giovedì 15 aprile 2010

Forni Rosa, Guglielmo, L'amore impossibile.

Genova-Milano, Marietti, 2010, pp. 200, € 22,00, ISBN 9788821165290.
Antropologia filosofica

Recensione di Rolando Ruggeri - 15/04/2010

Il testo è una raccolta di saggi apparsi tra il 1970 e il 2000, tranne il primo, inedito, che fa da introduzione. Il libro verte su un tema estremamente complesso e delicato: la percezione che l'uomo ha del mondo.

Il saggio introduttivo pone la domanda: "che cos'è un'autobiografia?", che sembrerebbe meritare una risposta semplice, quasi banale: la vita di un uomo raccontata da se stesso. Le cose non stanno in modo così piano. Nel giro di poche pagine l'autore fa intuire la profondità dell'argomento. Occorre anzitutto distinguere tra un piano storico, oggettivo, 'reale' ed un piano interiore, soggettivo, che organizza gli eventi della vita. Solo la riflessione del soggetto può dare un senso al vissuto, al ricordato. L'autobiografia è composta da questo: una storia organizzata filtrata dai ricordi, che non sono mai oggettivi in quanto sono anch'essi frutto di una mutazione. Raccontare se stessi diventa qualcosa di mediato dall'interpretazione personale degli eventi vissuti. Diversi sono gli autori citati, da Dilthey a Cassirer, da Rousseau a Levi-Strauss, da Dostoevskij a Borges.

Il secondo saggio, “Claude Lévi-Strauss: dal dubbio antropologico alla metafisica dell'inconscio” pone un quesito fondativo: per studiare l'uomo occorre esaminarlo con distacco e freddezza oppure occorre partecipare della condizione di uomo? Lévi-Strauss esamina la posizione di due filosofi che hanno segnato una opposizione radicale nel modo di intendere la questione. Cartesio “concepisce l'intero mondo come oggetto perché pone soltanto se stesso come soggetto: il mondo è tutto oggettivo, l'io tutto soggettivo” (p. 56), Rousseau percorre la via opposta, alla cui base è “l'elemento pratico-affettivo: 'la pietà, derivante dall'identificazione a un altro che non è solo un parente, un vicino, un compatriota, ma un uomo qualsiasi, dal momento che è un uomo, anzi, un essere vivente qualsiasi, dal momento che è vivente'” (p. 57). La svolta è chiara ed essenziale. Cartesio pone un unico soggetto che percepisce un mondo del tutto oggettivo ed esterno; Rousseau intuisce la partecipazione del mondo e degli altri individui alla coscienza propria dell’essere vivente. In altre parole Rousseau apre alla possibilità di uno studio ‘partecipato’ dell’uomo e della società. È la fine di una troppo rigida interpretazione delle altre culture in base a schemi prestabiliti, che non tengono conto di una soggettività ineliminabile di ciò che Cartesio riteneva puro oggetto. Lo studio di Lévi-Strauss ricerca, attraverso questa ‘partecipazione’ e somiglianza tra gli uomini, la struttura fondamentale che guida l'essere umano. La dicotomia cartesiana tra soggetto e oggetto, ricucita da Rousseau, deve di nuovo ripresentarsi una volta che il soggetto abbia acquistato consapevolezza di partecipare egli stesso all’oggetto: “per comprendere convenientemente un fatto sociale, è necessario afferrarlo totalmente, cioè dal di fuori, come una cosa, ma come una cosa di cui fa parte integrante l’apprendimento soggettivo” (p. 61). Questo  terreno di incontro tra il soggetto e l’oggetto, tra l’io e l’altro, è la struttura profonda che regola la vita di tutti gli uomini.

Il saggio “Borges o della solitudine” si muove su un terreno molto simile. Lo scrittore argentino mostra nelle sue opere una serie di eventi che appaiono slegati tra loro, indipendenti. Accanto ad una frammentazione formale della vita troviamo qualcosa di più profondo, che diventa una sorta di piano sotterraneo che agisce nascosto dall'apparente frammentarietà degli eventi. È quella struttura che Lévi-Strauss poneva quale ‘tesoro’ da disseppellire per una genuina comprensione del mondo. Borges disseppellisce il ‘tesoro’ e lo pone davanti al lettore in modo palese. Ciò che all’inizio delle proprie opere Borges descrive come autonomo, nel volgere delle storie viene ad essere dipendente da una ragione che tutto guida. La posizione a cui Borges porta il lettore è quella di un unico autore, che unisce in sé tutte le opposizioni ed elimina ogni differenza personale in un piano universale che si realizza nel corso dei secoli e dei millenni.

