lunedì 20 maggio 2013

Porro, Pasquale, Tommaso d’Aquino. Un profilo storico-filosofico

Roma, Carocci, 2012, pp. 536, euro 41, ISBN 9788843065349

Recensione di Michele Paolini Paoletti – 31/08/2012

L’imponente studio di Pasquale Porro sul pensiero di Tommaso d’Aquino si presenta certamente come l’opera più completa ed aggiornata oggi disponibile in Italia sul Doctor Angelicus. Si tratta di un lavoro storico-filosofico che coniuga l’esposizione dello sviluppo diacronico delle tesi tommasiane con l’esame critico della loro originalità e, talora, della loro validità. Porro non intende ricostruire il sistema filosofico dell’Aquinate (impresa ben ardua e votata alla parzialità, considerata l’evoluzione di tale pensiero nel corso degli anni), 

ma prova “a riconsiderare il pensiero di Tommaso nel suo stesso farsi, ripercorrendo in ordine cronologico le varie fasi della sua produzione e cercando di evidenziarne tanto i momenti di continuità quanto gli scarti, gli eventuali ripensamenti e gli snodi problematici”, nonché a “porre in evidenza, per ciascuna delle opere considerate, i temi di maggior rilievo” (p. 17). 
L’autore accetta, anzitutto, la possibilità di parlare di una “filosofia tommasiana”, giacché Tommaso continua a confrontarsi criticamente con i filosofi per tutta la propria vita, definendo esplicitamente il ruolo dell’indagine filosofia rispetto ai contenuti della Rivelazione (illustrazione e difesa delle verità di fede, dimostrazione dei cosiddetti praeambula fidei) e lo statuto di una sapientia che, pur identificandosi eminentemente con lo studio della sacra doctrina, presenta notevoli affinità con la filosofia così come è concepita da Aristotele e dalla tradizione aristotelica. Tenendo conto dei giudizi dei contemporanei e degli immediati successori di Tommaso, poi, si può facilmente scoprire che molti maestri della facoltà delle Arti di Parigi considerano l’opera tommasiana molto prossima ai loro interessi (cfr. pp. 14-15). D’altro canto, si potrà notare che, pur essendo distinti gli ambiti della filosofia e della sacra doctrina, molti temi dell’indagine filosofica si intrecciano spesso con alcuni temi dell’indagine teologica, e viceversa. Per questo motivo, Porro espone ed analizza anche alcuni contenuti teologici: di fatto, benché si possa riconoscere una distinzione metodologica tra filosofia e teologia, non sembra possibile distinguere nettamente e a priori gli argomenti teologici da quelli filosofici, isolando gli uni dagli altri ed occupandosi esclusivamente dei secondi. Del resto, se è unica la sapientia, il suo contenuto dovrà essere concepito organicamente, pur restando legittimo riconoscere, almeno nella prospettiva di Tommaso, che vi sono verità che sono dimostrabili unicamente a partire da premesse di natura filosofica.
Non renderemmo certamente giustizia al libro di Porro, né alla filosofia di Tommaso, se tentassimo di sintetizzare in poche righe la varietà degli argomenti trattati e delle opere considerate. Il volume è diviso in sei capitoli, che concernono gli anni della formazione e del baccellierato (concentrandosi soprattutto sulle opere I principi della natura, L’ente e l’essenza e sul Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo), la prima reggenza a Parigi degli anni 1256-1259 (Questioni disputate sulla verità, Quodlibeta VII-XI, Commento al De Trinitate di Boezio, nonché alcuni opuscoli in difesa degli ordini mendicanti), il ritorno in Italia e gli scritti del periodo di Orvieto (soprattutto Somma contro i Gentili, ma anche alcuni commenti teologici poco conosciuti presso i filosofi, come il Commento a Giobbe e la Catena aurea), gli anni di Roma (soprattutto il Compendio di Teologia, il Commento ai Nomi divini, le Questioni sulla potenza, le Questioni sull’anima, la prima parte della Somma di teologia e il trattato Sul regno), la seconda reggenza a Parigi degli anni 1268-1272 (soprattutto le Questioni disputate sul male, la seconda parte della Somma di teologia, i commenti ad Aristotele, al Libro sulle cause, l’Esposizione del Libro sulle ebdomadi di Boezio, i Quodlibeta I-VI e XII e i trattati su L’unicità dell’intelletto, L’eternità del mondo e Le sostanze separate) e l’ultimo periodo napoletano. Porro, manifestando una conoscenza diretta, dettagliata ed approfondita delle opere, nonché del contesto storico, filosofico e teologico in cui sono scritte, riesce a presentare sinteticamente le principali posizioni di Tommaso e gli argomenti in loro difesa, osservando la ricorrenza di talune problematiche che ottengono, spesso, soluzioni diverse nel corso degli anni.
In questa sede, ci concentreremo soprattutto su alcuni snodi centrali e di particolare interesse: la dimostrazione dell’esistenza di Dio attraverso le celebri cinque vie, la distinzione tra possibile e necessario, la creazione e l’eternità del mondo, il problema del male, l’immortalità dell’anima e, in particolare, lo statuto della forma umana. Dovremo sacrificare, purtroppo, altri temi di notevole rilievo, come i problemi connessi all’analogia, all’individuazione e alla distinzione tra essentia e actus essendi negli enti creati (rispetto alla quale Porro delinea una situazione molto complessa ed articolata).
Per quanto riguarda il primo tema, Porro esamina le cinque vie tommasiane così come esse sono esposte nella Somma contro i Gentili e nella prima parte della Somma di teologia. L’esistenza di Dio, pur essendo evidente per se stessa, non è altrettanto evidente per noi. Ogni nostra definizione di Dio è “nominale ed estrinseca”, sicché, contra Anselmo, “essa è insufficiente a garantirci la presenza reale del definito al di fuori dell’intelletto, a meno che non si faccia leva su ciò che già esiste al di fuori dell’intelletto, sulle cose finite e sul fatto che esse richiedono una causa” (p. 165). Porro osserva che, nella Somma contro i Gentili, vi sono in realtà quattro prove dell’esistenza di Dio: la prova della prima causa motrice, quella della prima causa efficiente, della causalità del massimo e della causalità finale. La prima via, in realtà, può essere sdoppiata seguendo due linee argomentative: si può assumere che tutto ciò che si muove è mosso da altro e che, poiché non si può procedere all’infinito nella serie dei motori mossi, occorre ammettere l’esistenza di un primo motore che muove se stesso; parimenti, si può assumere che ogni motore (ivi compreso il primo motore) è a sua volta mosso e dimostrare che tale affermazione non è vera né accidentalmente (in tal caso, infatti, il movimento di un motore sarebbe contingente e potrebbe darsi anche il suo non-movimento), né per sé (rigettando le ipotesi che il movimento impresso da un motore ad un altro motore sia della stessa specie del movimento del motore movens o di una specie diversa). In questo senso, tuttavia, Tommaso, pur riprendendo fedelmente la prova aristotelica dell’esistenza primo motore immobile, deve fare i conti con i problemi dell’eternità del movimento e dell’eternità del mondo. Come può essere eterno il mondo, se esso, stando alla dottrina cristiana, è creato da Dio? L’Aquinate, pur sacrificando la parte aristotelica connessa all’eternità del movimento, non ritiene logicamente impossibile che il mondo sia eterno e creato. Ciò non significa che la creazione del mondo debba essere considerata esclusivamente una verità di fede, non dimostrabile razionalmente. Ciò che deve essere considerato una verità di fede è piuttosto la creazione temporale del mondo. Come Tommaso ancora sostiene nel 1271 nel trattato Sull’eternità del mondo, affermare che le creature sono create ex nihilo non significa semplicemente affermare che esse sono create dopo il nulla, ma che esse sono tratte dal nulla. Potrebbe darsi, che le creature siano “tratte eternamente dal nulla (ex nihilo)”, giacché la preposizione ex “indica l’origine (anzi, in questo caso, la mancanza di origine: le cose sono state tratte dal non-essere assoluto) e non una successione temporale” (p. 446). Citando direttamente Tommaso: “nessuna causa che produce istantaneamente il proprio effetto precede necessariamente il proprio effetto nel tempo; ma Dio è una causa che produce istantaneamente il proprio effetto, e non per mezzo del movimento; dunque non è necessario che preceda il proprio effetto nel tempo” (p. 447). L’ammissione della possibilità logica dell’eternità del mondo, allora, non è utilizzabile contro le verità di fede e, soprattutto, contro la verità della creazione del mondo: se anche il mondo fosse eterno, infatti, non sarebbe logicamente impossibile il suo essere creato. Un potenziale limite nella difesa delle verità di fede è così trasformato da Tommaso in un ulteriore strumento apologetico. 
