sabato 24 aprile 2010

Fusaro, Diego, Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario.

Milano, Bompiani, 2009, pp. 374, € 11,50, ISBN 9788845263941

Recensione di Simon Francesco Di Rupo - 24/04/2010

Storia della filosofia moderna (marxismo), Filosofia politica

Marxiano o marxista? Quale attributo legare al pensiero di Marx? Un problema di questo tipo, si potrebbe dire, è un falso problema, o una sorta di cruciverba per tecnici della storia del pensiero che non interessa la concretezza dei problemi che ci circondano. Così non è, e Diego Fusaro, con il suo Bentornato Marx! - libro scorrevole e ben scritto quanto denso di interessanti problematiche - ci mostra come, proprio in questa distinzione, abbiano luogo pertinenza e impertinenza dell’interpretazione del celebre filosofo di Treviri, il quale di certo non è passato alla storia per essersi sottratto alla presa in considerazione dei problemi concreti dell’uomo, e che anzi sulla critica del contesto storico e sociale ha fondato il suo percorso speculativo e umano. Se ne rende bene conto, e ce ne rende bene conto Fusaro, che sotto questa prospettiva assume le vesti di un preparato “marxologo”, con diffusi riferimenti alla bibliografia marxiana: dal più noto Althusser (con cui mantiene un confronto critico per larga parte del testo) ai vari Bahro, Wittfogel, Balibar, Preve (con cui ha la fortuna di aver instaurato un proficuo scambio di pareri de visu) e molti altri sino al Derrida di Spettri di Marx di cui sposa in pieno diverse suggestioni. Una su tutte: “è come se Marx e il marxismo fossero fuggiti via, si siano sfuggiti, come se si fossero fatti paura a vicenda” (cita questo passaggio di Derrida a p. 39). E’ questo il perno interpretativo adottato da Fusaro, il che potrebbe far pensare, al lettore di prima passata, a una “marxologia debole”- forse anche pensando al fatto che il volume è dedicato “a Gianni Vattimo, maestro e amico”; ma il problema che il libro sottopone al lettore è di capire fino a che punto, una lettura “debole”, o meglio ermeneuticamente guidata, di Marx, non possa essere di fondo la lettura più forte, poiché non inquinata dalla devianza del marxismo che l’autore attribuisce più a Engels che a Marx stesso, il quale fra l’altro, amava dire per conto suo “tutto quel che so è di non essere un marxista”, come Fusaro cita in esergo al quarto paragrafo del primo capitolo, dedicato appunto alla separazione del “cantiere aperto” di Marx e dell’ “edificio ultimato” di Engels. In questa chiave, il primo ermeneuta “prudente” di Marx parrebbe essere Marx stesso. Ma l’autore ci propone di seguire un percorso di “approssimazione a Marx” ben preciso, dichiaratamente filosofico; il filosofo tedesco non era solo filosofo, ma duttile studioso di vari e vasti campi del sapere, in primis, come tutti sanno, quello economico: questo lo consegna a una tipologia filosofica antica, di gran lunga antecedente alla moderna (e soprattutto contemporanea) frammentazione dei saperi. Fusaro questo lo sa e lo sottolinea più volte lungo il primo capitolo, con, al contempo però, l’invito a interpretare Marx anche per suoi aspetti filosofici importanti quanto non sempre sottolineati, se si considera, come Fusaro ci sollecita a fare, quanto la cultura contemporanea tenda a “mettere a morte Marx” più che altro per i risvolti politici di cui il manifesto comunista è stato causa. Pare più che pertinente, quindi, l’importanza che lungo il testo viene data al Marx filosofo della storia, il quale va a braccetto con il Marx critico e attivista, aspetti del filosofo che vivono di una certa propedeuticità, dipendendo strettamente dalla posizione che Marx ha nei confronti della storia e, implicitamente, del tempo. Anche la struttura del testo pone l’aspetto critico (nei confronti di Stato, religione e tradizione filosofica) del pensiero di Marx nel capitolo secondo, al quale segue, a parere di chi scrive, il capitolo decisamente più rilevante del lavoro di Fusaro, ossia Un filosofo della storia in incognito. E’ qui che si gioca la partita della rivalutazione di Marx sul piano storico e filosofico, ed è qui che l’autore si fa forte di un approccio “laico” nei confronti di Marx, lontano dalle esasperazioni di detrattori e fanatici; approccio favorito proprio dal punto di vista della filosofia della storia, la quale, nonostante le proclamazioni funebri novecentesche è viva e vegeta; Aristotele sosteneva che per negare la filosofia non si può non adoperarne gli strumenti: è ora di considerare questa antica verità anche per la filosofia della storia. Lo stesso Marx, per criticare la filosofia della storia