domenica 2 maggio 2010

Cortesi, Luigi, Storia del comunismo. Da Utopia al Termidoro sovietico.

Roma, Manifestolibri, 2010, pp. 815, € 65,00, ISBN 9788872855799.

Recensione di Adele Patriarchi - 02/05/2010

Filosofia politica

Questo testo di Luigi Cortesi, Storia del comunismo, giunge al culmine di una esperienza umana e intellettuale in cui il marxismo è stato, al contempo, oggetto di riflessione teorica e motore dell’agire politico. Per un pensatore che ha vissuto con tanta intensità il proprio impegno sociale e intellettuale non poteva che sorgere la necessità, dopo l’evento epocale della caduta del muro di Berlino, di fare luce sul ruolo storico dell’Unione Sovietica. Una interrogazione che è, quindi, al contempo teoretica e storica ma anche profondamente esistenziale.
La prima immagine che il testo, nella sua Premessa, suggerisce al lettore è quella della notte del 9 novembre 1989, quando i valichi del muro di Berlino vennero lasciati aperti. Un muro inizialmente attraversato e poi materialmente smantellato, assurto a simbolo della fine della guerra fredda, del comunismo, del “secolo breve”.
La domanda che sorge dinanzi a questa veduta è, essenzialmente, se la fine del blocco sovietico, il fallimento del cosiddetto “socialismo reale”, abbia comportato la morte del comunismo, tesi prevalente “nella storiografia conservatrice … e nei prodotti editoriali di largo consumo”. Piuttosto, secondo l’autore, “non è ancora ben chiaro che cosa sia stato quel comunismo o “socialismo reale”” che è venuto meno “e in primo luogo se si trattasse di “comunismo” nel senso storico e semantico del termine”; per cui “che cosa fosse realmente crollato è tuttora storicamente sub judice” (p. 14).
Prendendo le mosse da questi interrogativi, la ricerca si presenta sin dall’inizio estremamente complessa, perché svolta su una molteplicità di piani che si intrecciano reciprocamente. Infatti Cortesi, nell’Introduzione, parlando della metodologia utilizzata nella composizione dell’opera la definisce, al contempo, genetica e complessiva. Genetica perché analizza l’esigenza che ha portato alla nascita del socialismo e del comunismo, le sue evoluzioni teoriche e la sua attualità. Complessiva perché è al contempo necessario seguire la concretizzazione di tali teorie all’interno dei partiti, dei sindacati, delle associazioni, delle strutture istituzionali che a esse si richiamano (pp. 23-24).
Il primo capitolo, di natura teoretica, è dedicato alle radici del comunismo, “ombra cattiva, che esiste da quando nacque il capitalismo e durerà quanto il capitalismo”, e al passaggio dal socialismo “utopistico” al socialismo “scientifico”.
Dal secondo capitolo, l’autore comincia a interrogarsi sul nesso fra teoria marxista e azione pratica, affrontando il tema della relazione tra Marx e la Prima Internazionale, analizzando come la guerra franco-prussiana e l’esperienza della comune di Parigi abbiano influenzato il dibattito interno all’Internazionale, decretandone la conclusione.
Il terzo e il quarto capitolo sono dedicati all’esperienza della Seconda Internazionale. L’autore studia, in maniera dettagliata, le radici teoretiche e i programmi dei partiti politici che compongono l’AIL; affronta il tema degli esordi politici di Rosa Luxemburg e di Lenin; tratta sia dell’influenza che la rivoluzione russa del 1905 ebbe sul dibattito teorico interno all’Internazionale che dell’influsso di quest’ultima sul socialismo che si sviluppò fuori dal continente europeo; infine, analizza il dibattito apertosi nel seno della Seconda Internazionale sulla partecipazione alla grande guerra, che porterà da un lato alla chiusura dell’AIL e dall’altro allo sviluppo del comunismo novecentesco.
Il quinto capitolo segue gli eventi della storia russa che hanno caratterizzato gli anni che vanno dal 1905 al 1917, sottolineando la capacità di Lenin di costruire un consenso di massa al progetto rivoluzionario; al contempo si delinea il rapporto tra il pensiero di Lenin e il marxismo, attraverso l’analisi della teoria sull’imperialismo e, soprattutto, percorrendo le pagine di Stato e rivoluzione. Secondo Cortesi, questo testo costituisce la base di quella “che può essere considerata la più grande rivoluzione della storia”, perché contiene delle “novità teoriche clamorose”, fra le quali spicca “il postulato antistatuale, la tendenza ad una strutturazione dal basso del futuro Stato-non Stato proletario, la subordinazione del partito agli obiettivi storici generali” (p. 224). Tuttavia, nel saggio leniniano manca, secondo l’autore, una trattazione approfondita del ruolo dei soviet e del partito e quindi, di conseguenza, degli organismi istituzionali e di garanzia necessari a consentire la rappresentanza diretta delle masse. Il tema ha una tale rilevanza che la conseguenza pratica di questa carenza nell’analisi teorica diviene quella di fare emergere, con Stalin, un “partito di comando” (pp. 230-231). Quest’opera finisce così con il rappresentare, per lo stesso Lenin, una sorta di “ideale regolativo”, rispetto al quale egli fu costretto a una “ritirata” dettata dai problemi contingenti che si manifestarono a partire dalla guerra civile (pp. 235-236).
Il sesto capitolo analizza gli eventi che hanno condotto dalla rivoluzione borghese di febbraio alla rivoluzione bolscevica di ottobre, con il riflettore puntato sulla figura di Lenin: la svolta determinata dalle Tesi di aprile, la crisi del governo provvisorio decisa dalla sua ambigua posizione nei confronti della guerra, il tentativo reazionario di Kornilov, e la difficile opera di costruzione del consenso nel partito e nei soviet. In questo contesto, Cortesi addita come strumentale l’interpretazione della rivoluzione d’Ottobre come “colpo di stato”, e ricorda come per Trockij la presa del Palazzo d’Inverno sia stato quasi un “non-fatto” a causa dell’isolamento e del discredito in cui versava il governo provvisorio (p. 272); la rivoluzione si presentava piuttosto, secondo il testo, come un fenomeno di massa, come una via “obbligata” (pp. 275-276). Molta attenzione viene dedicata dall’autore all’analisi dei decreti rivoluzionari: il decreto sulla pace, che sanciva l’abolizione dei trattati segreti; il decreto sulla terra, che aboliva senza indennizzo la grande proprietà terriera, avviando in maniera “precipitosa” la politica agraria (p. 278), il decreto sul controllo operaio, che avrebbe aperto il problema del rapporto tra gestione operaia e pianificazione (pp. 279-280).
