giovedì 22 marzo 2012

Marturano, Antonio (a cura di), Il Corpo Digitale: natura, informazione, merce

Torino, Giappichelli, 2010, pp. 166, euro 16, ISBN 9788834815182

Recensione di Antonio Tursi - 31/12/2011

Il volume curato da Antonio Marturano affronta un tema decisivo per comprendere, in generale, le dinamiche politiche del tempo presente e, in particolare, il ruolo delle tecnologie digitali nel dare forma alle nostre società.  Forse da sempre il corpo è la posta in gioco della politica o il giocatore politico per eccellenza, ma questa centralità del corpo nei nostri giorni è molto più evidente e immediata. Non è un caso che si utilizzi spesso la categoria foucaultiana di biopolitica per descrivere le dinamiche contemporanee. 

Dinamiche che mirano a un controllo sui corpi (ritenuti posta in gioco) o che scaturiscono da bisogni e azioni dei corpi stessi (per questo considerati giocatori principali del campo politico). Questa nuova centralità dei corpi è sicuramente legata al nuovo ambiente comunicativo nel quale ci troviamo ad abitare. E anche in questo caso si aprono prospettive diverse a seconda che si interpreti questo nuovo ambiente come dimensione di smaterializzazione dell’esperienza e dunque di scomparsa dei corpi o come dimensione di un investimento corporeo più deciso ed efficace di quello permesso dalle precedenti piattaforme espressive.
Per affrontare queste questioni, volumi come quello curato da Marturano ci paiono utili anzi addirittura indispensabili. È giusto aggiungere però che il lavoro del curatore non risulta del tutto adeguato al tema decisivo e all’ambizioso tentativo di investigarlo: dalla scelta di alcuni testi non proprio centrati sul tema o datati alla traduzione di altri, dalla formattazione alla presentazione iniziale si sarebbe potuto e dovuto fare meglio per offrire un prodotto di maggiore qualità editoriale.
Gli otto contributi raccolti si interrogano dunque sul corpo digitale e lo fanno esplorandone differenti aspetti, addirittura si potrebbe dire esplorando differenti corpi. Marturano nel suo contributo “Il concetto di informazione genetica” e Ruth Chadwick e Sarah Wilson nel loro “I database genomici” si occupano di quello che possiamo definire il corpo-codice. Il Progetto Genoma ha rappresentato il culmine dell’imperialismo del codice – ultima espressione della volontà di potenza occidentale – che ha riconosciuto nell’obiettivo propagandato dal Progetto il suo attuale orizzonte: pensare il nostro corpo come un codice (il codice genetico). La riduzione del corpo a codice (genetico) rappresenta senza dubbio la frontiera più impegnativa di tutto un campo di problemi e tensioni dispiegato dalla convergenza tra biologia, etica, economia e tecnologia. Il corpo pensato come codice segna il punto di massima indiscernibilità tra tecnologie della vita e tecnologie della comunicazione. Decifrare e mettere in codice il nostro genoma significa poter trattare i nostri corpi come grumi di informazioni, processabili attraverso le tecnologie informatiche. Questo obiettivo rivela però uno sfondo non proprio rassicurante, una sorta di essenzialismo genetico per il quale l’essenza del corpo consiste nelle informazioni che lo riguardano. Uno sfondo che si condensa in un dogma intoccabile e finisce per confondere “un modello euristico piuttosto potente [con il] reale oggetto di ricerca” (p. 17). Questo “uso cattivo dei modelli”, giustamente denunciato da Marturano, induce a dimenticare che “c’è bisogno di più che del solo DNA per fare un reale organismo vivente e la sua storia” (p. 11).
L’istituzione di un rapporto così stretto tra corpo e tecnologie si riverbera su tutto il campo delle questioni inerenti alle possibilità e le opportunità di intervento sulle vicende del nostro corpo: la sua nascita può essere predeterminata e artificialmente guidata; la sua evoluzione può avvalersi di interventi e congegni utili a reintegrare funzioni non più attive o ad aggiungerne di nuove; la sua morte si confronta con macchine che la ritardano o che permettono ai suoi organi di far proseguire la vita di altri. Con l’emergere del corpo-codice si evidenzia il fatto che le esigenze materiali della nostra corporeità hanno invaso come mai era successo prima d’ora l’arena del pubblico confronto. Ogni caso eclatante di visibile artificializzazione delle vicende del corpo provoca l’intervento di studiosi e opinionisti, induce le richieste di laici ed ecclesiastici, mobilita l’opinione pubblica più ampia, è inevitabilmente oggetto di decisione politica. Tra timori e speranza, il corpo-codice ha ormai sostituito il corpo-natura. Dalla datità insondabile e indisponibile siamo passati a confrontarci con un’entità modificabile artificialmente, migliorabile o addirittura superabile secondo le mire del cosiddetto transumanesimo, i cui limiti vengono opportunamente segnalati da Antonio G. Spagnolo e Francesca Giglio nel loro “Oltre l’Human Enhancement” in cui si domandano: “ma è possibile davvero affermare che la felicità o l’autorealizzazione siano da identificare con un perfetto funzionamento del corpo?” (p. 131).
