domenica 11 aprile 2010

Tarizzo, Davide, La vita, un’invenzione recente.

Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 236, € 20,00, ISBN 9788842092100.

Recensione di Stefano Grosso - 11/04/2010

Filosofia morale

Kant, in un luogo della sua bibliografia, si domanda: Wer ist der Mensch? Sebbene tale domanda appaia solo timidamente nel corso dell’ultimo lavoro di Davide Tarizzo, sembra sia tale interrogativo a scandirlo del tutto – lo si potrebbe persino ritenere una sorta di “controcampo morale” rispetto l’analisi politica svolta in precedenza (Giochi di potere, sulla paranoia politica Laterza, 2007). Premesso ciò, rintracciate Le parole e le cose di Michel Foucault, l’autore apre il proprio spazio d’indagine sulla modernità – iniziata, seguendo Foucault, non con Cartesio bensì con Kant – e a ruota sulla vita. La modernità è la messa a distanza del soggetto da se stesso in un luogo nello spazio e nel tempo: è s-oggettivazione. Ed è in questa spaziatura che Foucault rintraccia la nascita, oltre che della biologia come scienza della vita, di un nuovo dispositivo di potere che ha di mira la vita stessa, la “bio-politica”. Così, da una mera tassonomia sulla vita, svolta nel precedente periodo storico, che pone gli esseri viventi in una classificazione rigorosa, si perviene attraverso la cultura moderna a una completa astrazione del concetto di vita, scompigliata in un dispositivo ontologico definito “selvaggio”. Di cosa si tratta? Di un impeto misterioso che gli esseri possiedono. In cosa consiste? Nel semplice fatto di esistere: una forza, impenetrabile alla ragione, che spinge gli esseri a vivere, alla vita tout court. La vita costituisce allora il fulcro dell’essere; è l’irrequietezza di una pulsione che dà e toglie essere all’essere che, vivente, agisce nel mondo e nello stesso istante ne viene consumato. La vita è dunque un tessuto che lega l’essere e il non-essere. L’autore ne rintraccia poi ulteriori informazioni riversandosi in un doppio paradigma, scientifico e metafisico. Nel primo incontra la biologia che, nonostante lo statuto scientifico che contrae all’oggettività, evidenzia la chimerica impresa di una descrizione positiva della vita. L’altro versante, che rimane perlopiù onnipresente, è quello che sfocia invece in una metafisica della vita. Foucault, tuttavia, non chiarisce il rapporto tra questi due versanti, vuoi perché non utile alla sua indagine o perché già arrischiato dalla stessa. Così, allo scopo di ampliare il quadro di ciò che è stata chiamata ontologia “selvaggia”, Tarizzo interviene ancorando il paradigma metafisico e biologico rispetto ai versanti di autonomia della volontà e della vita e assevera: “La soglia metafisica della modernità è l’autonomia (p. XVIII)”. Questi campi versanti, a dispetto di quanto avviene nella contemporaneità, nell’individuo moderno non appaiono come divisi tra loro, con la sicurezza di cadere da una parte o l’altra del declivio, ma si espongono integrandosi a vicenda. Per cui: per Foucault la vita è un concetto ineffabile che funziona semplicemente da indice epistemologico, un “quadro di riferimento”, privo di afferenze con la realtà, utile per scandagliare, delimitare e quindi orientare i confini di certi discorsi. Così l’intento di questo libro è “completare o almeno ampliare il quadro, da lui parzialmente abbozzato, dell’ontologia selvaggia [ibidem].
Nel primo capitolo del libro, Tarizzo, orbitando attorno al concetto di volontà per ricercarne una definizione, conduce una ricognizione filosofica dai principali esponenti del pensiero antico fino a quello cristiano. Ricerca il cui esito è perentorio: non vi è traccia di alcun riferimento alla volontà. Prima di vederla affiorare bisogna attendere Agostino d’Ippona – che per Hannah Arendt costituisce il primo filosofo della volontà – che fa della volontà, insinuata come volutas, ciò che singolarizza un individuo nel proprio principium individuationis. Tale principio misura la forza della volontà in una scala verticale la cui sommità è rappresentata da Dio, cui più si avvicina e più si consolida la volontà, e la base dall’animalità, che costituisce il massimo degrado dell’individualità. Ma il primo vero pensatore che lega la volontà al fattore dell’autonomia introducendo l’autonomia della volontà o volontà autonoma come “fatto della modernità (p. 7)” è Kant, che disgiunge ogni legame dal teleologico e patologico, o dalla volontà eteronoma. Si deve ancora