Per quanto riguarda le altre vie, occorrerà valutarle soprattutto rispetto alla loro esposizione nella Somma di teologia (cfr. pp. 268-276). E’ interessante notare che Tommaso, seguendo Aristotele, nega che sia possibile un’infinità in atto nell’ordine delle cause: in una seria infinita, infatti, è impossibile determinare un prima e un dopo e manca un primo termine dal quale tutti gli altri dipendono, distruggendo così l’ordine di dipendenza. Nondimeno, al di là di quanto sostenuto da Tommaso, si potrebbe ribattere che, anche in una serie infinita, benché manchi un termine che viene prima di tutti e dal quale tutti dipendono e che non viene dopo alcun altro termine, sia concepibile una forma di dipendenza dei termini: ogni termine continuerebbe a dipendere da un altro termine, benché questa serie non abbia fine (almeno in una delle due direzioni, quella che procede verso ciò da cui qualcosa dipende). Tale possibilità è ancora oggi esaminata in molte indagini di filosofia analitica, connessa al problema del regresso di Bradley, e merita certamente ulteriori approfondimenti. Ad ogni modo, sembra utile esplicitare anche la concezione tommasiana di possibilità e necessità, connessa alla terza via: Tommaso, infatti, collega tali categorie alla temporalità, sicché è possibile ciò che può essere e non essere, ossia ciò che talvolta è e talvolta non è, è necessario ciò che è e non può non essere, ossia ciò che esiste sempre, ed è impossibile ciò che non è e non può essere, ossia non esiste mai (cfr. p. 273). Tale concezione, che pare contrastare con le concezioni contemporanee connesse alle proprietà essenziali o alle semantiche dei mondi possibili, può comunque essere oggi validamente riproposta e discussa. 
Il problema del male è esaminato soprattutto nelle Questioni disputate sul male, ma vale sicuramente la pena citare anche il Commento a Giobbe. La formulazione del problema è ben nota: occorre capire perché, data l’esistenza della Provvidenza divina, si possa constatare che, come scrive Tommaso in quest’ultima opera, “negli eventi umani non si riscontra nessun ordine sicuro: infatti, non sempre ai buoni vanno bene le cose, o vanno male ai cattivi, né, al contrario, i buoni ottengono sempre il male e i cattivi il bene ma, senza una logica, i buoni e i cattivi ricevono sia il bene che il male” (p. 213). Occorre soffermarsi su queste righe per comprendere un aspetto importante della questione della teodicea: in effetti, se esistesse una Provvidenza che vuole il bene dei buoni e il male dei cattivi, bisognerebbe spiegare perché non sempre i buoni siano ricompensati e non sempre i cattivi siano puniti; se, d’altro canto, esistesse una sorta di Genio maligno intento a procurare il male ai buoni e il bene ai cattivi, bisognerebbe ancora spiegare perché i buoni non ricevano sempre il male e i cattivi non ricevano sempre il bene. Prima ancora che riflettere sulla bontà della Provvidenza, dunque, bisogna riflettere sull’esistenza di un ordine morale del mondo, per il quale il bene e il male non siano distribuiti “a caso” ai buoni ed ai cattivi. Nelle Questioni disputate sul male, il male è inteso da Tommaso come la privazione di un determinato bene. Il bene causa il male solo in senso accidentale, o per deficienza, o perché agisce in modo accidentale. Ciò avviene anche negli atti volontari: una volontà diretta ad un bene, infatti, può causare il male o perché, dirigendosi a quel bene, si priva di un bene maggiore (azione accidentale), o perché non si attiene alla regola morale che dirige l’azione compiuta (per deficienza). Né Dio, né il diavolo causano il peccato, ma soltanto l’uomo. La corruzione e la morte non appartengono all’uomo in virtù della sua forma ma, dopo il peccato originale, in virtù della necessità della materia. Come scrive Porro esprimendo il pensiero di Tommaso: “in linea generale, rimane tuttavia vero che l’immortalità ci è naturale, mentre la morte e la corruzione sono per noi contro natura (dal momento che la forma, secondo cui ci conviene l’immortalità, esprime meglio la nostra natura)” (p. 325). A tali questioni sono connessi anche i problemi relativi alla predestinazione ed alla prescienza divina (cfr., ad esempio, pp. 459-464). L’esame del rapporto tra intelletto e volontà merita attenta lettura, allo scopo di ridiscutere criticamente il presunto “intellettualismo” di Tommaso (cfr. pp. 326-331).
Da ultimo, l’antropologia tommasiana è fondata sulla visione dell’anima umana come forma del corpo. L’anima umana, tuttavia, può essere separata dal corpo in quanto possiede un’operazione, quella della conoscenza intellettuale, che non ha un suo organo corporeo, neppure al livello dell’intelletto possibile (cfr. soprattutto pp. 290-306). Tuttavia, vale la pena chiedersi se questa prova dell’immortalità dell’anima possa essere riformulata oggi in modo più chiaro e puntuale, mantenendo sia l’intima connessione tra forma (anima umana) e materia (corpo), sia, appunto, la separabilità della prima. Per Tommaso, la forma umana gode di un essere di per sé ed è pertanto incorruttibile: coloro che hanno negato la sua immortalità, in effetti, “o non hanno considerato l’anima come forma, o non hanno distinto il pensare dal sentire, ipotizzando così un organo corporeo anche per il pensare, o infine hanno pensato che l’intelletto con cui l’uomo pensa (l’intelletto possibile) fosse una sostanza separata, attribuendo l’immortalità solo a quest’ultima” (p. 299). Inoltre, vi sono altri due segni dell’immortalità dell’anima umana: il fatto che l’uomo possa pensare ciò che è corruttibile in modo incorruttibile (come universale) e il desiderio naturale di perpetuità dell’uomo (cfr. ibidem). Sembra particolarmente utile, nel contesto dei dibattiti bioetici odierni, considerare anche lo statuto dell’embrione secondo Tommaso (cfr. 198-202), pur tenendo conto della distanza storica che separa noi da Tommaso e dei progressi scientifici intercorsi (ad esempio, la scoperta del DNA, che potrebbe oggi condurre Tommaso a dubitare che l’anima umana come forma si inserisca nell’embrione solo ad un certo punto del suo sviluppo).
In conclusione, si possono rilevare due limiti del libro. In primo luogo, Porro non cita nella bibliografia alcuni studi novecenteschi molto rilevanti su Tommaso. L’autore, infatti, dichiara legittimamente di voler liberare Tommaso da alcune interpretazioni consolidate del ‘900. Eppure, un aspirante conoscitore della filosofia di Tommaso (cioè il lettore ideale cui è indirizzato tale volume) non può certamente evitare di confrontarsi con esse. In secondo luogo, sarebbe stato utile inserire un indice delle cose notevoli per districarsi nell’ampio materiale trattato. Ad ogni modo, nonostante tali limiti, lo studio di Porro si profila come un’introduzione più che valida alle dottrine filosofiche dell’Aquinate.