Il settimo capitolo affronta in primo luogo il tema della Costituente e i tratti principali della Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica della Russa approvata il 10 luglio 1918, interrogandosi sulle ragioni che hanno indotto a non inserire in quest’ultima un’elencazione dei diritti individuali, considerati di fonte borghese, “privando intanto il periodo della transizione di livelli di flessibilità e di istituti di mediazione e consenso tra Stato e società” (pp. 293-295). L’autore si dedica successivamente all’analisi del dibattito e degli eventi che hanno condotto alla firma del gravosissimo trattato di Brest Litovsk, che sancisce formalmente l’uscita della Russia dalla prima guerra mondiale. E, infine, si occupa dello stato d’”eccezione” costituito dalla guerra civile. In questo contesto, la figura di Lenin comincia a essere caratterizzata dalla sua accettazione della “pratica del terrore punitivo o ritorsivo”, “dell’eccidio”, azione giustificata dallo stesso leader sia dalla “situazione storica straordinaria” che per la “superiore moralità di fini del comunismo” (pp. 304-305). La guerra civile provoca un grave arretramento delle condizioni urbane, sociali ed economiche del paese; condizione che ricadde sui bolscevichi, i quali dovettero interrogarsi nuovamente sulla direzione politica da imprimere al paese, a partire, tuttavia, da un mutato rapporto con la violenza (p. 309).
Nel capitolo successivo si analizza la situazione dei partiti comunisti e socialisti europei anche in relazione agli effetti della Rivoluzione d’Ottobre: la rivoluzione tedesca del 1918-19, le repubbliche dei consigli in Baviera in Ungheria, e la formazione dei partiti comunisti in Germania, Francia e Italia. Per ciò che concerne il caso italiano, Cortesi esamina la figura di Turati, la “settimana rossa” del giugno 1914, il dibattito fra neutralismo e interventismo, facendo emergere la complessità delle condizioni in cui si trovava ad agire il Partito Socialista. In questo contesto emergono le figure di Amedeo Bordiga e di Giacinto Menotti Serrati e il formarsi di posizioni interne al PSI che si distanziavano dalla politica riformista di Turati. Successivamente l’autore si sofferma sulle esperienze del biennio rosso e dell’occupazione delle fabbriche, individuando in tali eventi i primordi della nascita del Partito Comunista d’Italia; una narrazione nella quale, come già evidenziabile in opere precedenti, assume un ruolo di rilievo la personalità di Bordiga, mentre si mostra un Gramsci isolato, anche a causa dell’accusa di “attivismo” da cui fu colpito durante il dibattito sulla partecipazione italiana nella prima guerra mondiale. La narrazione delle vicende italiane proseguirà, nel tredicesimo capitolo, in relazione all’attività dell’IC. Bordiga, marchiato a causa della sua posizione astensionista e delle sue critiche all’Urss e all’IC come massimalista ed estremista (p. 644), subisce le critiche dell’Esecutivo di Mosca, la “spregiudicatezza politica” di Gramsci e infine si scontra con la “formazione ideologica del comunista medio” (p. 646). Ciò conduce alla vittoria del “centro” gramsciano durante il Congresso di Lione del 1926, decretando la centralità del concetto di “egemonia”. L’esito di una tale vittoria è la nascita di una “gerarchia segretariale […] che dopo il 1943-45 fu quasi come il coperchio o il freno messo al permanente livornismo della base di classe”. Cortesi, tuttavia, sottolinea come nonostante Stalin volesse fare di Bordiga il “Trockij italiano”, le similitudini fra i due leader non vennero fatte risaltare come richiesto, attenendo alla critica di una comune astrattezza logica (p. 643). L’autore tende, inoltre, anche a distinguere la posizione gramsciana da quella togliattiana. L’episodio a cui l’autore fa riferimento è quello della lettera di Gramsci, arrivata il 18 ottobre 1926 e fortemente critica dell’operato del partito comunista bolscevico, che Togliatti “precoce cardinale di curia” decide di non consegnare al CC perché “tanto estranea al suo cinismo politico”, pur avendo cura di farla leggere a Bucharin. Mentre Gramsci viene ritenuto dall’autore colpevole di non avere insistito, e la sua possibile opera critica viene stroncata dalla carcerazione, Togliatti, agli occhi di Cortesi, è considerato complice del sistema staliniano (p. 682).
All’isolamento della Russia, descritto sul finire del capitolo ottavo, Lenin risponde attraverso la nascita del Comintern, le cui vicende sono oggetto del nono, del decimo e del dodicesimo capitolo (dedicato alle sezioni nazionali dell’IC). L’aspettativa, non realizzatasi, che la rivoluzione russa si sarebbe diffusa in Europa e in particolare in Germania, spinse Lenin a dare vita alla Terza Internazionale nel 1919. Tuttavia, la nascita dell’IC si rivelò precoce, per varie ragioni. Da un lato molti dei partiti comunisti e socialisti chiamati a partecipare all’internazionale non intervennero immediatamente e altri mandarono i propri delegati senza mandato decisionale. Inoltre, fra i delegati stranieri presenti non circolava la convinzione della necessità di legittimare tale struttura. Infine la situazione in cui si svolsero le sedute era già segnata dall’avvio della guerra civile russa. A quest’ultimo tema Cortesi dedica ampio spazio, rinvenendo nelle gravi condizioni oggettive in cui si trovava la Russia e nelle decisioni assunte in questo frangente dai bolscevichi (il comunismo di guerra, il terrore rosso di massa) le radici dello “scollamento” fra essi e la classe operaia e contadina (p. 424). Proprio per sanare tale ferita, Lenin da un lato propone la Nep e, dall’altro, nel corso del X congresso, punta a mantenere unito il partito, sebbene attraverso la disposizione restrittiva nota come “punto 7”. Disposizione che, in questo frangente, non comporta la nascita del sistema monopartitico che caratterizzerà invece il sistema staliniano. Sulla base di un tale mutamento di prospettive da parte di Lenin, Cortesi legge anche la correzione di rotta che ha caratterizzato il partito comunista russo e il terzo congresso dell’IC a cui è dedicato il decimo capitolo del volume.