hegeliana, si porta su un piano speculativo con pretese di verità circa il processo storico, e Fusaro ce lo testimonia con chiarezza: “quella di Marx è, al di là delle sue intenzioni, una filosofia della storia ‘futuro-centrica’, in cui la speranza messianica in un ‘meglio’ che ha ancora da venire viene dialettizzata in una versione capovolta della filosofia della storia hegeliana[…] la prospettiva marxiana si basa sull’idea che esista un soggetto storico-filosofico (lo Spirito di Hegel diventa il Proletariato di Marx) che ‘fa la storia’ e che, tramite il suo agire consapevole, le permette di avanzare in vista dell’obiettivo finale” (p.99); un Marx, per questo, allievo di Hegel e Fichte per quanto concerne la persuasione della presenza di un telos immanente al percorso storico, e un Marx dal messianismo secolarizzato (secondo la lezione di Lowith), in cui la dimensione dell’uomo fra un “già” e un “non-ancora” colloca la tensione di questi all’autorealizzazione nella storia per mezzo dell’emancipazione del proletariato, contro quel “blocco” inautentico in cui consiste la convinzione moderna di un uomo emancipato solo secondo il passaggio in cui da citoyen diviene bourgeois. L’insoddisfazione di Marx rispetto a queste connotazioni dell’uomo lo spingono a vedere nella natura umana un’unicità e una irriducibilità tale da poterci permettere di avvicinare il pensiero marxiano, ad esempio, a Stirner. Non solo Feuerbach (prima), non solo Engels (durante), non solo comunismo (dopo), insomma. Siamo lontani dal totalitarismo che ha preteso di leggere in Marx la legittimazione delle proprie politiche, e l’epoca in cui viviamo ha finalmente la possibilità e il dovere intellettuale di riscattare i “maestri del sospetto” di Ricoeur (Nietzsche, Marx, Freud) dalle esasperazioni interpretative a loro susseguite: che un filosofo sia sempre più grande dei suoi interpreti, o perlomeno più longevo, è una realtà che la storia della filosofia tende a consolidare seppur prendendosi tutto il tempo di cui ha bisogno.
La filosofia della storia in Marx – e la libertà, la profondità che la distinguono dalla filosofia politica intesa in senso totalmente programmatico – dunque, c’è eccome, e il suo “cantiere aperto” rimane tale poiché, fintanto che si rimane all’interno dei concetti filosofici, nulla è mai del tutto superato e nulla è del tutto innovativo. Il suo cantiere aperto diventa il “nostro” cantiere aperto, quando si vuole definire il suo pensiero, quando lo si vuole interpretare: il punto è che se si (ri)comincia a guardare Marx sotto le prospettive di Fichte, Stirner, Bauer e meno sotto le prospettive di Engels e del comunismo, ecco che potremo davvero dire “Bentornato Marx!” non tanto, dunque, sul piano dello schieramento politico quanto sul piano strettamente culturale - sebbene il primo possa e debba essere emanazione del secondo, altrimenti si ricadrebbe in un vuoto astrattismo che Marx deplora senza mezzi termini. Ma è piuttosto evidente come il volume di Fusaro non intenda collocarsi come una proposta sull’aspetto della prassi; in questo senso anche questo testo è un cantiere aperto, e di questo ha però tutti gli aspetti positivi, ovvero quelli che rendono la filosofia il regno della interrogazione sulla verità e non del dispotismo figlio della presunzione di possederla. Sarebbe forse interessante, a questo punto, leggere un Fusaro interprete di Gramsci.
La riflessione finale che Bentornato Marx! suscita è che del vetusto ma sempreverde albero Marx guarderemo meglio le radici e meno la digestione dei frutti. In fondo pare proprio questo il pregio di Fusaro: aver riaperto un caso. Un caso peraltro di interesse pienamente contemporaneo, come dimostrano i paragrafi dedicati al plusvalore e al pluslavoro (p.227) e al feticismo delle merci (p.262). Fusaro non descrive soltanto ma, riaprendo il caso, riapre anche una critica marxologica densa di spigolature e anfratti; entrare nel dibattito italiano su Marx non è facile, dopo un ‘900 critico, a riguardo, in grado di annoverare fra le sue fila figure del calibro di Labriola, Gramsci, Mondolfo, Della Volpe, Gentile per nominarne solo alcuni fra i più importanti. Autori che però Fusaro conosce e di cui, senza remore, è disposto a citare e gradire numerosi passaggi all’interno del testo. Non gli è sconosciuta anche la critica “estera”: ad esempio si permette dubbi nei confronti dell’ Althusser della “rottura epistemologica” e rinviene il “principio speranza” di Bloch come anello di congiunzione ermeneutico con la fitta presenza della speranza stessa all’interno del “futuro-centrismo” della filosofia marxiana. Il capitolo finale è infatti dedicato a Marx nel novecento, e proprio qui si trova il Fusaro attento studioso della critica marxiana e dei suoi mille risvolti, non ultimi i legami filosofici fra Bloch e Marx come nuova possibilità critica al di là dell’ “alienazione” e del “parricidio” comunista nei confronti del celebre filosofo di Treviri.