Indice

Premessa
1. Gli anni della formazione e del baccellierato
        Da Roccasecca a Parigi e Colonia: gli anni della formazione
        I principi della natura: la struttura del mondo naturale
        L’ente e l’essenza
        Il Commento alle Sentenze
2. La prima reggenza a Parigi (1256-1259)
La difesa degli ordini mendicanti: Contro gli avversari del culto di Dio e della vita religiosa
        Le Questioni disputate sulla verità
I Quodlibeta VII-XI
Il Commento al De Trinitate di Boezio
3. Il ritorno in Italia: il progetto della Somma contro i Gentili e gli scritti del periodo di Orvieto
        Il capitolo di Valenciennes e il ritorno in Italia
        La Somma contro i Gentili
        Gli altri scritti del periodo di Orvieto
4. Gli anni di Roma e il cantiere della Summa theologiae
        La fondazione dello studium di Roma e il problema dell’alia lectura
        I commenti alle lettere di Paolo
        La Risposta al maestro Giovanni di Vercelli intorno ai 108 articoli
        Il Commento ai Nomi divini
        Il Compendio di teologia
        Le Questioni sulla potenza
        La prima parte della Somma di teologia
        I doveri del sovrano: il trattato Sul regno
        L’anima umana: forma o sostanza? Le Questioni sull’anima
        Le Questioni sulle creature spirituali
        Il Commento al De anima
5. La seconda reggenza a Parigi (1268-1272)
        Il ritorno a Parigi e gli scritti di polemica ecclesiologica
Una nuova sistemazione dei “modi” per pervenire alla conoscenza di Dio: il Commento al Vangelo di Giovanni
        Il male: le Questioni disputate sul male
        La seconda parte della Somma di teologia
        Il confronto con l’etica aristotelica: la Tabula e la Sententia libri Ethicorum
        Le questioni disputate Sulle virtù e Sull’unione del Verbo incarnato
        I Quodlibeta I-VI e XII
        I commenti ad Aristotele
Due commenti non aristotelici: il Commento al Libro delle cause e l’Esposizione del Libro sulle Ebdomadi di Boezio
Tommaso e la “questione ebraica”: la Lettera alla contessa delle Fiandre
La natura, le influenze astrali e la divinazione: trattati e opuscoli
Pareri e risposte di natura teologica
Nel vivo dei dibattiti in corso: L’unicità dell’intelletto e L’eternità del mondo
Le sostanze separate
6. L’ultimo periodo napoletano e una complessa posterità
        La fondazione del nuovo studium napoletano
        Le Risposte a Bernardo, abate di Montecassino: prescienza e libertà
        Una precisazione sulle cause della predestinazione e l’ordine morale del mondo
        Dopo Tommaso: cenni sulla posterità
Bibliografia
Cronologia
Indice dei manoscritti citati
Indice dei nomi

