lunedì 23 gennaio 2012

Perullo, Nicola, La Scena del senso. A partire da Wittgenstein e Derrida

Pisa, Edizioni ETS, 2011, pp. 209, euro 18, ISBN 978-8844672961-3

Recensione di Aurosa Alison – 22-07-2011 

Mettere in scena la realtà, contestualizzare la prospettiva realista nell’esperienza: è ciò che Perullo concretizza, tessendo una tela di significato attraverso la percezione, il linguaggio e il pensiero. La Scena del Senso, composto da sei saggi, ripercorre il senso e il mondo comune attraversando quattro ambiti tematici e con l’aiuto di personaggi d’eccezione quali, Ludwig Wittgenstein, Jacques Derrida, Giambattista Vico e Wilfrid Sellars. Partendo dal senso primordiale del significato come fisionomia, continuando con l’esperienza e seguendo regole auto-produttive, 

in questo testo l’ordinario è rivalutato e rinasce estetico.
Il primo saggio, intitolato La Scena del Senso. Wittgenstein, Derrida e la pratica della Filosofia, mette in luce il rapporto fra Wittgenstein e Derrida all’interno di un’anarchia di senso, lasciando al margine il blocco dell’ermeneutica novecentesca. Fanno parte infatti della vita quotidiana i cosiddetti convenzionalismi del linguaggio ordinario, strumento con il quale i due filosofi destreggiano nel rapporto con la realtà e la pratica filosofica. Fra l’ardire derridiano e il conservatorismo wittgensteiniano il linguaggio ordinario rimane fermo sulla soglia dell’incontro. Tra sensibilizzazioni estetiche e prassi antropologiche, “il linguaggio ordinario consiste nell’insieme di tutte le attività simboliche e extrasimboliche dell’esperienza” (p. 40). Perullo sorvola il solipsismo di Wittgenstein, soffermandosi sul carattere essenziale del tutto ciò che accade nel linguaggio, come esperienza tout-court e come motivo di relazione all’interno del tessuto inteso come costruzione linguistica, ossia la trama. I due filosofi in questo cammino parallelo, producono ognuno una teoria del significato trattando il senso che dà vita ad una spazializzazione di un qui ed ora. Il senso che in tutti e due i casi è un ente occultato all’interno di una fitta rete da decostruire in maniera terapeutica. Il significato in questo modo, va di scena sul senso, inteso come unico gesto possibile. 
Nel secondo saggio, Felicità, menzogne e giustizia: Derrida e la Speech Acts Theory, Perullo sottintende una simulazione della real life che fa parte della real life, dando merito al fatto che la realtà si nutre di realtà. Partendo dalla decostruzione della teoria degli atti linguistici, Perullo rimembra cronologicamente il lungo dibattito fra Derrida e John Langshaw Austin circa le condizioni di verità all’interno degli enunciati performativi. Gli scherzi e le menzogne non possono essere esclusi dal linguaggio quotidiano, dalla menzogna codificata di Searle alla percezione della realtà del linguaggio, la decostruzione secondo Derrida non è altro che una partecipazione senza appartenenza. La decostruzione è ciò che ognuno prende e guadagna, proprio come la vita stessa. Perullo così introduce il concetto di “idealiterabilità” sostenendo che essa sia la vera e propria scena del senso, “qualcosa avviene, mai del tutto nuovo, mai del tutto vecchio, mai senza codice, mai soltanto nei codici” (p. 75) ed è proprio l’idealiterabilità a essere decostruita all’interno del concetto di esclusivo. In Limited Inc. Derrida, rispondendo a Searle rispetto al reiterare le differenze,  dimostra che tutta la realtà assoluta fa parte del linguaggio.
Come terzo saggio, Vedere il Tempo. Riflessione su Wittgenstein, riprende il tema della filosofia come pratica finalizzata alla descrizione. Le osservazioni di Wittgenstein possono essere considerate tutte dei giochi linguistici, all’interno della sfera del voler dire. In effetti viene dimostrato come le scene di senso si presentino come icone di temporalità all’interno dei contesti della memoria e dell’immaginazione: Io nell’esperienza in corso vedo il tempo. Il tema della visione non viene scelto a caso, dal momento in cui attraverso scene di senso si destituisce un’idea della comprensione. Il tema del vedere afferma un saper vedere e dunque la capacità di cogliere le sfumature e riconoscere l’essenza dei concetti. Wittgenstein, riprendendo le Confessioni di Sant’Agostino scrive: “Egli non potrà spiegare il tempo, perché solo nel suo dispiegarsi è possibile non solo sapere ciò che esso è ma anche se esso sia qualcosa”. Dunque nel tempo c’è la relazione, una rete di connessioni istituite. Quel che vediamo e pensiamo, infatti, è sempre e solo una concezione spazio-temporale iconica ed esemplare. Nella trama del vedere, troviamo i nessi dei ricordi e una topica stratificata. Wittgenstein, secondo Perullo, ci indica la possibilità di filosofare in modo diverso, egli non regala lasciti o testamenti, lascia tracce. I suoi discepoli sono soggetti filosofanti, forse davvero soli ma, soprattutto costretti a pensare ognuno per sé. 