a Kant la consacrazione del principio di autonomia a imperativo categorico per l’individuo e ciò conduce a tre esiti fondamentali per questo discorso sulla vita. In primo luogo il volere non è sostanza ma forma astratta, che fornisce una direzione ma che non possiede alcun nesso con l’oggetto. Il secondo esito è la volontà come fatto del Sé, come ciò che solo deve essere e dare ragione al Sé. Terzo e ultimo esito, conclusione e conseguenza dei primi due, è l’emergere stesso del concetto di autonomia come soglia metafisica della modernità. Seguendo a ruota la Weltanschauung kantiana, la volontà, come il noumeno e imperativo kantiano, è il principio del pensare senza forma, scisso da qualsiasi contenuto – costituito bensì dalla ragione. L’autonomia è allora una clausola che si conserva senza riserve nel pensiero, è la libertà scissa dalla Wirklichkeit. Ma come dare contenuto a questo imperativo? Come può l’individuo affacciarsi, ricongiungersi, ed essere quindi sincero, nei riguardi del proprio Sé? Attraverso la Storia che aggiudica la libertà a chi supera i contrasti nel contendersi il diritto al lavoro e alla vita. Seguendo però la lettura hegeliana di Alexandre Kojève, la lotta per il diritto al lavoro nella modernità non può aver luogo quando la Storia si è già realizzata. Non resta che seguire la vita o forza-di-vita – da Darwin questi due concetti vengono scissi –, che traccia e indica sola il percorso all’individuo per ricongiungersi con la propria umanità – per Kant l’individuo desidera Sé, è spinto a Sé, vuole Sé –, non in una contesa che guarda i motivi del passato o ferma al presente ma che volge lo sguardo verso un futuro da organizzare e redigere. L’uomo non può sempre mentire a Sé, pena l’annichilimento. Deve essere, prendendo in prestito la metafora foucaultiana, come un “cambiamonete” che, scrutando minuziosamente in se stesso, traccia le condizioni della menzogna cercando di comporre la possibilità della propria verità.
La vita possiede tre proprietà essenziali: “La vita è individuazione di sé […]. La vita è lotta per la vita […]. La vita è volontà di salute [pp. 37-38]”. La percezione stereoscopica del soggetto è garantita dalla forza-di-vita come incessante svisceramento e qualificazione del Sé. Fin qui però il problema permane: qual è il medium tra la vita o forza-di-vita così concepita e la Wirklichkeit? Fichte fornisce una risposta in un principio: “L’Io è il primo principio di ogni movimento, di ogni vita, di ogni atto, di ogni evento”, vale a dire: “Il mondo deve diventare, per me, ciò che per me è il mio corpo. Ora, questa meta è certo irraggiungibile, ma io devo sempre avvicinarmi a essa, devo quindi nel mondo sensibile fare tutto ciò che possa costituire un mezzo per raggiungere questo fine ultimo [pp. 53-58]”. Sarà però Schelling che, ricalcando le argomentazioni kantiane e fichtiane, compirà un passo breve rispetto i due precedenti autori, ma nodale per la modernità: definisce essere “vivente” solo l’individuo che si “proclama” – termine che assume una posizione rilevante per la totale avocazione del Sé – come estremo principio di autorità nel confronto con la natura (o vita) universale. Ripercorrendo le tappe del libro, fino a questo punto la vita è il calco della volontà che contrasta e spinge a determinare la realtà esistente. Non solo sul piano filosofico però, ma anche sul piano scientifico-biologico: con John T. Needham e con toni diversi si rivelano conferme alla tesi per cui una particolare forza organica opera contro ogni resistenza inorganica. Ciò conduce dritti al bivio del sentiero del dibattito sull’”evoluzione” che apre a due possibilità. Una di queste porta all’ipotesi preformista secondo cui il seme contiene potenzialmente in nuce ciò che verrà sviluppato nel corso dell’evoluzione. L’altra strada invece è quella dell’ipotesi epigenetica, che esclude una necessaria finalità nel corso dell’evoluzione. Seguendo questa strada però, alla fine del sentiero si incontra Xavier Bichat che insiste sulla variabilità e imprevedibilità delle funzioni organiche della vita che fanno fronte a quelle inorganiche della morte. A questo punto del discorso, torna a pagina 93 scalpitante la domanda fondamentale di cui è oggetto il libro: che cos’è la vita? Questa volta è il celebre Charles Darwin a fornire una risposta che pone accanto alla vita la salus vitae come infinito consolidamento della vita nella sua espansione e lo fa sulla scia