16 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

L'opera ufficiale di Tommaso D'Aquino, scritta poi orale latina, fu il sèguito di precedente gestuale poi orale greca, elargita in sue Terre di Origine allora sapute particolarmente di esistere solo da taluni e sconosciute forse a tutti i civili acculturati di sua epoca. Tal sèguito latino era sincronico specchio affatto parziale ma bastevole ad intellettualità latine possibili di destinatari diretti e parte indiretti. Tal sincronia era parimenti sincronicamente preorganizzata e per tutte filosofiche e di filosofia Sue scritture, perciò ciascun scritto rientrava in evenienze da Egli previste ed era singolarmente una sincronia interna a testo cui entro diacronia-sincronia e diacronia - sincronia di lettura astratta e letture concrete entro piano stesso dipendente da Autore; inoltre latino scritto di Autore stesso era una costruzione stabile culturale di fissità non solo stilistica anche combinatoria, da cui dipese sorte di latino premoderno e moderno (anche quello "diplomatico" usato da Spinoza... Leibniz... Kant... ).
Non in tutte condizioni culturali postmoderne tale vicenda, in certo senso epopea culturale civile, si può manifestare tale, perché non sempre vi si può rilevare origine greca - non-ellena della opera latina di Tommaso D'A. e proprio a causa di accessi postmoderni condizionatamente indiretti.
Oltretutto poco tempo dopo pubblicazione di recensione riferimenti spontanei diventavano inintellegibili attraverso comunanze separate poi interrotte da odierne mutazioni climatiche: stagioni annuali tanto dettagliatamente risentite da Dante Alighieri in Cantiche di suo Poema (episodio della "Selva Oscura" ed allusioni terrestri in: "Inferno" ; "Purgatorio" e: indirettamente episodio del "Nuovo Eden"; riferimenti terreni in: "Paradiso") sono da più di un quinquennio in Italia assenti o in analogie non omologie; della tradizione poetica da Medio Evo fino ad Età Contemporanea nulla resta di direttamente esperibile tranne parzialmente futuristicamente ultimissime realizzazioni testimonianti o testimonianze di precarietà naturali (assai noti, ... paesaggi in Opera di Zanzotto; e già, ultimo lavoro, poema in ottave di Leopardi proteso verso dubitosità circa costanti naturali...); e in anno 2012 quanto restava di tradizioni filosofiche medioevali, specialmente cattoliche, latine, disponibile ad àmbito possibile ermeneutico-teoretico-ipotetico a tuttoggi ne resta in solo teoretico-ipotetico... Odiernamente ciò potrebbe esser vantaggioso per liberarsi della controtradizione totalitaria marxista-comunista-stalinista e così "consultare" quanto di ancora non soggetto a subculturalità restato o restituito in "Dopoguerra Freddo"; in caso di contenuto presentato da recensione non si trova restituzione perché assunto ermeneutico-diacronico non può pervenire ad alcunché di positivo solo ad esplicitare non risultanza...
Di cui invero era già noto, ma comunque meglio se di nuovo notabile.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Notando correlazioni reciproche, di teologia- filosofia - teologia, senza intender scaturigine-realizzazione- greca -non-latina, in Opera di Tommaso D'Aquino, era da sempre constatabile inanità di risoluzione in valutare Sua estroversione comunicativa filosofica, tanto che, in ultima analisi, filosofia dicibile non definibile "tommasiana" si trasformava in... filosofema averroista qualora insistendo in medesima valutazione...! Ciò fu già raccontato durante Età Medioevale, tantoché era forse non umorismo di sola leggenda, che Tommaso stesso in tempi suoi, precedenti a mandato fratesco poi ad esercizio clericale, fosse arabo e solo poi naturalizzato italiano; fino a dubitar molti che lui ed Averroé gli stessi fossero; ma ciò non risultava psico-bio-logicamente possibile a chi ne sapeva... Nondimeno Suo soprannome di Doctor Angelicus rimandava a culturalità araba persino coranica, con significato di genio non cresciuto, solo dopo aggiuntosi, a mondo di Rivelazione cristiana, da altro monoteismo invero dell'Imperscrutabilità; e indubbiamente Tommaso D'Aquino era stato anche impeccabile dialettico latino averroista però fino a ideare nuovo linguaggio filosofico, culturalmente altro, poi distanziando -escludendo Egli medesimo cultura averroista latina, ma non sopprimendone! e solo differenziazione era vittoria postuma di Disputa antiaverroista di Tommaso stesso, che diatriba anti- pro- averroista non ne aveva mai conclusa in alcun senso!
In verità rigorosità biografiche non fissavano di San Tommaso D'Aquino data di nascita ma luogo di primo incontro sociale pubblicamente attestabile: Calabria. Suo passato greco non elleno appare escludere che periodo arabo di sua vita intellettuale fosse più che episodico; nondimeno se ne ipotizzò nascita straniera in luogo forse non circoscritto o non tanto limitatamente restato eguale ad antico peninsulare- insulare italiano, dicibile in latino "Brutia", oppure a restante non ancora mutato di Esso in entroterra o terra calabresi; di certo, si tramandò che San T. D'Aquino vivendo quivi da piccolo ne avesse non romanamente per Sua parte contribuito a trasformazione definitiva in "Ex-Brutia" e che si fosse ancor piccolo adirato contro alcuni attardati fautori di Roma fino a scordarsi Lui poche conoscenze linguistiche già ottenute e riprincipiandone daccapo di non latine poi riassumendone ma per evitarne proprio a romani in certa volontà di Italia e non solo di Antica Roma.
In Suo volto si riconosceva una esperienza, passata infantile, di grave furia, che Lo aveva aiutato a meglio vivere da bimbo; non Gli si poteva attribuire sensatamente canone "dei sette vizi" e per nulla "dei sette peccati capitali", in entrambi i casi né prima né durante né dopo che Egli ne aveva date formule e formulazioni e ((ovviamente...)) tantomeno si poteva dubitar di Lui a constatarne paternità naturale di numerosissimi figli e figlie; ...altrui curiosità alla quale Tommaso reagì 'scomparendo dalla comune circolazione'; a rigor di logica storica sol di questa scomparsa la data, creduta da taluni di sua morte: del resto se ne ignorò. In luoghi impervi della Calabria tali ultime nozioni biografiche erano tradizione storica orale recente recentissima (di cui io fui messo a parte) e cui rigorosamente esclusi ambienti chiesastici.
–Davvero, ne riporto a causa di meteo e clima oramai differenti, altrimenti ne risarei stato meno che zitto.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Invio quanto segue in aggiunta ai miei messaggi precedenti qui.


