venerdì 21 gennaio 2011

Penco, Carlo, Frege.

Roma, Carocci, 2010, pp. 225, € 16,00, ISBN 978-88-430-5345-2.

Recensione di Giulio Di Basilio - 21/01/2011

Parole chiave: filosofia analitica, filosofia del linguaggio, logica, ontologia, epistemologia.

“A volte Friedrich Ludwig Gottlob Frege in Italia è ancora presentato solo come l’autore che ha tentato di fondare la matematica sulla logica senza riuscirvi” (p. 9). È con queste parole che Penco apre la prefazione al suo volume dedicato al pensiero di Frege, ed è difficile non condividere quest’affermazione, vista l’ingiustificata dimenticanza che interessa quest’autore, ancora oggi, nel panorama filosofico italiano a cui il volume è diretto. Presentato troppo spesso come un capitolo nella storia della logica, menzionato in ambito matematico solamente per la sua teoria della quantificazione, il destino di Frege sembra volerlo relegare a un ruolo da deuteragonista nel pensiero logico-matematico e filosofico. Fu con la pubblicazione nel 1973 del ponderoso volume di Michael Dummett Frege. Philosophy of language, che il filosofo oxoniense riabilitò la figura di Frege nella discussione filosofica. Il volume si proponeva di mostrare la preziosità di un’attenta lettura degli scritti di Frege e convinse la comunità filosofica anglo-americana dell’imprescindibilità del pensiero fregeano, sia per la ricerca e comprensione delle sue origini, che per la continuazione e re-indirizzamento delle sue vicende teoriche. Forse questo risultato non si verificò in Italia, vista la scarsa attenzione concessa a questo autore. Lo scopo di Penco è quindi quello di fornire un utile strumento per chiunque si voglia avvicinare a questo pensatore e offrire al lettore italiano un’introduzione notevolmente più aggiornata delle altre in circolazione, come quelle di Mauro Mariani e di Anthony Kenny, rispettivamente per i tipi Laterza ed Einaudi (1994 e 1995).
Il testo è diviso in tre parti che presentano i contributi di Frege ai tre ambiti teorici in cui questi si è impegnato: logica, epistemologia e ontologia. Come afferma Penco, riprendendo un'interessante osservazione di Kenny, nonostante il fallimento del progetto fregeano di logicizzazione dell’aritmetica, che rappresenta un leitmotiv della sua intera biografia intellettuale, il suo contributo può essere paragonato al fallimento dell'impresa di Cristoforo Colombo, il quale con l'obiettivo di raggiungere l'India attraverso l'Atlantico finì per scoprire un continente sconosciuto; analogamente, attraverso il suo tentativo, Frege scoprì un continente inesplorato di questioni filosofiche che costituiscono l'agenda teorica della filosofia anglosassone dagli inizi del secolo ventesimo fino ad oggi. Nella parte introduttiva del testo sono fornite le coordinate della vita e delle “sfortune” di Frege: come mostra Penco il filosofo di Wismar rimase sempre in secondo piano nella riflessione filosofica e matematica a lui contemporanea, e ottenne stentatamente una collocazione accademica all’università di Jena. A questa presentazione biografica segue una breve disamina dei legami che Frege ebbe con i protagonisti della riflessione di fine ottocento e inizio novecento (Russell, Peano, Wittgenstein, Hilbert, Cantor, Husserl tra gli altri) e un accurato elenco delle opere pubblicate in vita da Frege, con una periodizzazione ragionata.                            

Penco ci guida attraverso le conquiste di Frege innanzitutto nel campo della logica: l’applicazione del concetto matematico di funzione all’analisi degli enunciati, l’interpretazione del concetto in termini funzionali e la teoria della quantificazione resero possibile la risoluzione di problemi annosi per la storia della logica, come l’unità della proposizione, il trattamento degli enunciati relazionali e degli enunciati contenenti espressioni di generalità multipla. Si apriva la strada alla nascita della logica matematica. Queste conquiste fondamentali venivano compiute nella prima opera di Frege, la Begriffschrift del 1879, definita da molti studiosi la più grande opera di logica dell’occidente dopo gli Analitici Primi di Aristotele. Penco non lesina accurate spiegazioni sul carattere rivoluzionario di tale opera e ci guida attraverso le notazioni adottate da Frege ponendo molta attenzione sull’influenza e la longevità delle sue intuizioni nel dibattito successivo su questi temi: solo per fare un esempio, la distinzione tra forma grammaticale e forma logica sarà di fondamentale importanza per le riflessioni di Russell sulle descrizioni definite e per il Wittgenstein del Tractatus (cfr. § 3.323, dove si contrappongono le molteplici funzioni logiche svolte dal verbo essere alla sua forma grammaticale unitaria). Anche il sistema assiomatico inventato è soppesato e analizzato: “Frege per primo ha avuto l’idea di sistema formale assiomatico, come venne istituzionalizzato in seguito, specie a partire da Hilbert, Ackermann, cioè un sistema in cui si distingueva: (1) il linguaggio in cui si presentavano le teorie e (2) il calcolo che si operava su di esse. In termini leibniziani si sarebbe parlato di lingua characteristica e calculus ratiocinator” (p. 59).   