Come riflessione a margine, seppure non marginalmente, credo debba essere sottolineata l’importanza dei passi presenti a pagina 37, quando prende piede un singolare accostamento fra Marx e Cristo, e quindi fra cristianesimo e marxismo. Fusaro dice: “Engels sta al marxismo come Paolo di Tarso sta al cristianesimo, essendo impossibile – per ragioni certo molto diverse – individuare in Marx e in Cristo – paragone certo problematico, ma che pure è stato più volte impiegato nella storia delle interpretazioni – i fondatori dei movimenti che si sono richiamati a loro.” Le analogie fra Cristo e Marx ci sono nella misura in cui entrambi “presentavano all’inizio tratti che rompevano con la morale dominante e con l’ordine costituito, per poi diventare gradualmente, da ‘setta’ originaria, movimento di portata internazionale e, ancora più tardi, forza direttiva dell’ ‘impero’ che aveva cercato di debellarli” (ibidem). Fusaro ha ben presente il discorso di Lyotard (e lo cita nella medesima pagina) sul fatto che il marxismo abbia riprodotto, per fare presa sulle masse, la forma della “grande narrazione”, tipica delle religioni. Qui la filosofia della storia gioca un duplice ruolo: da un lato, il fatto che l’eredità marxiana nella “religione” marxista abbia prodotto l’epopea fideistica tipica, appunto, delle religioni, non fa che dare sempre più credito alla tesi fusariana del Marx filosofo della storia, anche se verrebbe da pensare che sia la componente eminentemente messianica che apra la strada alla complessità e alla devianza delle sue immediate interpretazioni e incorporazioni, rendendo quella di Marx più una sorta di teologia della storia senza dio, o meglio una “antropologia della storia” nel senso più forte. D’altro canto, quello che per la filosofia della storia contemporanea può essere d’interesse, è notare come le passate filosofie della storia “futuro-centriche” (come direbbe Fusaro) portino con cadenza regolare a delle interpretazioni con pretese totalizzanti sul piano dell’applicazione concreta. Se il presente è un tempo da redimere, la “caduta” intesa in senso teologico consegna la sua eredità anche in forme di pensiero nient'affatto religiose, come è il caso della filosofia marxiana: se è vero che la non-accettazione del presente porta alla necessità di una redenzione o almeno di un miglioramento delle condizioni di vita, è altrettanto vero che il futuro-centrismo è la prima forma di tirannia sulla vita stessa, poiché procede secondo la negazione del presente, il che da un lato può utilmente scuotere lo status quo, d’altro lato ne predispone un altro, che però “ha sempre da venire”. Il presente, insomma, diventa un significante astratto con un significato da rintracciare sempre in un “non-ancora”. Il pericolo di riletture, interpretazioni assolutizzanti deriva da questa delicata torsione.
Ad ogni modo questa sintomatologia delle filosofie della storia che espellono passato e (soprattutto) presente dal campo di una plenitudo temporum è un problema aperto - annoso e abissale di cui la corrente filosofia della storia deve tenere e rendere conto, soprattutto perché il germe del totalitarismo e del fondamentalismo - proprio la storia ne è lezione – nasce e cresce partendo da molteplici forme di comprensione della realtà, in un’eterogenesi dei fini alle volte estremamente ardua da decodificare, e ancor più da prevedere.
Sarà dunque molto interessante il dibattito susseguente a Bentornato Marx! sia per il grande pregio del volume – la chiarezza – frutto di una preparazione puntuale - sia per il “cantiere aperto” che solleva nuovi orizzonti per le considerazioni su Marx, sulla nostra attuale realtà storica e, dunque, sulla nostra comprensione in merito. In questa direzione Diego Fusaro è un piacevole esempio di come la freschezza di un giovane filosofo possa inserirsi nel panorama filosofico nazionale con piena legittimità: d’altronde è questo il percorso che si può augurare a chi, come Fusaro, manifesta rispetto e considerazione nei confronti dei maestri che l’hanno preceduto, virtù che, accompagnate da una limpida e incontestabile competenza, possono incontrare i favori del lettore non specialistico come dello studioso più abituato a verificare l’influenza degli “spettri” nella storia della filosofia.