Nell’undicesimo capitolo, l’autore tratteggia la figura di Trockij, rievoca gli eventi che hanno condotto Lenin alla elaborazione del suo testamento sfavorevole a Stalin, ripercorre i motivi di dissidio tra quest’ultimo e la “vecchia guardia”. A partire da tali presupposti, il volume indica nel quinto congresso dell’IC del 1924 il momento del declino e dell’involuzione dell’internazionalismo. Cortesi è impietoso nella trattazione del tema. Morto Lenin, l’IC elabora una “neolingua” che nasconde sia la mancanza di una tattica che la necessità diplomatica di mantenere vivi i rapporti tra i partiti del Comintern. Al contempo, questa “neolingua” manifesta sia la nascita di un ““leninismo integrale” in fase di imbalsamazione” che la pretesa da parte del partito che dei vertici politici dello stato di possedere il “monopolio del comunismo” (pp. 553-554). E così il “leninismo integrale” della trojka Stalin – Zinov’ev – Kamenev comincia a opporsi a Trockij e al trockismo a sua volta “ritualizzato e contraffatto” (p. 553). La polemica trockismo-leninismo tra il 1924 e il 1925 non viene letta dall’autore come una vera battaglia ideale: il pensiero di Trockij, e in particolare la sua teoria della “rivoluzione permanente”, non ha un respiro teorico autonomo (p. 578), così come gli scritti di Stalin in questa fase tendono a “banalizzare” e canonizzare le riflessioni di Lenin e la nascita della formula del “socialismo in un paese solo” non ha ancora un significato programmatico (pp. 577, 581). Le ragioni di tale contrarietà, secondo Cortesi sono complessi. La morte di Lenin aveva lasciato insolute una molteplicità di questioni: la difficoltà pratica di conciliare la Nep con l’avanzamento industriale, la funzione del partito e la necessità di mantenerlo unito, la “successione” dello stesso leader. La trojka, inizialmente compatta nella critica a Trockij, comincia a sfaldarsi a partire dal tentativo di Zinov’ev di assumere una posizione più equilibrata nel suo Il leninismo (1925). Tale frattura si sarebbe trasformata “in una vera e propria lotta politica”, che avrebbe assunto i contorni di una “guerra a eliminazione” (p. 579).
Nel quattordicesimo capitolo, Cortesi descrive le tappe della vittoria politica di Stalin. Nel corso del XIV congresso del PC(b) del 1925 si assiste alla nascita dell’alleanza fra Stalin e Bucharin e alla definitiva rottura della trojka, in merito al tema del “socialismo in un paese solo”, del “socialismo come la statalizzazione completa dell’economia”, della burocratizzazione del partito. Stalin ottiene la maggioranza assoluta dei consensi sulla propria relazione (pp. 652-658). Il VI Plenum dell’Esecutivo dell’IC del 1926 è caratterizzato da un lato dalla censoria richiesta di non affrontare nel Comintern temi che riguardino il partito comunista russo e dall’altro dallo scontro fra Stalin e Bordiga “ultima voce di un comunista occidentale contro lo stalinismo montante” (p. 669). Trockij, Zinov’ev, Kamenev e altri dirigenti bolscevichi decidono di costituire una frazione comunista di sinistra, in opposizione alla montante autocrazia staliniana, che sarà tuttavia, duramente sconfitta. Il 18 ottobre dello stesso anno viene pubblicato sul “New York Times” il testamento di Lenin, rimasto fino a quel momento inedito, aggravando lo scontro tra Stalin e Trockij, accusato di essere il responsabile di tale diffusione. Nelle successive riunioni del Politbureau si rischia l’alterco fisico: Trockij ne viene espulso e Zinov’ev è privato dell’incarico (poi abolito) di rappresentante dell’esecutivo presso l’IC (sarà sostituito da Bucharin). Lo scopo di Stalin è quello, nel primo caso, di rimuovere un possibile contendente al “posto di comando nel regime sovietico” e, nel secondo, decretare “la superiorità del partito sul Comintern” (pp. 671-675).
Il 1927 è l’anno dell’ingresso sulla scena storica di Mao Tse-tung. È proprio in merito al caso cinese che si riaccende il dibattito con Trockij, che legava a tale questione quelle dell’internazionalismo e della democrazia interna. Il XV congresso si conclude con la netta vittoria di Stalin, l’allontanamento dal partito di Trockij e di Zinov’ev, a cui seguirà anche quello di Kamenev e la rottura dell’alleanza con Bucharin. Con tali eventi si porta a compimento il “Termidoro sovietico”, dispiegatosi fra il 1924 e il 1927.
La narrazione di Cortesi si arresta quindi al 1927 e non al 1945, così come aveva inizialmente progettato. Ciò non preclude all’autore di formulare dei giudizi incisivi sulle modalità e il significato della presa del potere da parte di Stalin, soprattutto nel paragrafo dedicato a L’avvento dello stalinismo.
La vittoria del leader russo è prevalentemente “politica”, nel senso che è stata giocata soprattutto all’interno del partito. Al contempo, vanno rintracciate le “differenze qualitative tra leninismo e stalinismo” che hanno prodotto una frattura in termini di “ideologia complessiva e di programma” (p. 718). Mentre Stalin appare come un leader più affidabile, più coerente dei propri avversari, la trasformazione del marxismo-leninismo in dottrina ne è esemplificativa, piuttosto egli persegue il successo personale “sviluppando le proprie convinzioni politiche”. Innanzitutto, Stalin si dedicò al rafforzamento organizzativo del partito, da cui nacque “una costruzione ex novo che lo stesso Lenin aveva trascurato”, una vera e propria “oligarchia” (pp. 720, 723). La burocrazia che Trockij criticava diventa così il prodotto dell’opera staliniana e non la causa dell’emersione del leader bolscevico. Dal punto di vista dell’elaborazione intellettuale, Stalin, in una fase estremamente critica per la Russia e la rivoluzione, ha saputo sollecitare e raccogliere consenso sul problema storico della edificazione dello Stato-nazione russo come presupposto per la “transizione alla modernità” (p. 722). Ciò decide definitivamente il destino della rivoluzione, perché elimina ogni prospettiva di “estinzione dello Stato” e di “affievolimento della “dittatura del proletariato””; e, soprattutto, riduce il proletariato stesso a protagonista puramente “nominale” dei processi storici che, piuttosto, avrebbero dovuto fondarsi sulle esigenze di “forze sociali autentiche”. Per queste ragioni Cortesi afferma che “il regime staliniano era naturalmente repressivo” (pp. 723-724). Infine, sul “piano della vita quotidiana il rovesciamento delle “idee del 1917”” si concretizza “attraverso il congelamento dei diritti sociali conquistati nel movimento rivoluzionario” e la “confisca sine die delle libertà elementari”, a favore di un adeguamento al sistema attuato attraverso una “politica di deterrenza più che di terrore” (p. 725).
Tornando alla domanda iniziale, Cortesi afferma che il giudizio che stabilisce l’equivalenza tra comunismo e Urss, da cui si deduce la morte del comunismo, sia frutto di una estrema leggerezza. Gli anni del Termidoro sovietico hanno prodotto una netta divaricazione tra la rivoluzione e il comunismo. Sostenere l’equivalenza prima indicata significa, secondo l’autore, innalzare una barriera che stronca ogni ulteriore possibilità di ricerca, consentendo al pensiero neoliberale di affermarsi come pensiero unico, al capitalismo di presentarsi come naturalisticamente fondato, e quindi insuperabile, e soprattutto fare tacere il grido di dissenso che si leva davanti alle disuguaglianze economiche e sociali che è lo stesso sistema capitalistico a produrre.
Cortesi avrebbe voluto dedicare i suoi studi successivi all’analisi della portata periodizzante del 1945 e delle vicende legate alla guerra fredda. Proprio perché la morte gli ha precluso questa possibilità, non si può affrontare senza emozione e rimpianto il richiamo a studiosi e militanti a continuare con lui il cammino intrapreso, con cui l’autore chiude la sua ultima opera.