Linguaggio, verità e visioni, aprono la scena al quarto saggio Topica, Critica, Grammatologia. Vico attraverso Derrida all’interno del quale Perullo prova a mettere in relazione: il fautore dell’origine figurata del linguaggio, Derrida e il prodromo del romanticismo tedesco, Giambattista Vico. Perullo incide inizialmente sulla tematica dell’origine della mente in Vico, si chiede infatti se l’origine sia rozza o sapiente. Partendo dalla Scienza Nuova si avvia in un excursus sui margini della filosofia, tracciati inizialmente sulle facoltà della fantasia, intesa come attività produttiva dell’immaginazione sfociando in una vera e propria scienza della conoscenza sensibile. Perullo effettua una disamina sulla questione dell’origine emotiva intesa come una pre-categoria. Partecipano a questo excursus Cassirer, Gadamer e Apel come antesignani della Teorizzazione del pensiero prima della riflessione. La concezione della metafora in questo caso viene esplicitata sul suo essere ambiguo e sulla lunga trattativa ermeneutica praticata. Perullo, attraverso Vico, mette in questione la possibilità di diritto e di fatto di una modalità di esperienza completamente pre-razionale e non concettuale. In questo caso la sapienza poetica sarebbe una sapienza volgare. Perullo in questo saggio, prova a concepire Vico come un antecedente di Derrida dal punto di vista della scrittura. Sostiene infatti Vico in la scienza umana:“La mente umana quando non conosce proietta se stessa nelle cose e le ingigantisce”. In questo caso la sapienza poetica è topica e pre-filosofica. Perullo, infatti, conclude con il dire che essa è “un punto zero privo di estensione” (p. 152).
Attraverso le pagine, il rapporto fra realismo e percezione diviene man mano legato alla sensazione.
Ed è nel quinto saggio Realismo senza Empirismo. Percezione e Sensazione nella Filosofia di Wilfrid Sellars in cui Perullo investe il discorso sul rapporto fra esperienza ordinaria e conoscenza scientifica. Il concetto di senso comune continua a prendere posto anche nel lungo dibattito fra epistemologia e ontologia. La posizione di Sellars, in questo caso, rappresenta una tentata risoluzione di questo dilemma, propriamente fra immagine manifesta e immagine scientifica dell’uomo nel mondo. Dedicandosi al rapporto fra percezione e sensazione, Sellars nel primo capitolo di Scienza Metafisica, “Sensibility and Understanding”, induce a intendere il paradigma della percezione nell’esperienza visiva. Perullo così, riprende l’esempio del cubo di ghiaccio rosa, dove è presente l’implicazione “che” all’interno della quale oltre alla prima percezione è presente un complesso di relazioni e fatti corrispondenti a significati, denominati dallo stesso Sellars come “visual thinking”. Vedere è capire. La filosofia ha lavorato a lungo sull’immagine manifesta e Perullo si chiede se il filosofo non debba continuare a occuparsi degli oggetti del senso comune. Evidentemente l’immagine manifesta è quella che viene prima dell’immagine scientifica e probabilmente il filosofo dovrebbe piegare la sua attenzione sulle cose piuttosto che sulle cause. 
A concludere questo iter cronologico e concettuale sulla concatenazione degli elementi di senso e di percezione, Perullo ci invita a sedere a tavola assieme a un commensale morigerato, strano a dirsi, come Derrida. Nell’ultimo e sesto saggio, intitolato Mangerida. Per una Gastronomia a venire, l’autore si cimenta in un essay di pietanze e concetti de-strutturati. Scardinandosi dalle supreme concezioni di simposi e alti sistemi, Perullo concretizza il senso del gusto in maniera cruda, sciolta dall’impegno dell’essere, colta, cotta e assimilata. Il cibo, oggetto del corpo è stato relegato negli anni ai sensi inferiori, quali il gusto e l’olfatto. Stesso dagli atteggiamenti quasi ascetici dei filosofi nei confronti delle vivande, la questione da rivalutare è non solo nel senso ma anche nell’approccio. Non a caso Perullo inizialmente si riferisce a uno degli scritti postumi di Derrida, L’animale dunque sono, in cui il filosofo rivendica la realtà dell’animale rispetto alla supremazia assoluta dell’uomo. L’animale ha gusto? Si chiede Perullo, offrendo al lettore un’attiva decostruzione del mangiare. Derrida è colui che vuole, mediante la destrutturazione, restituire il gusto fisico alla sua crudezza, ciò che l’animale fa senza sovrastrutture o con il bisogno di pensare. Ritornano tutte in fila le tematiche iniziali della percezione, della sensibilità, del senso e della costruzione. Il gusto antropo-centrico volto all’assimilazione della carne, è totalmente sostituito da un senso teoretico dell’attimo e della ritualizzazione come nella preparazione del caffè. Interessanti le scene, riportate dal Perullo, di un Derrida seduto in cucina mentre gusta, appunto, melanzane con sale e olio. Un parco pasto all’apparire, un senso teoretico di fondo. “L’Empirico non è altro che l’essenziale” (p. 205), un’apertura dunque su una nuova gastronomia, basata sull’elemento primo e non più sull’intingolo sconosciuto. “La decostruzione non vuole avere ragione, la decostruzione deve anche cucinare” (p. 206). Si conclude con quest’asserzione, un appuntamento assolutamente significativo che mette in luce la questione di una decostruzione del gusto come potrebbe essere proprio quella del senso. Niente è più reale di ciò che già è. 