L’irriducibilità delle coscienze individuali ad un unico piano è invece argomento del saggio dedicato alla interpretazione che Michail Bachtin fa di Dostoevskji. Il campo letterario diviene un insieme di voci, un intreccio di coscienze senza che sia assorbita dal piano narrativo che trova negli eventi narrati una necessaria linea unitaria. L'interpretazione del grande autore russo fatta da Michail Bachtin è quella di un palco calcato da più personaggi senza che sia definito un vero e proprio protagonista di scena; tutti i personaggi sono drammaticamente contrapposti tra loro, lo spazio narrativo è invaso da molteplici flussi di coscienza. Dostoevskij rivoluziona il modo di intendere la narrazione, “ là dove gli altri vedevano un solo pensiero, egli ha saputo trovare e sondare due pensieri, uno sdoppiamento” (p. 98). La trama diventa un coro, e questa complessa modulazione di note evoca la complessità di una realtà irriducibile (come già Forni Rosa ha mostrato in altri saggi) ad una interpretazione lineare. Di nuovo si trova la struttura profonda degli uomini in quello spazio che costituisce l’interazione tra essi. Anche se Dostoevskji è lontano dal volerlo teorizzare, la compresenza delle coscienze nelle pagine dei propri romanzi, rivela antropologicamente la partecipazione di ogni uomo con il suo simile, uniti da quella struttura che già Forni Rosa parlando di Lévi-Strauss indicava con chiarezza.

Senza entrare nel merito di ogni interessante saggio, vale notare la ricerca generale di una ‘forma’ per collocare la realtà degli eventi entro gli umani orizzonti mentali. Si possono considerare i fatti come qualcosa di esterno, oggettivo, come qualcosa di puramente interno e costruito dall'uomo stesso, oppure guidati da una sorta di legge superiore (non necessariamente divina) che fonda il piano reale. Gli altri autori puntualmente esaminati nel testo sono Cassirer, Dilthey, Thomas Mann, Goethe e Nietzsche. Il punto centrale diventa il mondo della fantasia. Se i fatti della vita sono necessariamente organizzati grazie ai ricordi, occorre tenere presente un’altra questione. Nel ricordo compare spesso un elemento di ‘disturbo’, “non è possibile separare nettamente l’esperienza accumulata e la fantasia che liberamente crea” (p. 155). L’esperienza si cancella con il passare del tempo e la fantasia può anche prendere il sopravvento, portando alla follia oppure, nel caso la fantasia sia incanalata in modo virtuoso, alla ‘fantasia poetica’. Il processo artistico può quindi trovarsi in questo punto di incontro-scontro tra ricordo e fantasia, tra identità vissuta e identità costruita, con tutti i rischi che comporta il muoversi su questo incerto crinale. La paura di essere travolti da questo processo è di Goethe come di Rousseau ma affrontarla ci riporta al tema centrale del testo.

Come si è visto nel saggio dedicato a Lévi-Strauss, per riuscire a comprendere il mondo occorre prima parteciparvi empaticamente poi osservarlo nuovamente in un nuova (e non la stessa in cui costringeva l’orizzonte cartesiano) ritrovata posizione esterna. Ora, analogamente, “l’arte si trova in una condizione strana e paradossale: essa si allontana dalla vita per meglio comprenderla; l’elaborazione fantastica del dato reale, ovvero l’elaborazione interna del materiale esterno, è il processo in cui avviene un nuovo incontro particolare, tra me e gli altri, tra l’immaginazione e la realtà, tra l’individuo singolo e la sua condizione storica” (p. 159).

L’ultimo saggio è dedicato a Rousseau e dà il titolo all’opera. Il matrimonio e l’amore sono in Rousseau lo specchio di quella tensione tra passione e matrimonio quali rispettivamente istinto e contratto; di nuovo tornano immaginazione (sentimento) e realtà (matrimonio), in una antitesi che riesce a risolversi nell’opera di Rousseau con l’accettazione del matrimonio da parte di Giulia (nella Nuova Eloisa) e nella sua estrema fedeltà a questo istituto. Sta nell’inquietudine di Giulia il segno della concezione negativa del mondo di Rousseau. Giulia trova nella fantasia il suo rifugio, il “paese delle chimere” diventa un mondo migliore di quello in cui le è toccato di vivere. “Non esiste nulla di bello se non ciò che non esiste” (pp. 192-193), ecco la conclusione di Giulia, forse persa con l’autore che l’ha creata in quella dimensione difficile che sta fra realtà e immaginazione e che, come Forni Rosa suggerisce, può dare vita a creazioni artistiche fantastiche, oppure a fughe da un mondo non riconosciuto come vivibile.

Indice

Che cos'è un'autobiografia? Modelli e problemi della confessione

Claude Lévi-Strauss: dal dubbio antropologico alla metafisica dell'inconscio

Borges, o della solitudine

Michail Bachtin: il romanzo polifonico di Dostoevskij

L'autoalienazione del soggetto dell'ultimo Rousseau

Cassirer e la dimensione simbolica

Un mondo oltre il mondo. Vita e poesia nella formazione del concetto di spirito

L'amore impossibile. Passione e matrimonio nella Nuova Eloisa


L'autore

Guglielmo Forni Rosa, allievo di Felice Battaglia, ha insegnato Filosofia morale e Antropologia filosofica presso la Facoltà di Lettere di Bologna. Membro del dottorato in Studi religiosi della stessa Università e del consiglio di amministrazione della “Société internationale des amis du musée J.-J. Rousseau” (Montmorency). Tra le sue pubblicazioni: Il dibattito sul modernismo religioso (Laterza, 2000), Destino della religione. Il cristianesimo moderno fra scienza storica e filosofia della storia (Marietti, 2005), “Scienza e religione: i modernismi cristiani” in Religioni e modernità, a cura di G. Filoramo (Einaudi, 2008), Simone Weil politica e mistica (Rosenberg & Sellier, 2009).

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