Indice

Prefazione
Premessa. A vent’anni dal Muro, un bilancio critico
I. Il comunismo e i suoi precursori
II. Il marxismo e la prima Internazionale
III. La seconda Internazionale
IV. Imperialismo, internazionalismo, guerra
V. Pace e rivoluzione
VI. Rivoluzione in Russia
VII. Rivoluzione e guerra civile in Russia
VIII. Il comunismo europeo
IX. L’Internazionale comunista
X. L’Internazionale comunista e l’Europa
XI. Dal leninismo alla bolscevizzazione
XII. I partiti comunisti e la bolscevizzazione
XIII. Il partito comunista italiano e la variante dell’italo-marxismo
XIV. Industrializzazione e controrivoluzione
Epilogo. L’arco e l’ellisse: 1917-1945. Considerazioni sul comunismo dal Termidoro alla “guerra fredda”

L'autore

Luigi Cortesi (Bergamo 1929 - Roma 2009), si accosta giovanissimo all’antifascismo, nel 1944, e alla lotta partigiana (cfr. “Rivista di Studi italiani”, giugno 2001). Iscrittosi al PCI, è tra gli intellettuali che promossero la Biblioteca e l’Istituto Feltrinelli. In seguito all’intervento sovietico in Ungheria, nel 1956, Cortesi lascia il PCI e, deluso da “Movimento Operaio”, fonda, insieme a Stefano Merli, la “Rivista storica del socialismo” (1958-1967) attraverso la quale offrirà un contributo originale, rispetto alla storiografia ufficiale, alla ricostruzione della storia ideale e politica del movimento socialista e comunista. Negli anni seguenti, Cortesi pubblica La costituzione del Partito socialista italiano (Avanti!, Milano 1961), Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione (Laterza, Bari 1969), La rivoluzione leninista (De Donato, Bari 1970), e Le origini del Partito comunista italiano (Laterza, Bari 1972), testo, quest’ultimo, da cui emerge il contributo di Bordiga alla nascita del PCd’I. La sua attività intellettuale lo porta a ricoprire la cattedra all’università di Salerno e poi all’Orientale di Napoli come professore di Storia contemporanea. A partire dagli anni ottanta, Cortesi si impegna nei movimenti pacifisti, alla mobilitazione contro la NATO e al problema degli euromissili. Da queste nuove esperienze trae lo stimolo per la pubblicazione di Storia e catastrofe. Considerazioni sul rischio nucleare (Liguori, Napoli 1984), e per la nascita, nel 1989, di “Giano. Ricerche per la pace” (1989-2007) che dal 1994 cambierà il proprio sottotitolo in “pace ambiente problemi globali”, sottolineando la necessità che il marxismo si faccia carico anche della tematica ecologica. Anche negli ultimi anni, Cortesi continua a dedicarsi sia all’impegno politico che alla ricerca intellettuale. Si iscrive a Rifondazione comunista e pubblica numerose opere, tra le quali ricordiamo Una crisi di civiltà. Cronache di fine secolo (ESI, Napoli 1999) e Nascita di una democrazia. Guerra, fascismo, resistenza e oltre(Manifestolibri, Roma 2004). Gli ultimi anni della sua vita sono stati dedicati alla redazione della sua Storia del comunismo. Da Utopia al Termidoro sovietico (Manifestolibri, Roma 2010).

16 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Luigi Cortesi racconta la storia del Comunismo da Marx a "Stalin" ed alla Cina, uno schema che comprende senza includere la funesta decisività dell'operato di Engels ed include senza comprendere la azione di Lenin ed il leninismo. Cortesi usa tal schema basandosi sulla constatazione della fine del blocco orientale comunista, nel 1989 resa certa dal principio determinante di riunificazione delle Germanie. Della storia sovietica ammette di non sapere realtà ma solo verità e pone in risalto le date del periodo storico 1917-1945. Tale risalto dipende dallo schema ma anche viceversa, perché la realtà del comunismo politico istituzionale russo era soltanto nella apparenza postuma voluta dalla disonesta propaganda stalinista riferibile alla verità dei fatti accaduti nell'anno dei provvedimenti economici-comunitari, decisi non da Lenin ma da costui fatti attuare, ovvero il 1917.
Tali provvedimenti erano solo dipendenti dai disastri economici della Prima Guerra Mondiale ed erano in tutto analoghi ai corrispondenti dopo le Guerre Napoleoniche. A codesti precedenti erano state legate evoluzioni politiche rivoluzionarie, cioè la introduzione della dialettica delle parti politiche in stesse istituzioni religiose-nobiliari-civili, sicché l'Ottobre 1917 ne segnò nuova manifestazione assai evidente soltanto e nulla altro.

La novità già accaduta era l'autocrazia che discendeva direttamente dal decreto dell'ultimo Zar Nicola II, in ciò Pantocrate-Autocrate e non viceversa, nel senso che aveva organizzato la futura Russia su basi di autonomia individualmente-collettivamente diffusa. La inversione della totalità e delle autorità dei poteri dello Stato era stata sua personale sovversione dello stesso Stato e nessuno aveva potere di negare un ordine dello Zar, per quanto esso lasciasse allibiti molti, ma soprattutto intimorisse gli Stati nobiliari in Ovest Europa, non più usi a trattare con il semplice potere del Cesare senza mediazioni. In Ottobre 1917 cioè Lenin salvava lo Stato dalla paralisi organizzando il Dopoguerra con una sospensiva non abrogazione. Ciò lo realizzava in maniera del tutto analoga a quella dello Zar, ovvero invertiva i rapporti tra individualità e collettività, nella cittadinanza non in economia politica.
Dato che tutto si basava ormai sulla facoltà autocratica, anche la stessa democraticità del sistema statale, Lenin aveva agito entro stesso Stato e ad esser rivoluzionaria era la assenza della guida governativa, rifiutata dallo Zar con la sua stessa libera scelta per la Russia di continuare con sola istituzione monarchica e senza più ordine di impero dunque. Tale monarchia era stata già affidata e poi affermata per Michele A. Romanov. Lo Stato in anno 1917 era una autocrazia democratica, burocratica, con sostegno monarchico e con diritto di successione dall'impero popolare, poi democratico e parlamentare, dello Zar; in tale monarchia autocratica si aveva aggiunta in anno 1917 la sindacalizzazione delle istituzioni, ma era accaduto senza scopi di politica per lo Stato. La opera di Costituente del successivo anno, in estate, aveva scopo invece per lo Stato di organizzare delle corporazioni affinché i poteri dei sindacati fossero democraticamente distinti dai poteri sindacali dei Comuni e si potesse quindi ottenere facoltà oltre che istituzionali anche di operatività di cittadinanza.
...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE: ...

Quel che accadde dopo fu una ostilità imprevista, non da parte della cittadinanza russa, ma da masse di ignoti e senza richieste e con sole minacce, giunte al culmine nel mese di Ottobre 1918 a Mosca. A causa di assenza di provvedimenti monarchici per decisione dello stesso Monarca, si dovette provvedere alla risistemazione dell'intero Stato, iniziata proprio in stesso mese sia per naturale scadenza e necessità cronologica prevista sia per la emergenza dei disordini di massa attuati da ignoti contro lo Stato russo. I sindacati dunque assunsero ruolo di guida sui sindaci ma ai Comuni era assegnato anche il controllo delle opere cittadine. La incertezza del ritorno monarchico e la perduranza di gravi violenze interne commesse da non cittadini impegnò lo Stato fino al 1923; quindi ristabilito l'ordine terminava sospensiva stessa e finiva regime comunitario di emergenza; ma era brevissimo periodo perché la nuova presidenza dei sindacati, destinata oramai a rientrare sotto la egida parlamentare e non viceversa, era prima minacciata poi colonizzata dal cosiddetto Stalin e dai suoi. Quale estrema risorsa Lenin stesso dovette dichiarare Stato di Anarchia e non solo di fatto, necessario a future riprese di attività comuni di cittadinanza e di istituzioni, mentre la autarchia forniva ancora il minimo per far sussistere Stato stesso. Nella breve fase anarchica Lenin ezercitò poteri personali liberamente avviando la resistenza leninista, mentre i movimenti anarchici sciogliendo proprie attività si dedicavano a rafforzare la autarchia. Dalle istituzioni monarchiche in realtà ancora esistenti si rifiutò, durante tale fase, di intervenire ed esse cessarono di esistere.
Nonostante tutto, con inganni, lo Stato finì in mani ad esso stesso ostili, cioè vi si insediò "Stalin" che adoperava dittatura proprio per superare la forma statale che garantiva diritti e definiva doveri da costui rifiutati in favore di massificazione forzata, attuata creando problemi di sussistenza per i quali era necessaria divisione di ceti borghesi e proletari e dittatura proletaria, lo schema marxista che Lenin aveva opportunamente rigettato, con attività di destabilizzazione interna a stesso marxismo, cancellato dalla Russia in quanto astratto, inadeguato, fuorviante. In questo solo Lenin era stato un sovversivo, ma non ai danni della politica, bensì della antipolitica e contro associazioni con scopi falsamente umanitari.