Indice 

Introduzione
Nota editoriale
A
B
1. Il significato come fisionomia
2. La non coincidenza tra esperienza, pensiero e filosofia
3. Regole “as we go along”
4. La rivalutazione dell’ordinario

Capitolo primo
La scena del senso. Wittgenstein, Derrida e la pratica della filosofia.
-Premessa
-Linguaggio, metalinguaggio e comunicazione
-Intendere e voler-dire
Conclusione

Capitolo Secondo
Felicità, menzogne e giustizia: Derrida e la Speech Acts Theory.
-I termini del problema
-Dalla verità alla felicità (Siate sinceri)
-Parassitismo e giustizia
-Firma, proprietà e indecibilità

Capitolo Terzo
Vedere il Tempo. Riflessione su Wittgenstein.
-Premessa
-L’esempio come memoria e immaginazione
-Vedere e interpretare
-Linguaggio in vacanza filosofia e pensiero
-Pensare è disegnare
-Una conversione del vedere
-Una parzialità mancante di nulla
-Identità senza identificazione

Capitolo Quarto
Topica, critica, grammatologia. Vico attraverso Derrida.
-Premessa
-Vico tra Grassi e Derrida
-Universale, fantastico e metafora: il rapporto tra genesi e struttura e il problema dell’analogia
-Fantasia, scrittura, articolazione: il sistema monogenetico di Vico
-Natura, cultura e matematica. Cogito e verum/factum
-Conclusione

Capitolo Quinto
Realismo senza empirismo: percezione e sensazione nella filosofia di Wilfrid Sellars.
-Premessa
-Percezione: conoscenza, pensiero ed esperienza visiva
-La sensazione come corrispondenza analogica e l’immagine scientifica del mondo

Capitolo Sesto
Mangerida. Per una “gastronomia a venire”.
-Pregustativo
-Prima entrata(Derrida, l’animale)
-Seconda entrata(Derrida, il degustatore)
-Primo piatto(Derrida, il flexiteriano)
-Secondo piatto(Derrida, l’ospite)
-Dessert(Derrida, il neogastronomo)
-Caffè e piccola pasticceria(Derrida, in cucina) 

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