Quest’entità modificabile artificialmente, tra l’altro, ci è stata già da diverso tempo proposta dalla fantascienza in particolare attraverso la figura del cyborg, ibrido di organico e cibernetico. E sulle immagini che la fantascienza e l’arte più in generale ci hanno offerto si sofferma con puntualità di analisi Raphael Cuir nel saggio “(Ri)configurare il corpo nell’età dell’informatica”. Cuir coglie diversi processi (come la photoshopizzazione del corpo o il feticismo per oggetti) e propone diversi esempi (dalle performance di Orlan ai lavori di Cristophe Luxereau) per concludere con Aimee Mullins che, grazie alle protesi in sostituzione delle sue gambe amputate, è riuscita ad affermarsi come atleta, modella e attrice provando che “il cyborg è una realtà in mezzo a noi e dire che siamo cyborg o post-umani non è solo una figura retorica” (p. 144) ma un modo per affrontare i problemi legati alla nostra identità, per “viaggiare dentro noi stessi” e reinventarci.
Facendo il verso al famoso film di Sergio Leone, Mark Poster ci propone nel contributo “Il cattivo, il brutto e il virtuale” una revisione dell’etica nell’età del virtuale in modo da rendere conto del corpo connesso. Il computer è stato inventato come una scatola, prima grande e poi piccola, che memorizza e processa informazioni. Ma quanti di noi e soprattutto quanti giovani cibernauti usano il computer solo per questo o prevalentemente per questo? Si può dire nessuno o assai pochi. Infatti, ci si è accorti che i computer si possono collegare tra di loro. Di conseguenza, anziché essere scatole contenenti informazioni, sono stati praticati come scatole contenenti altre persone. Il fatto è che i media non trasmettono informazioni senza prima mettere in comune le persone. Si utilizzano le piattaforme telematiche per mettere in comune i propri vissuti, le proprie emozioni, le proprie sensazioni. Così facendo i cibernauti creano comunità non in vista di un qualche obiettivo, ma per il piacere di farne parte, per il piacere di ritrovarsi in uno spazio comune. Quello che emerge attraverso le reti non è il sapere di un’intelligenza collettiva, bensì il corpo connesso di un’emotività connettiva. Quella virtuale è in primo luogo una dimensione estetica e da qui si può e si deve porre una nuova sfida politica per il presente. Non possiamo più confrontarci con l’individuo unitario e isolato che ha fondato l’etica moderna (una costruzione storica, del resto, come Nietzsche denunciava). Bensì dobbiamo partire dal corpo connesso, dall’insieme eterogeneo, pulviscolare e orizzontale di una miriade di pratiche esistenziali. Un corpo che è sempre sveglio e sempre reattivo, in quanto la Rete permette e richiede una continuità della presenza. Un corpo la cui sensibilità è acuita dalle sue ramificazioni capillari e istantaneamente attivabili. Un corpo fatto di flussi emotivi glocali, cioè capace di mettere sulla scena globale irritazioni locali e, viceversa, di rispondere puntualmente a stimoli globali. A questo corpo connesso è dedicato anche il contributo di Andrea Resca “Dai rapporti faccia a faccia ai rapporti mediati dallo schermo”.
I contributi di David Lyon “Biometria, identificazione e sorveglianza” e di Monica Senor “Dal corpo fisico al corpo digitale e ritorno” si soffermano invece su quello che possiamo definire corpo elettronico. Al nostro corpo è da sempre legata univocamente la manifestazione della nostra identità. E proprio per garantire questo corpo si è avviata la vicenda del diritto moderno, con l’habeas corpus della Magna Charta Libertatum del 1215. A costituire il nostro corpo però sono anche e immediatamente i discorsi e le informazioni che lo riguardano. Infatti, garantire il corpo significa anche garantire i dati personali che si riferiscono a esso: da quelli genetici a quelli che esprimono le sue abitudini (alimentari, sessuali, più in generale fisiologiche) a quelli che ne certificano alcune caratteristiche. Nello scenario contemporaneo delle reti telematiche, si può con facilità descrivere un corpo elettronico che ci segue come un’ombra, senza il quale saremmo persi. Un corpo elettronico formato da tutti quei nostri dati personali contenuti in un qualche database. A un livello profondo, il nostro corpo è tradotto in una serie di dati utili alla sua identificazione: le impronte digitali, la configurazione dell’iride, le espressioni del volto, la firma. Il nostro corpo elettronico è costituito innanzitutto da questi dati