condizione per la sopravvivenza di quelle culture a cui gli individui scelgono di appartenere, condividendone i valori e i principi ispiratori, fermo restando che i diritti fondamentali, in quanto “leggi del più debole contro la legge del più forte che vigerebbe in loro assenza…valgono a proteggere la donna o il minore o l’oppresso anche contro le loro culture e perfino contro le loro famiglie”” (p. 192).
Ma è forse nel capitolo dedicato al rapporto e alle tensioni tra le nuove frontiere della genetica e il diritto, che l’autrice pone le premesse ulteriori per “affrontare correttamente la questione del rapporto che sussiste tra determinate acquisizioni scientifiche e l’adozione di altrettanto ben determinate soluzioni normative o politiche sociali” (p. 285). Se, infatti, tra la deferenza nei confronti delle differenze e l’imposizione monista di un Bene, la “domanda intorno ai valori” non può essere elusa, e la scienza non sempre indica la strada, perché non sempre è in misura di dire tutto circa “i fini da raggiungere mediante gli strumenti che consente di approntare” (p. 288), quello di Patrizia Borsellino – si vedano in tal senso gli ultimi due bellissimi capitoli - è soprattutto un ragionevole richiamo a non semplificare, perché “in ogni stato liberale c’è posto per ciascuna chiesa ma non per una chiesa di stato, per ciascuna nuova impresa ma non per il tipo di potere economico che determina da sé la politica pubblica, e così via. Gli individui che abitano una società sono liberi ed eguali quando ogni istituzione di quella stessa società è autonoma: la libertà è adattiva, consiste di diritti all’interno di ambienti diversi, e dobbiamo capire gli ambienti, uno per uno, se vogliamo garantire i diritti. Il liberalismo è insomma l’arte di tracciare confini; è agli stessi cittadini insieme con lo stato che spetta decidere dove tracciare le linee che racchiudono – e dividono - le diverse sfere sociali: in questo senso la mappatura degli spazi istituzionali è una decisione politica: le linee […] saranno tracciate qui e là, in maniera sperimentale e talvolta sbagliata. […] Probabilmente non le otterremo mai esattamente giuste, e la mutevolezza di stati e mercato richiede, in ogni caso, la loro continua revisione. L’importante è che non si abbandoni la pratica di questa fondamentale arte: la conquista del liberalismo è reale anche se (sempre, ndr) incompleta” (M. Walzer, “Liberalism and the Art of Separation”, Political Theory, vol. 12, n. 3, august 1984).
Qual è, in ultima istanza, il rapporto tra la bioetica e la deontologia? La deontologia crea un obbligo di rispetto delle regole per tutti coloro che praticano una stessa disciplina o professione. L’etica pone la questione delle scelte non semplici, quella nelle quali emergono forti conflitti valoriali. L’etica non è là per risolvere i problemi, ma per sollevarli. Il concetto di bioetica si applica, secondo le circostanze e le persone, ad ambiti plurali che riguardano, nello stesso tempo, la ricerca sull’uomo, la riflessione sul rapporto tra tecnoscienze e essere umano, o ancora, a particolari e differenti situazioni cliniche. Queste specificità, che dovrebbero restare separate, hanno la tendenza a sovrapporsi: ciascuna vorrebbe iscriversi, nello stesso tempo, nel concreto immediato e nell’universale del pensiero; fare della casistica sull’interruzione di gravidanza e derivarne un giudizio definitivo sullo statuto dell’embrione.
La bioetica tra morali e diritto rimane dunque un’interrogazione fondamentale sempre aperta, da riprendere in continuazione, sulle nostre capacità di agire sul nostro destino, rispettando sia l’orgogliosa esigenza del progresso conoscitivo, sia la nostra umiltà di umani votati alla finitudine e alla ricerca. Qual è la sfera dell’etica? Quali i suoi riferimenti? Quali le istituzioni? E quale, infine, il futuro degli umani?
La bioetica è una disciplina che si può trasmettere, secondo norme oggettive e a partire da un sapere, o resta un’interrogazione esistenziale individuale, messa semplicemente in comune da comitati ad hoc? Probabilmente né una cosa né l’altra. Non è nata spontaneamente da una buona volontà né da una convinzione religiosa, razionalista o scientifica. Non rappresenta un corpus di leggi. È un’esigenza di responsabilità, quindi di conoscenza dell’immenso cantiere di riflessioni aperto da più di mezzo secolo per derivarne le risorse necessarie ad affrontare con la maggiore lucidità possibile l’avvenire del rapporto tra la scienza e i terrestri.
Proviamo a chiudere il cerchio, torniamo all’inizio: “In altre parole, quella sottoscritta è la prospettiva in cui il rifiuto di pretese verità etiche, attingibili per vie diverse dall’indagine empirica e dall’analisi razionale, va di pari passo con la convinzione, presente in tutti coloro che fanno propria in filosofia l’opzione per lo stile analitico, che, solo realizzando discorsi di cui siano chiari i punti di partenza, i passaggi e i punti di arrivo, si possa pervenire, per le questioni sollevate dalle condotte in ambito sanitario e, più in generale, in ambito biogenetico, se non a soluzioni definitive, senz’altro a soluzioni da considerare sempre più valide, perché sempre più supportate e garantite dalle conoscenze disponibili, così come dalle analisi razionali realizzabili” (p. 16). Il saggio di Patrizia Borsellino, e il suo invito ad indagare sempre nuove giurisdizioni sensibili alla cultura, capaci di mediare tra valori diversi e conflittuali tramite il raggiungimento di compromessi equilibrati, e perciò largamente condivisibili, ci appare ora, a libro ancora aperto, un invito irrinunciabile.

Indice

La bioetica: problemi, sviluppi, prospettive 
Bioetica e diritto 
Il rapporto medico-paziente tra morale, deontologia e diritto: diritti, doveri, responsabilità 
Gli strumenti della libertà del paziente in ambito sanitario: informazione, consenso, riservatezza 
Decisioni sulle cure: direttive anticipate e altri strumenti in previsione dell’incapacità 
La medicina di fronte alla sfida del multiculturalismo: il caso estremo delle mutilazioni genitali femminili 
Sperimentazione clinica sull’uomo e tutela dei soggetti 
Le regole per la procreazione: modelli a confronto 
Le nuove frontiere della genetica e il diritto 
Lo stato vegetativo permanente come problema bioetico e giuridico 
Eutanasia tra morale e diritto: argomenti contro e argomenti a favore 
Cure di fine vita e dignità del morire


L'autrice

Patrizia Borsellino, professore ordinario di Filosofia del diritto all’Università di Milano Bicocca, è presidente del Comitato per l’etica di fine vita e vicepresidente della Consulta di bioetica.

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