Risulta che vera biografia familiare di Tommaso D'Aquino fosse trasformata in toponomea senza le dovute precisazioni-distinzioni poi confusa con appellativi di luoghi riferibili a Santo medesimo non originariamente solo susseguentemente; ciò del tutto confermato da culto popolare cattolico in realtà assai postumo di San Tommaso!
Ma notizia storica determinante è codesta:

esisteva luogo fortificato tenuto da nobili D'Aquino di costoro residenza non di più e tanto che poi non ceduto venduto e che prima era per abbazia;
esisteva umana distinta comunità in luoghi propinqui senza dimore fisse;
attuale Roccasecca, ivi, non è successivo luogo di Abbazia né poi di Fortificazione perché comunità in legame con tal borgo era ivi senza dimora sua, quindi borgo già post non ex centro feudale;
da riferimento a nobili medesimi omonimi non consegue luogo di sola residenza, peraltro allora questo non si chiamava né Roccasecca né Aquino;
(e termine "roccasecca" è in origine riferibile a periodo di disabitazione di una rocca che era meno che vestigia cioè resto indistinguibile con natura desertica circostante, secondo modo di dire spagnoleggiante ma uguale a italiano tipico di zone occidentali di stessa Italia (comune radice italico-iberica in antichità detta "esperia".