dell’idealismo di Schelling e sulla teoria di Carl Gustav Carus sulla perpetua manifestazione di una realtà ideale – nonostante, da un lato, non sia possibile tracciare un legame diretto tra Schelling e Darwin e, dall’altro, Darwin riprende ben poco dai testi di Carus o altri naturalisti a parte ripeterne lo stesso gesto di emanazione della volontà nella vita. La teoria darwiniana sull’evoluzione si mostra in tre motivi fondamentali – ma senza esaurirsi in questi. La vita ascrive una variazione imprevedibile rispetto alle forme-di-vita (variazione). Assodato che Darwin non adotta il finalismo, sopravvive l’essere vivente che meglio si adatta all’ambiente (ambiente-selezione). Per ultimo, l’essere vivente non si preserva semplicemente nell’ambiente ma “migliora” (salus vitae). Da queste tre tesi vengono portate alla luce e analizzate alcune problematiche: per citare qualche esempio, qual è l’origine della società? Come si giustifica l’altruismo? A cosa (o chi) si indirizza la selezione naturale? Questioni di etica come la “libertà umana”, cos’è la salute? Freud, Dawkins, Dennet, Canguilhem, tutti presenti per cercare di far luce su queste equivocabili questioni. Tarizzo intreccia persino, ed efficacemente, le analisi darwiniane con le intuizioni di Freud in particolare sul Todestrieb, la “pulsione di morte”. Cos’è la vita? La vita è il valore della salute: una forza normativa che possiede ogni essere che vivente non lo è mai fino in fondo e pienamente, che spinge all’individuazione e alla liberazione dalle catene di ogni vincolo esterno.
Nel terzo e ultimo capitolo Tarizzo passa in rassegna e confronta ciò che è stato affrontato in precedenza a temi di carattere perlopiù politico (e ciò permette di aggiungere nuovi dati all’analisi sul tema della vita). Così un’altra questione affrontata è il rapporto tra Darwin e Hitler: quanto il nazismo si è ispirato a Darwin e al darwinismo in generale? L’influenza è stata tale da rendersi, il darwinismo, una condizione “necessaria” per il nazismo. Inoltre, fa appello la biopolitica con una breve genealogia delle prospettive offerte da Roberto Esposito – per il quale questo tema si sviluppa a partire dal pensiero moderno con Hobbes – e Giorgio Agamben – che rintraccia già nel diritto romano l’esistenza di tale categoria politica. Ancora, si parla del biologismo di Martin Heidegger che dietro le spalle nasconde in realtà un nichilismo con la molteplice prospettiva dei valori umani. Infine, Non poteva mancare la problematica sul razzismo che si pone come una conseguenza inevitabile delle analisi. La natura umana è ormai dileguata e ciò che ne resta è solo la vita: questo è il risultato di tutte le analisi del libro. L’uomo è vita: infinitamente variabile, perfettibile e vitale. Chi siamo, dunque, “noi”? Questa domanda, che è la domanda politica per antonomasia, non ha più senso oggi, nel regno dell’autonomia. L’unica domanda che abbia senso è la stessa, declinata però al futuro, non più al presente. Chi saremo “noi”? Come si definire l’uomo al futuro? Tre sono le sole soluzioni per risolvere l’impasse: ritorno alle vecchie religioni, riqualificazione delle fondamenta della bloßes Leben, decidere di rimanere all’interno dello spazio della modernità attuando gli strumenti di ciò che l’autore definisce “meta-critica” nei confronti del Sé: con la coscienza di essere un “eterno frammento”.

Indice

Introduzione. L’ontologia selvaggia
1. Modernità: la soglia dell’autonomia
2. Vita: genesi di un paradigma metafisico
3. Noi: sull’utilità e il danno della vita per la storia
Bibliografia
Indice dei nomi


L'autore

Davide Tarizzo insegna Filosofia morale presso l’Università di Salerno e Filosofia politica presso l’Università L’Orientale di Napoli, oltre a collaborare con l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM). Ha curato l’edizione in lingua italiana di testi di Gilles Deleuze, Ernesto Laclau, Jean-Luc Nancy, Stanley Cavell, Hannah Arendt e Alain Badiou. Tra i suoi saggi più recenti, Homo insipiens. La filosofia e la sfida dell’idiozia (Milano 2004). Per Laterza ha pubblicato Giochi di potere. Sulla paranoia politica (2007) e Introduzione a Lacan (2009²).

Link

“Come Darwin ha cambiato la filosofia?” è il titolo di un interessante articolo scritto da Tarizzo che è possibile reperire in Internet al link:
http://www.scienzaefilosofia.it/res/site70201/res507999_15-TARIZZO.pdf

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