Indice

Bentornato, Marx!
Marx pensatore della critica.
Un filosofo della storia in incognito
Il male sulla terra: la vita di fabbrica
Regno della libertà, fine della preistoria
Cronologia della vita e delle opere
Bibliografia


L'autore

Diego Fusaro (Torino, 1983) è attento studioso del pensiero di Marx e delle sue molteplici declinazioni otto-novecentesche. Per Bompiani ha curato l’edizione bilingue di diverse opere di Marx. Ha inoltre recentemente dedicato all’interpretazione del pensiero marxiano tre studi monografici: Filosofia e speranza (2005), Marx e l’atomismo greco (2007), Karl Marx e la schiavitù salariata (2007). È il curatore del progetto internet La filosofia e i suoi eroi. Dal 2006 è direttore (con Jacopo Agnesina) della collana filosofica “I cento talleri” della casa editrice Il Prato. Attualmente sta svolgendo un dottorato in filosofia della storia presso l’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano.

2 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore non stima cosa in tutto seria studio di autore recensito e non attribuisce a costui totale indipendenza di studi; eppure risulta da rispondenze crescenti in procedere recensorio che originalità di pensiero filosofico di D. Fusaro ve ne era già; quanto a Marx, egli aveva infine abiurato.

Marxiologia doveva affrontare problema di beffa di "Stalin" e di stalinismo ma proprio tal compito assolvere, poi; Fusaro non era da sùbito in filosofando solo conoscitore di filosofia e dopo filosofando solo a volte; e dopo esserne ancora non ne è stato più; ma marxiologia ha un senso filosofico proprio per inconsapevolezza di pensiero in limitatezza di circostanze; quelle volute da suddetta beffa che di Schema riduttivo e distrutto da movimento operaio ne aveva rifatto e pure omologante.

Il titolo (del libro recensito) era una possibile interpretazione di alterità ma suonava in tempi di pubblicazione e immediatamente successivi macrabamente, nichilisticamente ed antimarxisticamente... Altro vero interpretare non ve ne era – ed autore stesso altrimenti poi provandone non ha trovato più vero filosofare.


Lavoro recensito era stato un modo per ritrovare origini di apparati intellettual-amministrativi ed ormai impolitici: non da decisione di Marx.

Odiernamente sono più utili allo scopo ricostruzioni storiche filosofiche non mediate da teoresi.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ho usato in messaggio precedente 'macrabamente' con significato di:
dinamicamente (ed intellettualmente, mentalmente...-) non tanto attivamente grande grandioso non per abilità e meno che possibile:

macr-aba-mente — macr(o) - ab(o) - a - mente \

In uso assai comune è altro termine: macabro, con significato davvero affine a 'macrabo' che è termine ricavabile da unione sintattica grammaticale:

macro + abo (suffisso base di suffisso composto -abile (abo+ile: -abile).


MAURO PASTORE