Non risulta altro da notizie comunemente riportate odiernamente anzi solo questo potrebbe risultare non altro.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Di luogo omonimo Aquino laziale, prima di interventi fascisti era parte di provincia destituita storicamente culturalmente sia da Borboni che dai Savoia e identificata quale di varie abitazioni antropologiche non autoctone ("Terra Di Lavoro"). Di conseguenza, non se ne trova alcun riferimento passato diretto col luogo del nome latino Aquinus; sicché tradizioni cattoliche locali riferibili a soggiorno lavorativo di omonimo Santo; nome latino indica origine "da dove l'acqua" e resti di laghi prosciugati sarebbero lembi estremi di zona non stabile lacustre-lagunare-paludosa-marittima che risulta in testimonianze antiche greche confine naturale attualmente segnato da corso del fiume Garigliano ma prima da laghi, che da Lazio interno attraverso parte occidentale del Molise fino a Campania sub-anti-appenninica erano evidentemente (non altra considerazione è possibile in base a detta testimonianza greca) collegati al mar Tirreno da paludi e per periodo breve medioevale inghiottiti da allargamenti marini non solo sconfinamenti marittimi: difatti cartine medioevali topograficamente omologhe a moderne attestano (non saprei dove reperirne immagini ora) litorale campano settentrionale limitatissimo ed irregolare poi uguale ad attuale (di fatto tali evoluzioni naturali erano notabili anni orsono intuendone da relative vegetazioni e rocce, ultimamente pure da notizie di scoscendimenti di suolo per piogge...) ( invece impatto distruttivo di interventi abitativi romani in zone lacustri tipiche laziali risultano altra vicenda naturale ed umana ma cui imperizia connessa con eccessiva aspettazione di durate di zona equorea suddetta).
(Luogo natale di San Tommaso potrebbe essere corrispettivo settentrionale di San Mango D'Aquino in Calabria, che a detta di indicazioni biografiche tradizionali cattoliche si chiamerebbe specularmente qual luogo assai notabile per dir di altra assunzione biologica, bere e non nutrizione: si ritrova nome Beffi qual forma neolatina affine a 'bevvi' che sarebbe oltre che speculare a "mango-mangio" anche affine a modi verbali greci ellenici ancor esistenti in Salento recentissimo, ove v ed f alternative reciproche... Si trova storia di Terre di Beffi poi abitato Beffi entrambi in Abbruzzo medioevale-moderno; prima menzione latina di Castrum cui non seguita direttamente di abitato; per questo nome del Castrum indicava luogo differente da cui ragioni di presenza romana su mandato altrui, intellegibilmente in versante non adriatico di Appennini Abbruzzesi ma ove assenza cui far riparo con missione stessa militare e romana; di cui pensabile motivazione originale ad originari di zona campana-laziale poi sommersa; ma stante naturalità di cataclisma, per diritto romano era difendibile ragione di luogo ancora più originario e distinto, non collocabile in Lazio perché questo non originariamente sottoposto a diritto di "castrum" dunque verso Sud Campania-Calabria; Lucania impensabile perché non esplorabile né esplorata dai romani cui arrivi in antiche zone di confine o limitrofe a confini e limitatamente a queste stesse. Si può presumere un "San ([) Bevio (]) D'Aquino esistente durante Medio Evo ma poi mutatosi in abitato nuovo, settentrionalizzato-mutato da meteo ed umane presenze (originalità linguistica più a Sud timbricamente meno forte...)).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Inviato ultimo messaggio ad integrazione di suo precedente.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Tommaso D'Aquino non espresse alcuna alternativa a teo-cosmologia aristotelica del Motore Immobile. Egli si limitò ad includerne, invece versioni metafisiche-idealiste di essa furono interpretazioni moderne ex tomiste-aristoteliche per indebita attribuzione di matericità ai motori immobili e materialità al primo motore immobile. Questo propriamente sia per Aristotele che per S. Tommaso D'A. era incircostanziabilità materiale e quelli circostanziabilità materici entrambi costituiti da flusso energetico: originale-originario il primo, viceversa gli altri, data pienezza di materie universali non ulteriori e autentiche cause ma connotati entro cui i flussi energetici motorii ed il Flusso energetico motorio. Concatenazione di cause comunque non sufficienti ne notava Tommaso, ma a differenza di pensiero antico entro una medesima congerie razionale-ragionativa, in accordo a studi filosofici arabi medioevali questi in accordo ulteriore in a pensiero greco antico, ma Egli senza ricorrere a termine di riferimento di Manifestazione, datoché utilizzava terminologia soteriologica e termine di riferimento in Razionalità universale.
Di critica epistemologica-gnoseologica ma che fungeva e funge da asseverazione gnoseologica-epistemologica se ne trova in considerazioni postkantiane di A. Schopenhauer su rappresentazioni mondane quali soggetti-oggetti di volontà universale, cui Questi studiava verbo immanente a universo stesso; e che poi definiva corrispondente a Volontà divina, non senza però averne mostrato analogia, dal potere illusorio al contempo conoscitivo sol entro etica del disinganno. Analogo mondano ne individuava filosoficamente in impulso irrazionale-casuale-negativo sottoposto a circostanze cui vita deve evitare già e contro cui deve essa lottare allorché negative per sfortune mondane, in ciò che neutralmente può definirsi rischio fatale e pericolo esiziale e che monoteismi definiscono elemento demoniaco riferendone una entelechia negativa ad entità non ente né oggettualità solo oggettività di coincidenze ultime non in mistero ultimo della vita. Filosofia si era accinta a studi di tali coincidenze con la demonologia di Hobbes, che ne definiva quali non oggetti reali ma eventualità senza esiti oggettivi ma soggettivamente realmente disastrosi non da soggetti stessi del mondo. Schopenhauer fece notare che esperienza della concatenazione causale universale è speculare a coincidenzialità assolutamente negativa prima e più che tramite a mistero del viver stesso universale; e che interpretazione monoteista autenticamente possibile di medesimo mistero si fonda sul riconoscer necessità di disinganno consistente in ammissione di inesaustività di concatenazione causale universale, altrimenti in essa si entifica entelechia negativa mondana e contraria a logica di soddisfazione anche mondana, perché ricerca illusa di valori definitivi in causalità non definitive rende codeste funeste per vita in quanto poteri favorevoli ne risultano sovrapoteri sfavorevolmente... Di ciò Schopenhauer ne conobbe in contenuto religioso monoteista-induista, giacché Induismo religione composita non solo pagana e non solo con Divinità Supreme anche con Essere Superiore (detto: Il Sé, in lingue latine neolatine corrispondente con radice sanscrita Om, quale allegoria teologica-antropologica-teologica di: altrimenti detto da "Sé" ). Filosofia analitica non istituì alcuna critica connotata realmente; inoltre critica di Schopenhauer mostrava consistenza gnoseologica non epistemologica di tomismo, per quanto fosse mostrata con linguaggio polemico quasi sviante, ma che originariamente aveva effetto omologo a senso, poi divenuto espressione linguistica arcaizzante, da non intender direttamente per direttamente usufruirne...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...) Tommaso D'Aquino considerava ((dunque)) singolarità non solo unicità di Causa Prima ed entro Etica già compiuta del riconoscimento del rischio della negatività mondana, condizione filosoficamente non disponibile più a culturali intellezioni moderne. Di ciò Schopenhauer non criticava anzi infine ripropose per contro a determinismi assoluti moderni.
Inoltre "Contra Anselmo" fu la impresa di ripensabilità cui incorse Tommaso: che escludeva Verbo divino qual solo argomento di fede ma ritrovandone quale significato di fede stessa e attestando vanità del contraddire dimostrazione verbale dell'Assoluto, esistente latenza nella verbosità umana naturale... Queste ricerche filosofiche furono da realismo medioevale riproposte in esistenzialismo contemporaneo da teologo evangelico - protestante Barth. Non risultano passato assoluto della filosofia.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In Medio Evo europeo teodicea era non questionabilità della necessità del riferimento al mistero della vita in vita ed anche politica. In modernità era un retaggio culturale irrinunciabile che solo in postmodernità è ridotto ad eredità ineludibile. Ciò accade perché la vita ha il suo lato misterioso e dunque refutandone se ne rifiutano espressioni determinate. In filosofie occidentali la refutazione della teodicea è fenomeno o marginale o controculturale e se non costruttivamente tale allora antioccidentale e se non provvisoriamente distruttivo allora contro Occidente e non occidentale. In ultima analisi questionare ateo moderno più accanito contro teodicea —cioè contro: naturalità del dare il senso a negatività oltre che positività di eventi mondani, naturalità giacché bene e male sono del positivo e negativo mondani giudizi cui senso definitivo in datità misteriosa solo formulabile omologamente per scopi vitali— dipende da rifiuto e odio contro espressioni occidentali: della vita, del mistero, del negativo e positivo; sicché quelli che prepotenza marxista-atea - comunista tentava di indicare quali moltitudini di innocenti costretti a linguaggio indegno ed alienante, sono invece masse di individui, per i quali pronunciare parole occidentali che descrivon: vita, mistero della vita, bene e male... è un atto impossibile per loro estraneità ostile e deliberata ai luoghi occidentali in particolare nordici e settentrionali ma anche quelli non settentrionali - meridionali: tanto che odio di massa tollera tradizioni di modi beduini orientaleggianti, non mori occidentalizzanti, ammettendo in Occidente precarietà analoga a tendaggi beduini non stabilità eguale a posti di frontiera mori e moreschi (porti abitati, vie frequentate)... E filosofia occidentale ha solo moderato la violenza accogliendo marxismo qual elemento di moderazione e provvisorio ma filosofia per esser tale non può accettare conseguenze di provvisoria accoglienza anzi deve rigettarne e perché Occidente ancor vivo qual entità geografica culturale anche tradizionale— ed anche convenzionale dopo denuncia filosofica di esistenza di estremo nichilismo distruttivo non fondante ufficiale Occidentalità contemporanea più convenzionale ma costituentene estranea base, in coscienzialità non a sua volta basilare e a sua volta particolare. Tal denuncia formulata isolatamente (da lavori filosofici di E. Severino) ha proceduto (con questi ed anche altri lavori) a riconoscere possibilità di esistenze ed alterità occidentali, esenti da distruzioni di disvalori nichilisti, proprio con aver riconosciuto e riconoscer decadute idealità e idee di moderne evoluzioni ex tomiste e dal distinguer non negare i neotomismi (e neoidealismi, qual quello di Bontadini).
È assolutamente riprovevole che della teodicea anziché farne ricerca di etica naturale non ovvia se ne tenti di far questione da sottoporre ancora a sprovvedutezza di altre concezioni filosofiche.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Tommaso D'Aquino considerava sventure mondane dipendenti da non bastanti deliberabili virtù. Differenza con etica e morale antiche consisteva in radicalità di sventure concepibili in Medioevo assente in Età Antica ed in ruolo fondamentale di riferimento pubblico al mistero della vita anche in accadimenti politici pubblici fondamentali.
Pensiero dell' "Aquinate" era allineato con etica antica stoica, aristotelica pure, della considerazione del non-altro, alla quale inerente percezione della fine della vita quale vitale finire, che pensiero antico formulava consegnandone destino a futura scienza zoologica non più dottrina solamente e che modernità tale realizzava attraverso enciclopedismo medioevale e catalogazioni rinascimentali dello stesso; e poiché zoologia considera fenomeno vitale da sua assenza, inversamente a biologia, solo in questa intellettualizzazione è possibile capire 'descrizioni embrionali' in enciclopedismo medioevale di stesso Tommaso D'Aquino. Tali descrizioni sono omologhe ad antiche aristoteliche ma non terminologicamente, perché introducon in modi descrittivi di sintassi e specialmente paratassi motivazioni conoscitive nuove e più drammaticamente mosse; ciononostante nucleo filosofico originale di Tommaso D'A. era anzi maggiormente privo di drammatiche urgenze di analogo di Aristotele ma non espresso in lingua latina né già pensatone e solo poi a motivo di altrui penurie riconnotato mediante considerazioni ad evitare, non Suoi, altrui rischi e pericoli. 'Umana immortalità', San T. D'Aquino riferiva proprio al voler vivere determinato della vita determinata; che ontologia contemporanea da sistemazione disciplinare di Heidegger e Derrida ha definito: essere qual essere per la morte; e: presenza dell'ente.
Morale, di àmbito zoologico, di Tommaso D'A. era necessitata dal prospettarsi estrema invadenza di coincidenze mondane contro vitalità universale, cui filosofia non più bastante senza previo riferirsi ad esente misteriosità vitale perché assoluta non sottoposta ad alternative mortali relative. Tal morale fu seguita da moderna contemporanea etica, di àmbito biologico. In tal àmbito considerazione di continuità vitale embrionale-postembrionale non contrasta con considerazione di discontinuità embrionale-exembrionale, anzi questa seconda prospettiva intellettuale verbale meno politicamente - culturalmente utile e rilevante risulta però più culturalmente - politicamente rilevante ed utile; e difficoltà inerenti difesa ed impiego di patrimonio scientifico zoologico maggiori che biologico, dipendono da oscurantismo medioevale contro distinzioni scientifiche zoologiche sorte da descrizione enciclopediche medioevali di: animalità non razionale conforme ad umanità, non conforme; difforme, informe, non eccezionale, eccezionale; tali contrarietà erano e sono basate su timore rancoroso e ignorante contro superpoteri di fauna (per esempio rettili mutanti detti draghi, o grandi belve marine), in connessione col rifiuto, da parte di iperciviltà antagonista a cultura della grecità in particolate ellenista, ad intellettualizzare ambientalità vitale mondana, diversamente che energia biotica datrice diffusa, materia zootica circostanziale protettrice.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