biometrici, ma ciò significa “costituito [dai] criteri che sono presi per «definirlo»” (p. 65) e la scelta di questi criteri non è esente da distorsioni e rischi. In altri database possono poi venir registrati gli ordini dei cibi che mangiamo, i nostri comportamenti sessuali, le polizze di assicurazione sulla vita che stipuliamo, le cure mediche di cui godiamo. Un corpo, quello elettronico, costituito inoltre da tutte quelle informazioni che ci garantiscono come cittadini (i dati anagrafici e quelli giudiziari), automobilisti (i dati della motorizzazione civile), consumatori (i dati bancari) e così a seguire. Infine, una delle principali libertà che si è cercato di garantire al nostro corpo fisico è stata quella di potersi muovere: oggi i telefoni mobili, gli smart tag, i sistemi di global position (gps) generano una massa impressionante di geodati che tracciano perfettamente ogni nostro movimento. Anche questi geodati costituiscono il nostro corpo elettronico. Insomma, la nostra identità non è solo radicata ed espressa in un corpo fisico, ma anche in questo doppio elettronico. Anche per questo corpo elettronico occorrono garanzie di reale autonomia e libertà. Infatti, non è chi non veda il pericolo di controllo e manipolazione dei dati che ci riguardano, in riferimento soprattutto alla nostra privacy. Si è così iniziato a discutere sulla possibilità di un habeas data che offra tali garanzie al nostro corpo elettronico.
Come si accennavamo in precedenza, Poster coglie come vera novità introdotta da Internet, “una chiamata per una nuova teoria della politica come determinazione collettiva del bene” (p. 48) che non dimentichi i nuovi rapporti di forza che vengono a configurarsi. Rapporti di forza che si configurano a scapito di alcuni corpi o a partire dal loro calore. Ecco perché abbiamo detto il volume di Marturano utile, anzi indispensabile. Perché squaderna molteplici aspetti del tema corpo. Forse però è necessario tirare le file in relazione a questioni politiche in senso stretto. Forse un contributo sul corpo globale avrebbe orientato in questo senso il lavoro di Marturano. Bisogna intendere la globalizzazione anche come processo di nuova visibilità dei corpi. Una visibilità che riguarda i corpi gloriosi dei vincitori dei processi di riconfigurazione delle società mondiali, ma anche i corpi marcati dei vinti da tali processi. I corpi gloriosi a cui guardano con desiderio e invidia le élite globali sono quelli delle modelle longilinee del sistema della moda e, ancora, quelli plasmati dalla chirurgia estetica e quelli costruiti dalle palestre. Ma i corpi gloriosi hanno avuto una forte visibilità in tutte le epoche, sebbene a una scala non globale. Oggi invece hanno acquistato visibilità anche i corpi dei vinti. Questa è una novità nella storia dei regimi di rappresentazione. In particolare, dobbiamo ricordare i corpi massacrati, mutilati, sfigurati dalle tante guerre che incendiano lo scenario globale. Le mutilazioni subite dalle vittime dei conflitti tribali in Africa diventano segno globale di una riemersione dell’inumano. I corpi inermi di civili ridotti a carne sfigurata dalle bombe al fosforo utilizzate a Falluja mostrano ai popoli il lato oscuro della forza militare di un Paese democratico quale gli Stati uniti. Insieme ai corpi dei vinti nelle guerre, emergono i corpi in disperato transito dalle zone povere del mondo a quelle ricche: sono gli immigrati che tentano di superare le barriere che vengono poste dagli impauriti possidenti. Barriere artificiali come quelle al confine tra Stati uniti e Messico che creano città della disperazione e della dissipazione del proprio corpo; barriere naturali come il nostro mare Mediterraneo che da bacino di integrazione dell’Impero romano è nei fatti diventato muro della fortezza Schengen dell’Unione europea. Un mare in cui capita che le reti dei pescatori raccolgano non tonni, ma uomini aggrappati a quelle reti come ultima speranza dopo il naufragio delle loro fragili imbarcazioni.
Questi corpi vinti sono globali perché i media del nostro tempo hanno strutturato arene del visibile globali: le bombe che cadono a Falluja cadono anche su di noi occidentali sicuri nelle nostre poltrone davanti agli schermi televisivi; nelle reti del Mediterraneo rimaniamo impigliati anche noi. I mezzi di comunicazione di cui ci avvaliamo non anestetizzano tali corpi. È vero che li raccontano all’interno di determinati frame, ma il loro impatto genera ugualmente un shock nelle nostre vite quotidiane. È vero che tale impatto è limitato temporalmente, ma subiamo in continuazione simili shock. È vero che tendiamo a cancellare e dimenticare, ma ormai è impossibile non vivere a sempre più stretto contatto con questi corpi vinti. E perciò di questi non si può tacere. Si deve parlare.