La seconda parte si concentra sull’epistemologia fregeana, in primis sull’ipotesi logicista di ricondurre e fondare l’aritmetica sulla logica. È proprio in questo contesto che constatiamo il “naufragio” involontario di Frege su di un’isola di problemi nuovi e inesplorati: per limitarci a un esempio, uno dei principi fondamentali elaborati dall’autore è il principio del contesto, che afferma che solo nel contesto enunciativo una parola possiede significato. Questo principio fu introdotto per restringere l’analisi del concetto di numero (di cui si tentava di dare una definizione meramente logica) solo negli enunciati in cui questo compare, ma divenne nella riflessione successiva un aspetto molto discusso e innovativo: esso rompeva con la tradizione empirista che connetteva nome a idea, parola a cosa, ma contemporaneamente divergeva dalla tradizione razionalistica, che pensava ai concetti come preesistenti ai contesti enunciativi. Creava, infine, uno spazio pubblico, il linguaggio, nel quale collocare la riflessione sul significato e, più in generale, sulla conoscenza. Il testo centrale di questo periodo è Die Grundlagen der Arithmetik del 1884: questo scritto mirava a rivolgersi a un uditorio perlopiù filosofico, visto il fallimento che ebbe la Begriffschrift nella ricezione dei suoi contemporanei. Altro importante aspetto del pensiero fregeano in ambito epistemologico è il suo antipsicologismo: Penco dedica pagine dense e interessanti alla distinzione introdotta da Frege tra cause e ragioni dei nostri pensieri. È forse anche per questo che nella contemporaneità molti autori guardano con sospetto alcune conclusioni di Frege. Nella comunità filosofica contemporanea prevalgono approcci naturalistici e mentalistici al problema del significato o più in generale ai problemi sollevati dalla nostra competenza linguistica. Questa prospettiva è tuttavia osteggiata da Frege, poiché confonde (più o meno consapevolmente) due piani, quello descrittivo della psicologia e quello normativo della grammatica, che vanno invece tenuti ben distinti. Secondo le parole di Penco: “Frege non è interessato a come si forma in noi il pensiero matematico, ma a come la conoscenza matematica viene giustificata. Ogni studio sulle strutture neuronali che aiutano il formarsi del pensiero matematico sarebbe da lui accolto con grande interesse, come anche gli studi sugli aspetti estetici della matematica; ma tali ricerche, per quanto interessanti, non avrebbero alcun valore dal punto di vista della giustificazione della validità di una dimostrazione matematica” (p. 102-3). Non stupisce, perciò, che risulti quantomeno impopolare quest’aspetto del suo pensiero tra i partecipanti al dibattito odierno. 
Paragrafi come quello dedicato alla tesi della priorità dei giudizi sui concetti, sul valore cognitivo e la fecondità dell’analitico e sulla distinzione tra note caratteristiche e proprietà dei concetti rendono esplicite le ascendenze kantiane del pensiero fregeano, talvolta sottovalutate. Il lettore meno esperto troverà inoltre particolarmente illuminanti le pagine che sono dedicate alla presentazione del concetto di numero secondo Frege e di come l’apparato concettuale necessario per fornirne la definizione renda possibile la formulazione del paradosso di Russell: il guaio, ci spiega Penco, risiedeva nell’assumere l’estensione dei concetti come concetto primitivo, ossia non si dava ulteriore specificazione del passaggio dai concetti alle classi di oggetti cui i primi si applicano. Penco mostra come il “principio di comprensione” (che ci permette di passare da un concetto alla classe degli oggetti che vi cadono sotto e viceversa), abbia bisogno di precise limitazioni per evitare di prestare il fianco ai paradossi dell’autoriferimento. Sebbene il logicismo sia stato in passato più volte creduto non più percorribile, in questa parte del testo Penco fa un’ampia panoramica sulle riprese contemporanee di quest’approccio che tentano principalmente di limitare proprio tale principio di comprensione: il lavoro di Crispin Wright ne costituisce gli esiti più interessanti. La seconda parte del testo si conclude con la presentazione della ben nota “svolta linguistica” che è stata attribuita a Frege e ai filosofi che in seguito si sono ispirati ai suoi scritti. È noto come l’autore in questione abbia sempre considerato il linguaggio naturale come uno strumento difettoso per la ricerca scientifica e filosofica e che andasse sostituito con un linguaggio artificiale, appunto come quello sviluppato nella Begriffschrift: il linguaggio in questione dovrebbe essere in grado di rappresentare perspicuamente il pensiero, a prescindere dalla sua concreta “veste” linguistica, di carattere empirico. La prolificità di questa intuizione nel dibattito filosofico del novecento può essere mostrata facendo riferimento alle molte linee teoriche che a questa si sono ispirate, nonostante le loro particolari specificità. Un esito fu la nascita di una linea teorica molto attenta alle formalizzazioni (capeggiata da Rudolf Carnap, che fu allievo diretto di Frege) e più tardi un’altra propaggine si concentrò sull’analisi del linguaggio ordinario (capeggiata da John Austin il quale tradusse Frege in inglese). Comune a entrambi questi esiti è  l’idea che un problema filosofico debba essere affrontato sul piano del linguaggio dato che “il linguaggio è prioritario rispetto al pensiero non dal punto di vista temporale o genetico, ma dal punto di vista della spiegazione” (p. 106). Quanto poi questa stessa svolta linguistica sia stata superata dalla “svolta cognitiva” della psicologia della seconda metà del novecento è un’ulteriore questione aperta: risulta infatti irragionevole non tener conto dei forti argomenti proposti da Frege nel tentativo di rifiutare la tesi psicologista secondo cui tutto ciò che pensiamo non è altro che un evento mentale: negli Scritti Postumi si può leggere che la verità di pensieri come “2x2=4” o “Cesare fu assassinato da Bruto” non può dipendere dalla composizione chimica del cervello. Se è vero che Frege scriveva agli inizi di quella grande parabola scientifica che avrebbe portato alle neuroscienze, in un certo modo queste sue affermazioni suonano come un monito contro certe derive riduzioniste.