in messaggio precedente: 'descrizione enciclopediche medioevali' sta per:

descrizione di enciclopediche medioevali.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

...Nei fatti grecità, cui vera originarietà ultima di attività filosofica di San Tommaso D'Aquino, pensava rischi estremi ugualmente ai Primordi ma iperciviltà se ne sentiva esentata e aveva deciso di dominare presumendosi superpoteri, in ciò ignorando esistenza di realtà antropologica greca, primordiale non di primordi (ovviamente), e sua funzione nel mondo.
Retaggio ipercivile non greco ha continuato con rifiuto di espressioni esplicite di distinzioni tra: nascita-per, nascere-con, nascita-di; precipitandosi in ebetitudine subculturale incapace di formulazioni verbali utili coerenti di ciò dicibile 'nascituro' ed anzi dedita ossessivamente a connotare ogni futuro vitale finanche di non tarda vitalità qual ciò che è dicibile "morituro"; evidentemente etica filosofica "aquinate" serve oggi a mostrare che tal ossessione in iperciviltà alienatasi da vitalità di primordialità è oblio della limitazione non limitatezza del tempo umano della vita umana, cui morte scelta finale istintiva vitale evidentemente relativa, sia per cicli mondani universali, sia per energia restante universale mondana, sia per limitazione di considerazioni di perennità e di perennità in eternità.
Ciò, secondo etica 'aquinate', oggi val anche non religiosamente, per retaggio di riflessioni di Assoluto da Evo di Mezzo!
Metempsicosi è negazione diretta degli ossessionati, in verità anche ossessivi o finanche ossessi insospettabili, e indiretta ne è palingenesi. Gli ossessivi amano immobilizzarsi in disguidi verbali, gli ossessi amano trattar figure come scritture; gli ossessionati amano brontolare o gridare incubi di mostri confusivamente.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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Tommaso D'Aquino considerava sventure mondane dipendenti da non bastanti deliberabili virtù. Differenza con etica e morale antiche consisteva in radicalità di sventure concepibili in Medioevo assente in Età Antica ed in ruolo fondamentale di riferimento pubblico al mistero della vita anche in accadimenti politici pubblici fondamentali.
Pensiero dell' "Aquinate" era allineato con etica antica stoica, aristotelica pure, della considerazione del non-altro, alla quale inerente percezione della fine della vita quale vitale finire, che pensiero antico formulava consegnandone destino a futura scienza zoologica non più dottrina solamente e che modernità tale realizzava attraverso enciclopedismo medioevale e catalogazioni rinascimentali dello stesso; e poiché zoologia considera fenomeno vitale da sua assenza, inversamente a biologia, solo in questa intellettualizzazione è possibile capire 'descrizioni embrionali' in enciclopedismo medioevale di stesso Tommaso D'Aquino. Tali descrizioni sono omologhe ad antiche aristoteliche ma non terminologicamente, perché introducon in modi descrittivi di sintassi e specialmente paratassi motivazioni conoscitive nuove e più drammaticamente mosse; ciononostante nucleo filosofico originale di Tommaso D'A. era anzi maggiormente privo di drammatiche urgenze di analogo di Aristotele ma non espresso in lingua latina né già pensatone e solo poi a motivo di altrui penurie riconnotato mediante considerazioni ad evitare, non Suoi, altrui rischi e pericoli. 'Umana immortalità', San T. D'Aquino riferiva proprio al voler vivere determinato della vita determinata; che ontologia contemporanea da sistemazione disciplinare di Heidegger e Derrida ha definito: essere qual essere per la morte; e: presenza dell'ente.
Morale, di àmbito zoologico, di Tommaso D'A. era necessitata dal prospettarsi estrema invadenza di coincidenze mondane contro vitalità universale, cui filosofia non più bastante senza previo riferirsi ad esente misteriosità vitale perché assoluta non sottoposta ad alternative mortali relative. Tal morale fu seguita da moderna contemporanea etica, di àmbito biologico. In tal àmbito considerazione di continuità vitale embrionale-postembrionale non contrasta con considerazione di discontinuità embrionale-exembrionale, anzi questa seconda prospettiva intellettuale verbale meno politicamente - culturalmente utile e rilevante risulta però più culturalmente - politicamente rilevante ed utile; e difficoltà inerenti difesa ed impiego di patrimonio scientifico zoologico maggiori che biologico, dipendono da oscurantismo medioevale contro distinzioni scientifiche zoologiche sorte da canonica descrizione enciclopedica medioevale di: animalità non razionale conforme ad umanità, non conforme; difforme, informe, non eccezionale, eccezionale; ...tali contrarietà erano e sono basate su timore rancoroso e ignorante contro superpoteri di fauna (per esempio rettili mutanti detti draghi, o grandi belve marine ...), in connessione col rifiuto, da parte di iperciviltà antagonista a cultura della grecità in particolate ellenista, ad intellettualizzare ambientalità vitale mondana, diversamente che energia biotica datrice diffusa, materia zootica circostanziale protettrice.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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...Nei fatti grecità, cui vera originarietà ultima di attività filosofica di San Tommaso D'Aquino, pensava rischi estremi ugualmente ai Primordi ma iperciviltà se ne sentiva esentata e aveva deciso di dominare presumendosi superpoteri, in ciò ignorando esistenza di realtà antropologica greca, primordiale non di primordi (ovviamente), e sua funzione nel mondo.
Retaggio ipercivile non greco ha continuato con rifiuto di espressioni esplicite di distinzioni tra: nascita-per, nascere-con, nascita-di; precipitandosi in ebetitudine subculturale incapace di formulazioni verbali utili coerenti di ciò dicibile 'nascituro' ed anzi dedita ossessivamente a connotare ogni futuro vitale finanche di non tarda vitalità qual ciò che è dicibile "morituro"; evidentemente etica filosofica "aquinate" serve oggi a mostrare che tal ossessione in iperciviltà alienatasi da vitalità di primordialità è oblio della limitazione non limitatezza del tempo umano della vita umana, cui morte scelta finale istintiva vitale evidentemente relativa, sia per cicli mondani universali, sia per energia restante universale mondana, sia per limitazione di considerazioni di perennità e di perennità in eternità.
Ciò, secondo etica 'aquinate', oggi val anche non religiosamente, per retaggio di riflessioni di Assoluto da Evo di Mezzo!
Metempsicosi è negazione diretta degli ossessionati, in verità anche ossessivi o finanche ossessi insospettabili, e indiretta ne è palingenesi. Gli ossessivi amano immobilizzarsi in disguidi verbali, gli ossessi amano trattar figure come scritture; gli ossessionati amano brontolare o gridare incubi di mostri confusivamente.