A causa di tutto ciò, nonostante senza istituzioni monarchiche, in Russia continuavano attività legate alla monarchia ma non erano restaurative e terminarono con la avvalorazione della resistenza antistalinista. D'altronde questa non accadeva senza solamente propri successi, tanto che alla città di San Pietroburgo ovvero Leningrado poi costituita Stalingrado la organizzazione politica locale impediva o avversava al dittatore ed ingiusto omonimo la propaganda, evitando che i falsi contenuti culturali sopravanzassero i veri; per questo nella attuale città si conservano tutti e tre i nomi, per antistalinismo non per stalinismo. Ma in Europa Ovest non tutte queste vicende erano da tutti comprese o comprensibili, non sempre i racconti sfuggivano alla intolleranza dai filostalinisti o degli stalinisti e ciò pregiudicò in parte le vicende culturali dei comunisti italiani ed europei, anche perché in Cina il comunismo era in maggiori non differenti difficoltà a causa dello stalinismo.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel messaggio precedente nella espressione "Lenin ezercitò" si sostituisca a "ezercitò": esercitò. Cioè la espressione sta ovviamente per:
Lenin esercitò.

(Spero, ironicamente, che l'errore abbia potuto almeno agevolare le comprensioni intuitive di lettori cinesi più portati a vagliare parole se in grado di comparare le esse con le zeta!)

Per agio del lettore, reinvio messaggio corretto:

MAURO PASTORE: ...

Quel che accadde dopo fu una ostilità imprevista, non da parte della cittadinanza russa, ma da masse di ignoti e senza richieste e con sole minacce, giunte al culmine nel mese di Ottobre 1918 a Mosca. A causa di assenza di provvedimenti monarchici per decisione dello stesso Monarca, si dovette provvedere alla risistemazione dell'intero Stato, iniziata proprio in stesso mese sia per naturale scadenza e necessità cronologica prevista sia per la emergenza dei disordini di massa attuati da ignoti contro lo Stato russo. I sindacati dunque assunsero ruolo di guida sui sindaci ma ai Comuni era assegnato anche il controllo delle opere cittadine. La incertezza del ritorno monarchico e la perduranza di gravi violenze interne commesse da non cittadini impegnò lo Stato fino al 1923; quindi ristabilito l'ordine terminava sospensiva stessa e finiva regime comunitario di emergenza; ma era brevissimo periodo perché la nuova presidenza dei sindacati, destinata oramai a rientrare sotto la egida parlamentare e non viceversa, era prima minacciata poi colonizzata dal cosiddetto Stalin e dai suoi. Quale estrema risorsa Lenin stesso dovette dichiarare Stato di Anarchia e non solo di fatto, necessario a future riprese di attività comuni di cittadinanza e di istituzioni, mentre la autarchia forniva ancora il minimo per far sussistere Stato stesso. Nella breve fase anarchica Lenin esercitò poteri personali liberamente avviando la resistenza leninista, mentre i movimenti anarchici sciogliendo proprie attività si dedicavano a rafforzare la autarchia. Dalle istituzioni monarchiche in realtà ancora esistenti si rifiutò, durante tale fase, di intervenire ed esse cessarono di esistere.
Nonostante tutto, con inganni, lo Stato finì in mani ad esso stesso ostili, cioè vi si insediò "Stalin" che adoperava dittatura proprio per superare la forma statale che garantiva diritti e definiva doveri da costui rifiutati in favore di massificazione forzata, attuata creando problemi di sussistenza per i quali era necessaria divisione di ceti borghesi e proletari e dittatura proletaria, lo schema marxista che Lenin aveva opportunamente rigettato, con attività di destabilizzazione interna a stesso marxismo, cancellato dalla Russia in quanto astratto, inadeguato, fuorviante. In questo solo Lenin era stato un sovversivo, ma non ai danni della politica, bensì della antipolitica e contro associazioni con scopi falsamente umanitari.

A causa di tutto ciò, nonostante senza istituzioni monarchiche, in Russia continuavano attività legate alla monarchia ma non erano restaurative e terminarono con la avvalorazione della resistenza antistalinista. D'altronde questa non accadeva senza solamente propri successi, tanto che alla città di San Pietroburgo ovvero Leningrado poi costituita Stalingrado la organizzazione politica locale impediva o avversava al dittatore ed ingiusto omonimo la propaganda, evitando che i falsi contenuti culturali sopravanzassero i veri; per questo nella attuale città si conservano tutti e tre i nomi, per antistalinismo non per stalinismo. Ma in Europa Ovest non tutte queste vicende erano da tutti comprese o comprensibili, non sempre i racconti sfuggivano alla intolleranza dai filostalinisti o degli stalinisti e ciò pregiudicò in parte le vicende culturali dei comunisti italiani ed europei, anche perché in Cina il comunismo era in maggiori non differenti difficoltà a causa dello stalinismo.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE:
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Il comunismo sovietico nella prima fase fu socialismo reale russo, poi socialismo-comunismo russo, nel senso che alla attività etnicamente definibile russa si era aggiunta attività interetnica non solo russa. La componente non russa era in principio riconosciuta quale provvisoria od esterna, ma ciò limitatamente alle zone restate esse stesse russe, in Ucraina dunque con lo statuto speciale al Paese concesso da Lenin essa era diventata una tra altre, poi durante la dittatura di Stalin era altrove e in tutta Unione Sovietica accettata per necessità o di fatto solamente, fino a quando dopo la decentralizzazione optata da Breznev in Unione Sovietica v'era comunismo-socialismo interetnico non solo russo ma internamente non vigevano stati etnicamente ordinati. Durante la destituzione dei Soviet, gli Stati sovietici si riordinarono etnicamente e la divisione imposta dalla Guerra Fredda trovava uguale riordinamento interno senza dover o poter ricorrere ad invasività né invasioni da parte del blocco occidentale capitalista.
Assai prima durante il periodo anarchico prestalinista si era costituita una etnarchia socialista non comunista poi comunista non socialista per iniziativa russa, di Lenin stesso, detta Impero Bolscevico poi Impero dei Bolscevichi, tale seconda espressione non da tutti certificata in quanto non era risultata ufficiale la comunicazione della avvenuta morte di Lenin, la cui presunta salma costituitane a prova era in realtà stata consegnata come già prova fosse stata, poi neppure più custodita con minime o possibili certezze, dunque si ipotizzava che Lenin fosse rimasto vivo in ruolo di etnarca in zone siberiane-orientali e che fosse sempre e solo lui a dare per ivi comandi etnici. Di fatto in alcune cronache ciò era riportato infine, sotto dicitura unica: "Impero Bolscevico di Lenin". Comunque una etnarchia russa e bolscevica vi fu, perché la decentralizzazione brezneviana non ebbe bisogno di esser poi garantita diplomaticamente per lo Stato centrale.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE: ...

Dalla costituzione dei Soviet alla dissoluzione dei Soviet, il comunismo sovietico russo e non russo fu caratterizzato da fondamentale laburismo, a causa della interetnicità, in ciò per ragioni dunque inverse al laburismo anglosassone e britannico, che si fondava sulla necessità etica di maggiori opportunità e giustizia perché identitariamente. In Unione Sovietica il laburismo aveva invece necessità etica opposta, di minori dispersioni e uguaglianze. I bolscevichi contro la omologazione forzata lo avevano propiziato diffondendo un rigido e assoluto individualismo etnico non ideologico nelle zone non ancora raggiunte dai poteri sovietici attivi sottoposti allo stalinismo. Questa propiziazione parve improbabile agli studiosi e storici occidentali ma poi, durante gli anni di presidenza di Breznev, gli statunitensi ne potettero dedurre dai fatti. Complessivamente, escludendo conseguenze della violenza omologatrice di Stalin e stalinisti che conformava un comunismo non veramente politico, il comunismo sovietico era per stessa definizione laburista e dunque non tale per scopi, era sostenuto da condizioni politiche autarchiche, in ciò non bisognando di ideologie individualiste specifiche, inoltre restò sua componente fondamentale quella russa, che si fondava su esigenze di inventiva e non preventività. In tal senso il comunismo russo sovietico fu un antinichilismo, cioè un rimedio non contro la nullafacenza ma contro la nullasignificanza. Non ebbe però origine da bisogni esistenziali ma esistentivi perché la comune ricerca di senso era economicamente necessaria, per le cose. La componente non russa del comunismo sovietico sorse invece da saggezza esistenzialista, dato che esso vi era deliberato per opzione con alternativa e quindi era un modo di essere della economia anziché un altro e non necessità impellente; eppure interetnicamente prevalevano senso e ragioni di necessità, secondo prassi di colonia russa e di provvisorietà non russa. Questo stato di cose durò economicamente fino ad abbandono politico russo di molte zone meno settentrionali che non sempre fu totale cioè con perduranze russe non direttamente politiche. Sicché attualmente ne resta non eredità ma retaggio politico direttamente in Russia e Zone Baltiche Russe, Bielorussia, non direttamente in Crimea; anche in Zone Artiche Russe ma solo in parti non autonome di queste; invece è eredità non retaggio nelle zone non russe ex sovietiche: in tutti i casi conseguenze positive senza lasciti politici.

La caratterizzazione russa del comunismo sovietico non ne rende esempio possibile per altri. Esso serviva anche per ridurre dispersività negli immensi territori e per garantire principio di comunicazione autocratica e non è possibile valutarne secondo parametri storici-culturali non russi né solo parzialmente russi.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Luigi Cortesi risulta morto, il suo libro già da tempo pubblicato, io ne ho scritto anche al presente perché scrivendo ricordavo incontro con lui e sue comunicazioni e richieste e suo pensiero.
Ricordo che era rimasto interessato al mio distacco, col quale consideravo altrui nozioni storiche imprecise senza esserne intellettualmente travolto; ricordo pure che gli avevo indicato atteggiamenti ed espressività altrui, notando io quindi positivamente la sua intenzione di redarre una storia aperta ad anticonvenzionalismo e interrotta o da interrompere senza dover giungere allo stesso "dunque", senza la stessa deduzione priva di intuizione dei fanatici intellettuali od intellettualoidi che ossequiavano la figura di Stalin ed i suoi seguaci reali ed impedivano dedizioni alla verità od attenzioni alla realtà delle diversità, anche culturali.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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Mi sono deciso a scrivere, ancora sul Web, di storia russa e comunismo perché venerdì scorso su RaiStoria è stato messo in onda un documentario sulla Rivoluzione Comunista Russa... introdotto da impertinenza filoclericale antiortodossa e anticristiana, influenzata da russofobia. Il documentario però era ulteriormente provvisto, incorniciato, da chiavi aggiuntive per ulteriori interpretazioni ad evitare la ambiguità distruttiva, con certa vaga non assurda luttuosità annessa, dovuta, suppongo, alla introduzione (interna) che appunto era manchevole ed eticamente inaccettabile.
Il contenuto di tal documentario televisivo, con le sole mezze verità consentite in passato dal filostalinismo ma per tramite non della introduzione ma della presentazione, lasciava trapelare di questa ultima limitatezza e relatività.

Basandolo sul linguaggio ammezzato dei documentaristi e sui relativi racconti a metà di tal documentario, io avevo scritto in stesso giorno della messa in onda del documentario ovvero ieri l'altro, venerdì 5 aprile 2019, un racconto intero della intera verità, di quegli eventi e degli accadimenti relativi, sincronicamente valido non solo diacronicamente, che ho poi riscritto ieri stesso senza altro testo ma mutando lo stesso già.
Invierò qui a sèguito di questo messaggio codesto mio testo.
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)

ANTEFATTI
Nell'Ottobre 1917 lo Zar Nicola II già aveva dato fine al proprio mandato per la autocrazia russa ed il suo successore Michele Romanov confermava. Esisteva già un Parlamento democratico-repubblicano succeduto al già esistente Parlamento repubblicano ed i Consigli dei Lavoratori ovvero Soviet erano già nuove ufficiali istituzioni nello Stato zarista, con la soppressione di quelli falsi contro lo Stato. Il Parlamento repubblicano ricevuta facoltà autocratica dallo Zar Nicola II si era riformato da solo per attivazione dei Consiglieri dei lavoratori, costoro ottenuta e non ricevuta facoltà autocratica con approvazione ufficiale dello stesso Zar ma ancora senza ufficiali organi riconoscibili, codesti realizzati autonomamente e riconosciuti ufficialmente da stesso Zar dopo soppressione dei falsi consigli.
La Russia era stata già sconfitta militarmente dal Giappone durante Guerra provocata da aggressioni territoriali da parte di residenti in Russia non russi contro i residenti giapponesi continentali. Nondimeno esponendo a sconfitte e distruzioni le forze etniche e le tecnologie non russe ed antinipponiche, il Governo russo aveva potuto beneficiare degli aiuti da stessi giapponesi continentali per la formazione di un nuovo potente esercito russo, realizzato durante Guerra stessa e rimasto inoperoso nonostante sua completa superiorità su quello giapponese. Uscita dalla sconfitta di un esercito non più regolare ma con uno nuovo regolare, era la Russia ancora luogo di poteri politici etnici russi e di poteri non politici inter-etnici non solo russi. Tra questi ultimi vi era scontento. Delle vecchie armate inservibili, ancora restate a causa dei rifiuti etnici non russi, dopo inizio della Grande Guerra si era deciso di provvedere a servizi di ventura, a favore di alleati occidentali militarmente in maggiore arretratezza. Ugualmente a sempre in casi di scontri violenti o violentissimi, la strategia era ritiro anticipato meglio se durante sopravanzamento di forze nemiche. In Russia repubblicana tale strategia era fortemente contestata dai soli residenti non russi che trovavano certo ingenuo credito da russi estranei ai poteri repubblicani. ...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :
(ANTEFATTI)

...Il proletariato era il meno informato e quindi il più bellicoso ed i Consigli dei Lavoratori che si occupavano in realtà più dei contadi, dei borghi, delle metropolie che dei proletariati, optarono, grazie soprattutto ad intervento del Consigliere Lenin, bolscevico attivo politicamente cioè socialista non socialdemocratico ovvero non menscevico, per opera di informazione e convincimento a favore del proletariato stesso. I provvedimenti socialdemocratici avevano ottenuto in precedenza istituzioni di diritti privati e pubblici, in materia di economia del lavoro; i provvedimenti socialisti ottenevano anche senza Lenin riconoscimenti di doveri pubblici e privati, in materia di lavori economici; durante i tempi più duri della Grande Guerra (prima guerra mondiale) la imprevista confusione degli erari statali europei indussero in Russia i Consiglieri ad esprimere esigenza di creazione immediata di una unica economia comunitaria talché ne venissero non escluse esigenza di prole ed esigenza degli agi per essa, di chiunque, non solo di chi in condizione proletaria ma anche di chi in necessità proletaria, senza riguardo per differenze: né di classi sociali né di ceti economici né di statuti civili né di gradi di acculturazione né di comunicazioni religiose. Ciò accadeva dopo autoestromissione, provocata da esterno ma in interno anche da Lenin stesso, della politica marxista dallo Stato politico russo. La creazione della unità economica di emergenza fu realizzata per intervento decisivo da Lenin e non era provvedimento distruttivo ma sospensivo e delle sole proprietà pubbliche e private, restandone le sole private esentate. In Ottobre 1917, ratificato tal provvedimento unitario, si dichiarava termine da parte dello Stato russo del contributo russo alla Causa umanitaria dei militari e non solo militari e non russi coinvolti negli scontri della Grande Guerra, estromettendo del tutto le etnie non russe dal continuare ad interferirvi e quindi impedendo esse propaganda di guerra, divieto attuato finalmente anche con pieno appoggio di proletari stessi oltre che di proletariato.
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MAURO PASTORE

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MAURO PASTORE:...

FATTI DI OTTOBRE 1918
In anno 1918 si stava già badando ai ripristini economici dopo la fase comunitaria della Grande Guerra, quando nel mese di Ottobre masse di diseredati sconosciuti non russi manifestarono incomprensibilmente e violentemente per le strade di Mosca, dove era stata stabilita nuova Capitale dello Stato russo.
Questo Stato non era ancora ex zarista ma ora oltre che democraticamente parlamentare anche autocraticamente demilitarizzato e provvisto di Corte Marziale stabile e di disposizioni repubblicane di autodifesa di cittadinanza russa e di cittadini russi, ciò secondo previo programma dello stesso zar Nicola II. La demilitarizzazione consisteva in uso soltanto esterno a Stato di esercito militare con còmpiti per lo Stato e secondo modalità omologata ai nemici della Russia ma con modi opposti cioè con scopo di ridurre ad inopportunità per il nemico stesso la sua stessa violenza di guerra. Tale esercito obbediva alla Corte marziale ed ai Consigli dei Lavoratori. I gravi disordini accaduti a Mosca in Ottobre 1918 prima di fine di stesso mese, accaduti anche in tutte le principali zone urbane della Russia, la sottoposero anche poi a etnofobia forestieria di incapaci di anche sola residenza russa. In stesso mese si dichiarava assente nuovo ordine dello Zar e ultimo suo ordine riconoscibile era questo: la fine del governo degli Zar ed inizio del governo del Monarca per diritto discendente da stesso comando zarista; ma si constatava da parte dei restanti organi di Stato russo assenza anche di ordini monarchici atti a fronteggiare la nuova situazione.
Senza destituire il Monarca, che era Michele Romanov, si agì con provvedimento ulteriore di emergenza che faceva utilizzo dei nuovi poteri assunti dopo armistizio col Giappone e per assunzione di facoltà autocratiche di difesa per volontà di ultimo Zar (che era stesso Nicola II), a porre il termine dei disordini antirussi e a far terminare le proteste etnofobiche ed antirusse da parte forestiera e imprecisabile, quindi senza utilizzo di esercito ma col rifiuto a comunicare e con l'impegno a mutare il senso della ostile presenza, sottoposta agli ordini di emergenza dei Consigli dei Lavoratori, cioè a: lavori coatti non forzati, mansioni di necessità non deliberate, manifestazioni di capacità per bisogni di emergenza.
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MAURO PASTORE

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MAURO PASTORE :...

EPILOGO DEI FATTI DI OTTOBRE 1918
Le masse ostili erano ricondotte ad estranea residenza non ostile, cui era affidata autodifesa militare contro ostilità forestiere, di fatto queste di stessa appartenenza popolare dei difensori loro opposti, identificabile non europea, euroasiatica-asiatica non euroasiatica, non artica e dunque incapace di anche sola residenza in Russia. I difensori erano costretti ad agire contro stessa loro appartenenza popolare per evitare in futuro di perire nelle proprie incapacità e inanità. Col progredire della difesa, senza guerra attiva, le masse popolari si russificavano in gran parte, con ciò potendosi ottenere ultimo estremo comunicato dal Monarca Michele Romanov ancora in azione e reggenza da luogo sconosciuto forse della Siberia o delle zone integralmente artiche prossime al Polo Nord. In tale comunicato si specificava che mai era stato sfiduciato lo Stato russo privo di ordini monarchici, mai abbandonato, mai subissato, mai provvisto di quanto da esso non richiesto, mai avversato anche se in reciproche incomunicabilità; si invitava a verificare ugual risultanza politica, di cessazione di altrui ostilità e russificazione degli ex ostili, ed a notare antecedenza operativa della monarchia autocratica russa, di fatto itinerante, tale anche dopo e per deliberata scelta, rispetto a democrazia autocratica russa, si precisava legittimità dei provvedimenti sociali non monarchici non antidemocratici, se ne invitava ad ulteriori, socialisti e non democratici ed antipopulisti non antidemocratici, provvedendo di descrizioni di problemi nuovi e sconosciuti ma non diversi dalle nuove ostilità comuni solo parzialmente già sconfitte, si dichiarava falsa la notizia della morte della famiglia dell'ex Zar Nicola II Romanov e di lui medesimo, si smentiva prigionia del Monarca medesimo, che dava messaggio di essere non più in posti da altri russi raggiungibili e di non voler più dare sue notizie perché non ritenendo sua nuova eventuale venuta oggetto di possibile rifiuto o reale critica.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

SENSO E NONSENSO DEI FATTI DI OTTOBRE 1918
Per quanto risultato da tali informazioni, soprattutto da uguali indipendenti risultanze, già da mese di Ottobre 1918 a Mosca ed altrove si era iniziata fase nuova dello Stato russo, in assetto di sopravvivenza ed emergenza, organizzato con partito unico di garanzia socialista, questo con principale scopo minimo di conservazione delle abilità ai lavori russi in Russia.
L'esercito della Russia aveva obbligo di non belligeranza contro il Partito Unico Socialista, restando comando dei militari affidato alla Corte Marziale russa medesima. In anno 1919 la nuova condizione interna politica russa veniva notificata dalle diplomazia russe a quasi tutto il resto del mondo mentre al Giappone che se ne era dichiarato già a conoscenza non ufficiale veniva confermato ufficialmente. Il primo Stato a riconoscere lo Stato Russo Sovietico dunque fu il Giappone. Tale Stato era comunista per necessità perduranti, diverse da quelle paventate da Marx ed Engels, e non per scelte continuate.
In tale Stato Sovietico Lenin era principale referente politico, poi Presidente, fino al termine di stessa fase socialista con reintegrazione completa non uguale delle funzioni nobiliari e restituzione di tutti i beni economici accomunati durante la Grande Guerra e assicurazione di relazioni statali con le facoltà religiose durante stesso anno e mese di ottobre 1918 rese impossibili. Tale nuovo assetto richiedendo nuova Presidenza, il futuro ruolo ne fu con frode assunto dal cosiddetto "Stalin" ed iniziò un lunghissimo periodo di crisi dello Stato Sovietico e di statismo irregolare contro regolare statalismo, col prevalere solo successivamente della regolarità soprattutto attraverso la presidenza di Krusciov e dopo ancora di Andropov ma anche con in mezzo e nel dopo i contributi determinanti di Breznev e Gorbaciov fino alla autoestinzione del potere politico-amministrativo dei Consigli dei Lavoratori ovvero Soviet a causa della Guerra Fredda contro l'Ovest del Pianeta. Nel frattempo l'esercito sovietico in superiorità assoluta militare sul resto del mondo era stato però economicamente ingestibile ed aveva, prima ancora della estinzione della preminenza politica-sovietica, optato per belligeranza non assoluta, ciò a discapito di stesso Regime Sovietico perché questo ultimo era preda degli stalinisti poi di moltitudini imperialiste, quindi la Guerra Fredda era stata vinta dalla stretta economica-militare-politica del blocco capitalista anticomunista-antisovietico. In questo lungo periodo e prima ancora di esso, Lenin aveva già spontaneamente cominciato ad usare autocrazia e personalmente per combattere contro i criminali e traditori antirussi ed antisocialisti, fino ad assumere egli totale dispotia, a favore delle zone non raggiunte del tutto dal potere statale e affinché la intera Unione Sovietica finita soggetta al rischio criminale se ne potesse riscattare.
Tale dispotia era esercizio non negatogli dalle leggi a causa della crisi che si veniva profilando. Tale esercizio del potere continuava anche oltre sua presunta morte ed anche per opera di suoi seguaci, senza continuità con lo zarismo ma secondo ideologia russa orientaleggiante incentrata sul ruolo del capo assoluto detto "khan", ideologia che era stata rappresentata anche dallo zarismo ma da questo solo secondariamente o eventualmente.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :

(SENSO E NONSENSO DEI FATTI DI OTTOBRE 1918)
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Tale assolutismo dispotico di Lenin e dei leninisti era fortemente individualista, etnarchico, episodico e controcomunista ed ovviamente antistalinista e cessò solo col prevalere durante la dissoluzione della Unione Sovietica dei passati ma non già ineffettivi piani anarchici antitotalitari di Bakunin, di fatto prevalenti anche poi cioè poco prima della nuova presidenza di Eltsin ma anche dopo ancora, preponderanti talvolta sulla stessa politica istituzionale ex sovietica ma non ostili all'ex sovietismo. Prima di tale preponderanza antitotalitaria la socialdemocrazia pianificata dai menscevichi aveva agito da estero (da Parigi e dalla Italia specialmente) per il ritorno della autocrazia democratica in Russia Sovietica.
Invece era stato proprio dai a Mosca che si aveva e senza volontarietà dei manifestanti innescato una Rivoluzione Socialista su scala mondiale che si era affermata ad Est dell'Orbe Terraqueo e non ai danni dell'emergente Capitalismo occidentale ed americano, poi questo assurto ad affermazione di politica alternativa non ostile, tanto che gli Stati Uniti d'America avevano riconosciuto ed attestavano la Unione Sovietica sotto ègida di Lenin quale altro non negativo potere.
La dispotia personale, non la attività presidenziale, di Lenin restò più nota in America che altrove dove se ne raccontava in analogia coi poteri e facoltà di potenti quali Maometto I, Gengis Khan, Tamerlano ovvero Timur "quello che pareva zoppo e non lo era", lo zar Ivan il Terribile, perché si riconosceva anche a Lenin provvidenziale altro potere, anche a favore di luoghi americani interessati da eccessi economicisti e sottoposti ad aberrazioni politiche-economiche. Tale dispotia era esercitata sopra la legge con soli messaggi personali di cui alcuni a lungo termine di intuizioni ed effetti, cui poteri nessuno dei destinatari seppe o volle mai sottrarsi, ma non era essa un cesarismo.
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE: ...

POSTILLA
SULLA FINE DELLE CONSEGUENZE DEI FATTI DI OTTOBRE 1918.

Pari menzione da pochi politici occidentali ed informati o superinformati era in sèguito tributata al poliziotto e presidente sovietico Andropov, ritenuto però uomo dai poteri assoluti certo ma segretamente personali oltre che segretamente statali e durante sua stessa attività di polizia, nello Stato e non contro lo Stato ma non a favore dello Stato sovietico e irriducibilmente contro il Sistema del regime sovietico determinato da Stalin e dai suoi seguaci. Il superpotere personale di Andropov restò non classificabile in America ma fu chiaro perlomeno che era una facoltà politica definibile, in senso speciale cosmopolita, greca e russa; dello stesso Lenin si tramandò fosse un bolscevico greco-russo, in particolare di pensiero ellenista.
Utile menzione esplicativa a riguardo è, oltre quella della garanzia comunista per la democrazia a Cuba, quell'altra del particolare comunismo greco-elleno che fu nazionalista transpartitico non ideologico non economico, nel Secolo Ventesimo essendo breve movimento non totalitario, inclusivo e non omologante, di fatale ma solo immediata riuscita, questa appunto paragonabile alla fatalità dei successi delle opere personali di Lenin o, decenni dopo, di Andropov.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel penultimo messaggio una minima parte del testo che volevo fosse pubblicato ieri è risultata mancante evidentemente perché si trattava di espressione munita di segni grafici non riconosciuti dal sistema automatico di formattazione del sito di destinazione del testo. Questa la parte mancante, che avevo necessità immediata di includere entro segni di apici orizzontali, secondo uso greco od alla greca, necessità venuta meno solo con tale doppio invio e integrazione, nella quale ora uso segni diversi maggiormente convenzionali:

'Fatti dell'Ottobre 1918'

Tale espressione va collocata entro sua frase cosí, però avendo particolar cura di considerare che il verbo successivo alla espressione è impersonale e inoltre dando senso inusitato e fortemente indicativo ma non descrittivo alla espressione stessa:

...
Invece era stato proprio dai 'Fatti dell'Ottobre 1918' a Mosca che si aveva e senza volontarietà dei manifestanti innescato una Rivoluzione Socialista su scala mondiale che si era affermata ad Est dell'Orbe Terraqueo e non ai danni dell'emergente Capitalismo occidentale ed americano, poi questo assurto ad affermazione di politica alternativa non ostile, tanto che gli Stati Uniti d'America avevano riconosciuto ed attestavano la Unione Sovietica sotto ègida di Lenin quale altro non negativo potere.


Nel secondo e terzo messaggio a fine testo c'è una espressione impervia:

non sempre i racconti sfuggivano alla intolleranza dai filostalinisti o degli stalinisti

Essa può esser letta con tale senso esplicito:

non sempre i racconti sfuggivano alla intolleranza degli stalinisti né sempre sfuggivano dai (rifiuti dei) filostalinisti

Reinvierò il penultimo messaggio con testo più opportunamente integrato.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(SENSO E NONSENSO DEI FATTI DI OTTOBRE 1918)
...
Tale assolutismo dispotico di Lenin e dei leninisti era fortemente individualista, etnarchico, episodico e controcomunista ed ovviamente antistalinista e cessò solo col prevalere durante la dissoluzione della Unione Sovietica dei passati ma non già ineffettivi piani anarchici antitotalitari di Bakunin, di fatto prevalenti anche poi cioè poco prima della nuova presidenza di Eltsin ma anche dopo ancora, preponderanti talvolta sulla stessa politica istituzionale ex sovietica ma non ostili all'ex sovietismo. Prima di tale preponderanza antitotalitaria la socialdemocrazia pianificata dai menscevichi aveva agito da estero (da Parigi e dalla Italia specialmente) per il ritorno della autocrazia democratica in Russia Sovietica.
Invece era stato proprio non in virtù ma in reazione ai fatti di Ottobre 1918 (d.C.) a Mosca che si aveva e senza volontarietà dei manifestanti innescato una Rivoluzione Socialista su scala mondiale che si era affermata ad Est dell'Orbe Terraqueo e non ai danni dell'emergente Capitalismo occidentale ed americano, poi questo assurto ad affermazione di politica alternativa non ostile, tanto che gli Stati Uniti d'America avevano riconosciuto ed attestavano la Unione Sovietica sotto ègida di Lenin quale altro non negativo potere.
La dispotia personale, non la attività presidenziale, di Lenin restò più nota in America che altrove dove se ne raccontava in analogia coi poteri e facoltà di potenti quali Maometto I, Gengis Khan, Tamerlano ovvero Timur "quello che pareva zoppo e non lo era", lo zar Ivan il Terribile, perché si riconosceva anche a Lenin provvidenziale altro potere, anche a favore di luoghi americani interessati da eccessi economicisti e sottoposti ad aberrazioni politiche-economiche. Tale dispotia era esercitata sopra la legge con soli messaggi personali di cui alcuni a lungo termine di intuizioni ed effetti, cui poteri nessuno dei destinatari seppe o volle mai sottrarsi, ma non era essa un cesarismo.
(...)

MAURO PASTORE