L’ultima parte del testo tratta dell’ontologia fregeana, che deve molto alle sue idee sul linguaggio. L’interesse principale dell’autore era di disambiguare alcuni ambiti di riflessione, come ad esempio la matematica, caratterizzati da un regime di confusione. Una prima mossa in questa direzione consisteva nel distinguere espressione (termini singolari, predicati, enunciati) dal contenuto (oggetto, concetto, valori di verità), così da distinguere i segni linguistici da ciò a cui si riferiscono. Distinguere il segno dal designato permetteva di chiarire molti contesti problematici. Inoltre il linguaggio artificiale che Frege propose nella sua prima opera rese necessarie alcune distinzioni fondamentali alle quali l’autore si dedicò negli anni 1891-1892: risalgono a questo periodo articoli fondamentali come Über Begriff und Gegenstand o Über Sinn und Bedeutung. Nel primo si distingueva, sulla base della forma logica delle espressioni, il Concetto dall’Oggetto. L’oggetto non ha bisogno di completamento per essere valutato semanticamente, come invece vale per il concetto. È chiaro che la forma logica di questi elementi linguistici è connessa ad aspetti ontologici molto importanti: sono i concetti a dover essere “istanziati” da oggetti per poter essere valutati come veri o falsi. Il carattere insaturo dei concetti è presente sia sul piano dell’espressione sia per le entità da esse denotate. Penco spende alcune pagine su come diverrà uno standard nella riflessione successiva in ontologia analitica procedere parallelamente tra analisi linguistica e ontologica, partendo da riflessioni sulla natura delle nostre categorie linguistiche per giungere a ciò che siamo disposti ad accettare nel nostro “inventario” della realtà. Nel secondo articolo menzionato Frege argomentava come la funzione delle espressioni linguistiche non consistesse meramente nel riferirsi a una qualche realtà extralinguistica. Nomi propri, predicati ed enunciati veicolano sempre un modo di presentazione (Art von Gegebensein), il senso (Sinn) che riveste un ruolo fondamentale nella teoria di Frege. Penco espone in maniera cristallina i fattori che resero irrinunciabile questa distinzione e le differenze che sono presenti nelle diverse formulazioni all’interno delle varie opere. Lavorando all’interno di questa distinzione Frege fu uno dei primi autori a fornire una semantica formale per il suo linguaggio, assegnando a ogni entità linguistica (termine singolare, predicato, enunciato) un senso (modi di presentazione per i primi due e pensieri per gli enunciati) e un riferimento (oggetto, concetto, valore di verità). In questa direzione Frege sviluppò un rivoluzionario vocabolario sintattico che ci permette di risolvere alcune difficoltà riguardanti il linguaggio ontologico e descrittivo. La descrizione fregeana dei nomi come segni saturi e dei predicati come elementi insaturi ha rivoluzionato il modo in cui pensare il significato degli enunciati e dei loro dispositivi atomici, con fondamentali ripercussioni su vaste aree della teoria del pensiero e dei concetti.
Penco ci mostra in modo accurato come la distinzione fra senso e riferimento nell’accezione tecnica fregeana non possa essere sbrigativamente sovrapposta o addirittura assimilata ad altre, come quella di John Stuart Mill tra denotazione o connotazione, o a quella di Carnap tra intensione ed estensione: troppo spesso le distinzioni citate divengono indistinguibili. Il paragrafo dedicato ai criteri d’identità di senso ci mostra le evoluzioni del concetto di senso nella riflessione successiva e come si sia fatta strada l’idea che questo concetto fregeano sembri assolvere troppe funzioni incompatibili: qui in particolare vengono presentate le riflessioni che propose Hilary Putnam a riguardo. Ulteriori percorsi tematici sono proposti nella trattazione del problema dei termini non denotanti, considerando la presenza che questo tema manterrà nella filosofia di autori successivi, per primo Russell, fino ad arrivare alle teorie causali del riferimento di Kripke. Questa terza e ultima parte si chiude prendendo in considerazione il platonismo di Frege, ossia la tesi che difende l’oggettività del pensiero. Con il pensare noi non produciamo pensieri, bensì li afferriamo: in particolare afferriamo i sensi degli enunciati. È innegabile che vi sia un patrimonio potenzialmente comune di pensieri di cui bisogna rendere conto (non c’è un mio e un tuo teorema di Pitagora, ma un unico che tutti possiamo afferrare). Qui Penco ci invita alla cautela interpretativa: troppo spesso questa parte del pensiero fregeano viene presentata in maniera semplicistica, con slogan che non rendono conto della tipo e della complessità di problemi che affrontava. 
La bibliografia fornita dal testo è molto vasta e tematizza la letteratura critica sulla scorta dei molteplici ambiti di ricerca fregeani. Risulta ancora una volta evidente l’acribia e la chiarezza con cui il testo è stato composto, che può perciò essere utilizzato fruttuosamente da chi voglia avvicinarsi al pensiero di Frege, ma anche più in generale da chi sia interessato all’intera famiglia di problemi sollevata da questo grande filosofo: Penco è infatti in grado di evidenziare moltissimi percorsi tematici e altrettanti lasciti teorici, rimanendo sempre sui testi. Lo stile è quello a cui l’autore ci aveva già abituato in altri volumi, come Introduzione alla filosofia del linguaggio (Laterza, 2004). Soprattutto è notevole la sua capacità di presentare un autore e la sua eredità filosofica in maniera così limpida: troppo spesso su questi temi finiscono per addensarsi tecnicismi che non si addicono alle finalità di questo genere di volumi. Insomma il volume in questione appare agile e completo e non può mancare nelle librerie degli studiosi di Frege.