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Dunque recensione mostra limiti maggiori di quelli in essa riferiti a lavoro recensito, cui attribuito valore preliminare eccessivo da recensore e ciò espone risultanze effettive di stesso lavoro ad ingiuste detrazioni e ne sottrarrebbe a giuste critiche limitazioni ulteriori.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Recensione mostra limiti maggiori di quelli in essa riferiti a lavoro recensito, cui attribuito valore preliminare eccessivo da recensore e ciò espone risultanze effettive di stesso lavoro ad ingiuste detrazioni e ne sottrarrebbe a giuste critiche limitazioni ulteriori; restando contenuto recensivo (che non è contenuto di lavoro recensito) senza effettive risultanze (questo lo ho ribadito).


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Reinvio quanto segue in aggiunta ai miei messaggi precedenti qui, aggiunto segno mancante (e miglioria espressiva).
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Risulta che vera biografia familiare di Tommaso D'Aquino fosse trasformata in toponomea senza le dovute precisazioni-distinzioni poi confusa con appellativi di luoghi riferibili a Santo medesimo non originariamente solo susseguentemente; ciò del tutto confermato da culto popolare cattolico in realtà assai postumo di San Tommaso!
Ma notizia storica determinante è codesta:

esisteva luogo fortificato tenuto da nobili D'Aquino di costoro residenza non di più e tanto che poi non ceduto venduto e che prima era per abbazia;
esisteva umana distinta comunità in luoghi propinqui senza dimore fisse;
attuale Roccasecca, ivi, non è successivo luogo di Abbazia né poi di Fortificazione perché comunità in legame con tal borgo era ivi senza dimora sua, quindi borgo già post non ex centro feudale;
da riferimento a nobili medesimi omonimi non conseguendo luogo di sola residenza — peraltro allora questo non si chiamava né Roccasecca né Aquino — perciò si deve reputare altrove nascita di Tommaso d'Aquino;
(e termine "roccasecca" è in origine riferibile a periodo di disabitazione di una rocca che era meno che vestigia cioè resto indistinguibile con natura desertica circostante, secondo modo di dire spagnoleggiante ma uguale a italiano tipico di zone occidentali di stessa Italia (comune radice italico-iberica in antichità detta "esperia"... ).

Non risulta altro da notizie comunemente riportate odiernamente anzi solo questo potrebbe risultare non altro.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Aggiungo ancora su biografia di T. D'Aquino:

Di vero e proprio culto cattolico ufficiale riferibile e riferito a San Tommaso D'Aquino non ve ne è realmente traccia durante Umanesimo e solo terminando questa Età se ne riscontrava desiderio ma non ancora realtà. Durante Tardo Rinascimento ne era iniziata prima la menzione di Santità però non cattolica ovvero luterana; tanto che in elenchi luterani di carismi cristiani se ne trovava ancora alcuni anni fa ( ); ortodossia da prima ne aveva stimato Santità non veramente pubblica né trovatone motivo in volontà di stessa persona affinché chiesa ortodossa ne accludesse in suo canone allora; solo col finire del Rinascimento si trovano inizi di culto ma presso ambienti intellettuali, su esempio di gnomica dantesca (che culto non era); ne trovai intuizione tramite scritti di G. Bruno e per tramite di testimonianze lasciate su questi. Morte del Santo era riferita sovente (anche a me con volontà di non inganno) più tardi di data convenzionale oggi incautamente attribuita e nascita assai prima. Di fatto notizie cattoliche tradizionali attestavano un... pressappoco assai assai poco presso ma presso a quanto da creduli ritenuto; si raccontava che comunque non avesse varcato circostanze temporali di grandi eventi noti di sue certamente note date di vita.

MAURO PASTORE