Indice

Presentazione, di Antonio Marturano

Parte I. La trasformazione dei corpi in informazione
Il concetto di informazione genetica: aspetti epistemologici ed etici, di Antonio Marturano
Il cattivo, il brutto ed il virtuale: l’etica nell’età del virtuale, di Mark Poster
Biometria, identificazione e sorveglianza, di David Lyon

Parte II. Il corpo digitale come merce
I dati genomici. Un bene pubblico globale, di Ruth Chadwick e Sara Wilson
Dal corpo fisico al corpo digitale e ritorno: la tutela dell’identità digitale come garanzia di libertà, di Monica Senor
Oltre l’Human Enhancement: i limiti del Transumanesimo, di Antonio G. Spagnolo e Francesca Giglio

Parte III. Immagini virtuali dei corpi
(Ri)configurare il corpo nell’età dell’informatica, di Raphael Cuir
Dai rapporti faccia a faccia ai rapporti mediati dallo schermo: effetti sulla natura delle relazioni sociali, di Andrea Resca

Biografia degli autori

1 commento:

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore offre soltanto parallelo non difforme ma non conforme di pubblicazione recensita perché ne ignora contenuto essenziale realista considerandone attraverso centrali ipotizzazioni solo realistico e non accludendo distinzioni tra ipotesi ed ipotizzati dunque restando suo resoconto inficiato da metaforicismo che non aiuta a cogliere il puro senso delle nuove od avveneristiche metafore e neanche a capire di cosa realmente si tratti e perché ed infine scadendo con stessa recensione in arbitrarietà di opinioni che già da numerosi anni ormai non sono più politicamente sostenibili perché le istanze valide in esse coinvolte da esse liberatesi o liberate o mai veramente vincolate solo prima concomitanti.

Pubblicazione recensita offre quadro prospettico di conoscenza circa i rapporti tra realtà informativa-informatica-informativa entro relazioni:
fisiche-fisiologiche-biologiche-psicologiche-antropologiche-psicologiche-fisiologiche-fisiche;
cioè circolarità inter-disciplinare non soltanto interdisciplinare anche in quanto tale accludente-inconcludente, entro la quale una circolarità speculare, unidisciplinare non disciplinare, includente-escludente;
di cui l'esclusione è di reali fini disciplinari, uni/inter/disciplinari, interrotti da informatività non disciplinata, di cui pubblicazione mostra una indistinzione tra piani di ricerca differenti: epistemologico, dativo;
senza disciplina immessi nel circuito tecnico-tecnologico-tecnico anche globale da non stessi ovvero altri indistintivi, in base ad invertita reciprocità di virtù conoscenze e capacità, di cui medesima inversione data per sopravvalutazioni delle datità scientifiche quindi da nullificazioni delle relazioni volitive con stessi dati sopravvalutati queste suscitate-desuscitate.

(!)
I pubblicisti-filosofi considerano la digitalizzazione anche anzi specialmente quale realtà fisiologica ovvero capacità fisica digitale applicata ad utilizzo di macchinari digitali connessi-interconnessi-connessi e annettono in loro considerazione la inclusione probiotica-biotica anche parziale-provvisoria in apposita o non apposita materialità pro-digitale.
Di tale complessità essi valutano le inserzioni in comunicazioni locali-interlocali-globali; cui non si co-inserisce alcun possibile parallelo uni-materiale né materiale e significante tra fisicità di comunicazioni globali-interlocali-locali e inclusioni probiotiche-biotiche; tanto che scopo della pubblicazione e descriverne insignificanza ed inerenza a quella indistinzione di ambito informativo, nesso consistente in confusività attiva, comunicativamente non comunitariamente, anche socialmente rilevante e di ciò la pubblicazione stessa se ne mostra logicamente - epistemologicamente, non logicamente-epistemologicamente, integralmente adatta mentre per il restante di àmbito non sociale è invece necessario un approccio e più direttamente psicologico...
Ma di tale limite recensore A. Tursi ne faceva (...per residui impositivi?...) un vuoto da colmare con sua gnomica — secondo materialismo alieno-omologante ex non postmarxista simil-laburista di falsa ascendenza orwelliana — dal potenziale disvalore o dal possibile valore ma quest'ultimo solo se rifiutandone successiva arbitraria aggiunta etica-morale allora realmente usufruibile e comunque non utilizzabile.

MAURO PASTORE