Indice

Prefazione
Abbreviazioni
Introduzione
Sfortuna di Frege
Incontri decisivi
Opere e svolte
Giudizi
1. Il concetto di funzione e la nuova logica
Cartesio, Leibniz, Frege e la notazione funzionale
Il concetto come funzione e la teoria delle relazioni
Connettivi e forma logica
Predicati di secondo livello: i quantificatori
Sistemi assiomatici
La realizzazione del sogno di Leibniz
2. Epistemologia fregeana e filosofia della matematica
L’epistemologia fregeana e l’ipotesi logicista
Principi guida della conoscenza scientifica
L’analitico e le attribuzioni numeriche
Esistenza, numero e oggettività
Il principio di Hume e il principio di astrazione
La definizione di numero e l’antinomia di Russell
Abbandoni e riprese del logicismo
La svolta linguistica
3. Ontologia e filosofia del linguaggio
Espressione, contenuto e principio di composizionalità
Il problema dell’identità e le dimensioni del senso
Senso e riferimento di nomi, predicati ed enunciati
Principio di sostitutività e discorso indiretto
Senso come condizioni di verità
Il senso dei nomi e degli indicali
Il terzo regno dei pensieri            
Asserzione e verità
Cronologia della vita e delle opere
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice analitico


L'autore

Carlo Penco insegna filosofia del linguaggio all’Università di Genova; tra le sue pubblicazioni Introduzione alla filosofia del linguaggio (Laterza, 2004), la cura degli Scritti filosofici di Frege (con E. Picardi, Laterza, 2001) e delle antologie La svolta contestuale (McGraw-Hill, 2002) ed Explaining the Mental (con M. Beaney e M. Vignolo, Cambridge Scholars Publishing, 2007). 

Links

http://www.dif.unige.it/epi/hp/penco/

Nessun commento: