lunedì 14 ottobre 2013

Freud, Sigmund, La questione dell’analisi laica

a cura di Antonello Sciacchitano e Davide Radice, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 124, euro 14, ISBN 978-88-5750-979-2.
[ed. or. Die Frage der Laienanalyse – Unterredungen mit einem Unparteiischen, Wien, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, 1926]

Recensione di Raoul Frauenfelder - 24/11/2013

La riproposizione del testo in traduzione italiana a cura di Antonello Sciacchitano e Davide Radice nasce dall’esigenza di rispondere ad una questione ancora aperta in psicanalisi. In quest’opera del 1926 Freud tenta di definire, ed in certa misura argomentare, la necessità di una analisi “laica” (Laienanalyse), ovvero una analisi esercitata da non medici. La questione riguarda lo statuto stesso della psicanalisi ed il suo rapporto con le istituzioni. 
Il compito di traduzione e commento è nato dall’esigenza di una traduzione maggiormente fedele alle sfumature insite

al linguaggio freudiano e talvolta tralasciate dai traduttori italiani che si erano precedentemente confrontati con tale testo; non a caso la traduzione italiana di Laienanalyse con analisi laica viene introdotta per la prima volta in questa edizione. L’importanza che essa riveste non va attribuita esclusivamente ad un interesse filologico nei confronti dell’originale tedesco, ma fa segno verso la carica rivoluzionaria rintracciata dai curatori nella laicità della pratica analitica. Tale laicità sembra costituire l’unica strada per un’analisi effettivamente emancipata, dunque è essenziale per il futuro della psicanalisi e va salvaguardata. 
Il testo si snoda sotto forma di dialogo tra Freud ed un “imparziale” la cui figura, con tutta probabilità, è stata ricalcata sulla personalità di un funzionario governativo coinvolto nel caso Reik. Freud, nel Poscritto del ’27, sostiene infatti di aver consegnato al funzionario austriaco una perizia privata sul caso e di aver scambiato con esso alcune battute in merito al ruolo della psicanalisi ed alla necessità di una sua regolamentazione. Nel dibattito psicanalitico dell’epoca non vi era uniformità di giudizio rispetto alla liceità dell’analisi laica, inoltre ad incrementare le differenti vedute contribuivano le molteplici legislazioni in merito. In Germania e negli Stati Uniti la legge consentiva la pratica analitica anche a coloro i quali non possedevano titoli adeguati all’esercizio della professione medica. Tali guaritori o ciarlatani, seguendo il doppio senso di Kurpfuscher, si assumevano piena responsabilità delle loro azioni ed erano tenuti a comparire dinanzi alla legge solo nel caso in cui avessero arrecato danni ai soggetti sottoposti ad analisi.
 A Vienna invece la legge non tollerava affatto l’esercizio dei non medici, ai quali era interdetta la cura analitica. 
Per questo Freud sottolinea nell’Introduzione al testo che il dibattito analitico del primo Novecento era fortemente influenzato dal contesto, divenendo da un lato puramente accademico (nei paesi in cui agli analisti laici veniva concesso di esercitare), pratico invece laddove era loro proibito. 
Lo scritto di Freud si inserisce quindi in un contesto che impedisce ai laici di mettere a frutto le conoscenze e le esperienze acquisite presso le società psicanalitiche a partire da una legge che deve essere modificata. Vi è dunque l’esigenza di modificare il contesto culturale in cui operano gli analisti, istruendo gli imparziali circa la natura della psicanalisi. 
La matrice originaria del pregiudizio nei confronti dell’analisi laica va cercata nell’erronea equiparazione tra psicanalisi e medicina. Poiché i soggetti affetti da nevrosi sono ritenuti malati e la psicanalisi è la terapia per uscire dalla nevrosi, si è dedotto che solo ai medici dovesse essere affidata la loro cura. Tuttavia, sostiene Freud, vi sono delle eccezioni che la legge, essendo estremamente semplicistica, non contempla. Testimonianza ne è l’assoluzione del non medico Theodor Reik. L’assunto di Freud si basa sul fatto che i “nervosi” non siano equiparabili agli altri malati, per questo una formazione medica non sempre è la più adeguata per curarli, a differenza di alcuni laici che hanno seguito un’apposita formazione ed hanno acquisito una notevole esperienza pratica. Tale stato di cose poggia, e questo è un limite per i due curatori, sul dualismo ancora operante in Freud tra Körper e Seele, cioè tra il corpo meramente materiale, inanimato, e la psiche. I medici sarebbero infatti addetti alla cura somatica, mentre per malesseri psichici sono necessarie altre tipologie d’intervento. Coloro i quali sono addetti alla cura delle anime si distinguono in preti e psicanalisti. Freud si trova a dover fronteggiare le numerose obiezioni dell’imparziale, tra cui quella secondo cui non vi sarebbe grande differenza tra l’analisi e la confessione cattolica. In effetti Freud stesso mette in relazione le due pratiche, dal momento che entrambe sono rivolte alla cura psichica, con la sola eccezione che la psicanalisi cura le anime mondane. La differenza passa attraverso l’inconscio. Il modello della confessione resta ancorato al pregiudizio filosofico secondo cui si esprime verbalmente solo ciò di cui si è coscienti. Tale assioma tra psichico e cosciente è ciò che la distingue dall’analisi. L’analista conduce il malato lungo un percorso che porta quest’ultimo a dire più di quel che sa, lasciando emergere la parte inconscia della sua sfera psichica. L’inconscio, con l’effetto a ritardo, costituiscono per i curatori il fondamento della struttura scientifica del testo sull’analisi laica. Dunque anche per questo si allontana dalla medicina; essa diverge dalla psicologia scolastica che ignora l’inconscio, puntando tutto su fisiologia ed analisi quantitative. Essa si è fermata all’opinione comune secondo cui ciò che sfugge alla coscienza non possa rientrare tra gli atti psichici e dunque non sia oggetto della psicologia; ciò porta però, secondo Freud, ad ignorare l’insieme di stadi preliminari del pensiero di cui il soggetto non sa nulla, può solo «retrospettivamente (Nachträglich) rendere coscienti queste formazioni preparatorie del pensiero, come in una ricostruzione» (p. 40). Tale diversificazione funzionale obbliga dunque a parlare di «apparato psichico», al cui interno ogni parte è «in una relazione spaziale stabile […] c’è un “davanti” e un “dietro”, un “superficiale” e un “profondo”» (p. 36). In posizione più avanzata, quindi la più superficiale, si trova l’Io, cioè l’organizzazione psichica volta a mediare tra gli stimoli provenienti dal mondo esterno e la motilità del soggetto. Alle sue spalle, più in profondità, vi è l’Es ossia il profondo, «lo psichico vero e proprio» (p. 39). Per spiegare all’imparziale il rapporto che intercorre tra essi, Freud ricorre ad una metafora bellica: «Pensi alla differenza tra il fronte e le retrovie così come è andata formandosi durante la guerra. Non ci meravigliammo allora che al fronte le cose andassero diversamente che nelle retrovie, dove erano permesse molte cose proibite al fronte. L’influenza determinante era esercitata dalla vicinanza del nemico. Ma per la vita psichica, determinante è la vicinanza del mondo esterno» (pp. 38-39). Tale descrizione permette di addentrarsi nel quadro pulsionale tracciato da Freud, ritenuto, dai curatori del volume, assolutamente non scientifico in quanto la nozione freudiana di pulsione (Triebe) rimanda alla causalità aristotelica, efficiente (sessualità) e finale (morte), piuttosto che alla biologia del suo tempo. Ad ogni modo l’Io farebbe da tramite nel rapporto tra le pulsioni cieche provenienti dall’Es e le resistenze ad esse imposte dal mondo esterno. Esso differisce la soddisfazione delle pulsioni, soprattutto quando la soddisfazione minaccia di arrecare danno al soggetto; subordinando così il principio di piacere al principio di realtà. Quando l’Io non è più in grado di guidare le pulsioni, rompendo l’equilibrio con l’Es, insorge uno stato patologico. Ciò accade quando un Io non sufficientemente strutturato subisce una forte spinta pulsionale. Incapace di opporsi ad essa decide di scappare, operando una rimozione della pulsione. In tal modo rinuncia al potere futuro su quella pulsione, che da par suo continuerà a cercare soddisfazione irrompendo attraverso altri processi psichici, generando la nevrosi che l’analisi si prefigge di curare restituendo all’Io il dominio sull’Es. All’analista spetta quindi il compito di guidare l’analizzante verso il rimosso, superando le resistenze che quest’ultimo oppone. L’arma più efficace a disposizione dell’analista è l’influenza personale, la quale conduce il paziente al transfert con l’analista, cioè «trasferisce sull’analista atteggiamenti psichici già pronti in lui, che erano intimamente connessi con l’insorgere della nevrosi. […] Quel che ci mostra è il nucleo della propria biografia intima. In tal modo, invece di ricordarlo, lo riproduce concretamente come se fosse attuale» (p. 78). 
Nella parte centrale del testo Freud ha quindi riassunto aspetti fondamentali della teoria psicanalitica per mostrare all’imparziale come la psicanalisi, in quanto “scienza nuova”, si differenzi nettamente dalla medicina. Essa infatti, avendo come oggetto lo «psichicamente inconscio», necessita di una formazione peculiare, non comparabile allo studio della medicina. Quest’ultima si è sempre mossa alla ricerca di fatti oggettivamente osservabili per spiegare le patologie; gli stessi psichiatri approcciano i disturbi psichici cercandone le cause nell’alterazione dello status neurofisiologico. Non a caso gli sviluppi in campo psicologico tra XIX e XX secolo hanno riguardato per lo più la fisiologia delle sensazioni. Il proibizionismo austriaco rispetto all’analisi laica viene per questo giudicato da Freud come inadeguato ed ingiusto; esso interdice dall’analisi i membri non medici delle associazioni psicanalitiche, formati e con esperienza, per favorire l’accesso a medici talvolta assolutamente privi di competenze analitiche. Questi ultimi, non considerando a sufficienza i fattori psichici della nevrosi, non curano la patologia e sono dannosi per il futuro dell’analisi. Essi, scrive Freud, sono dei ciarlatani psicologici (Kurpfuscher); il che non deve avere come conseguenza l’allontanamento dei medici dalla psicanalisi. Numerosi allievi di Freud provenivano da una formazione medica, inoltre egli stesso ha ammesso, nel confronto con l’ascoltatore imparziale, l’esistenza di un certo vantaggio del medico sul laico nell’analisi: «Questi miei allievi possono essere influenzati da certi fattori che nella pratica analitica assicurano al medico un indubbio vantaggio sul laico» (p. 96). Tale vantaggio interviene qualora non si riesca ad attribuire con certezza la nevrosi a cause psichiche, anziché somatiche. La diagnosi differenziale può essere condotta solo da un medico; l’unico ad avere le competenze necessarie per costatare la natura psicogena o meno di una patologia. Seppure i dubbi circa la genesi della patologia sopravvenissero in corso d’analisi, il risultato sarebbe il medesimo. Infatti sia l’analista medico che il laico sono tenuti ad abbandonare l’analisi per rivolgersi ad un medico esterno, il quale valuterebbe lo stato di salute somatica del paziente al di fuori di ogni relazione con esso. Freud sconsiglia all’analista, anche se medico, di effettuare direttamente l’esame fisico del paziente qualora esso viva una relazione di transfert. Una volta accertata la genesi psichica della patologia scompare nuovamente ogni distinzione, in analisi, tra medico e laico.
Tale stato di cose testimonia quindi la distanza dell’analisi dalla medicina; essa non consiste unicamente in una pratica terapeutica, per questo va salvaguardata da un possibile riassorbimento nella psicologia, anzi ne va allargato il raggio d’azione. La psicanalisi ha l’opportunità di esplodere nelle altre scienze, divenendo decisiva per l’indagine circa l’origine della civiltà e delle istituzioni. Inoltre, nella postfazione, scritta un anno dopo la Questione dell’analisi laica, Freud indica la necessità di avere al fianco di analisti medici anche analisti umanisti. Non offre una spiegazione sufficiente la decisa presa di distanza dai laici nel mondo psicanalitico statunitense; essa infatti risulta da un problema pratico contingente, legato alla superficialità di molti analisti laici che con i loro errori arrecano danni all’analisi in generale. Ne indica quindi l’utilizzo per scopi puramente conoscitivi ed in pedagogia. Per tali scopi occorrono analisti la cui preparazione medica non è fondamentale. L’importante è che essa corregga la pressione che la società esercita sui singoli, facendone dunque uno strumento contro la nevrosi civile. Il lavoro analitico conduce al guadagno scientifico, perché è cura che non cura; perché in essa opera un nesso, Junktim, tra cura e ricerca. Freud scrive: «Sin dall’inizio in psicanalisi è esistito un legame inscindibile tra cura e ricerca (Ein Junktim zwischen Heilen und Forschen). La conoscenza portava al successo. Non si potevano fare trattamenti senza imparare qualcosa di nuovo. Non si otteneva alcun chiarimento senza sperimentarne l’effetto benefico. Il nostro procedimento analitico è l’unico che conserva questa preziosa coincidenza» (p. 115), in un rapporto continuo tra acquisizione di conoscenza e cambiamento; oltre l’idea di conoscenza come adaequatio e di psicanalisi come ripristino di uno stato di salute originario, modificatosi in seguito alla malattia.
A tal fine Freud pone la necessità di non inibire l’analisi, di non negarle le ulteriori possibilità di sviluppo con regolamentazioni preventive e sintomatiche. 


Indice

Prefazione dei traduttori
Ringraziamenti
Introduzione
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Poscritto alla questione dell’analisi laica (un anno dopo)
Variante del poscritto
Bibliografia

16 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

A valutare attentamente opportuni episodi, si comprenderebbe perché mai S. Freud tenesse a inventare distinzioni da contraddire sulla psicoanalisi e la professione medica (... anche perché temeva che un grosso cane, da lui pensato lupo, potesse visitarne studio per punire sua sciocca e peggio che inconcludente curiosità, che poneva per separare civiltà e cultura senza badare a varietà di mondi, come se fosse perenne autista di autotreni su straordinariamente tranquille monotone strade americane in cerca di un ristorante-albergo-casino, ma pure per simili altri terrori dipendenti tutti da suo rifiuto a valutare culturalmente mentalità transpersonale.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

A valutare attentamente opportuni episodi, si comprenderebbe perché mai S. Freud tenesse a inventare distinzioni da contraddire sulla psicoanalisi e la professione medica (... anche perché temeva che un grosso cane, da lui pensato lupo, potesse visitarne studio per punire sua sciocca e peggio che inconcludente curiosità, che poneva per separare civiltà e cultura senza badare a varietà di mondi, come se fosse perenne autista di autotreni su straordinariamente tranquille monotone strade americane in cerca di un ristorante-albergo-casino, ma pure per simili altri terrori dipendenti tutti da suo rifiuto a valutare culturalmente mentalità transpersonale).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ovviamente la psicoanalisi è un metodo psicologico e può essere val7do per curare kalati di mente. Ma aggiuncerci distinzioni ulteriori per sacralizzazione-dissacrazione, non è un gioco meritevole di lode per un medico e neurologo; Freud se ne dedicò stoltamente per suo odio culturale e politico contro Europa e contro Occidente e poi restandone vittima per paura di natura europea occidentale (fauna compresa).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Reinvio messaggio precedente che conteneva errori in alcune parole e migliorandone espressione.


Ovviamente la psicoanalisi è un metodo psicologico che può essere valido per curare malati di mente. Ma aggiuncerci distinzioni ulteriori per sacralizzazione-dissacrazione, questo non è un gioco meritevole di lode per un medico e neurologo; Freud se ne dedicò stoltamente per suo odio culturale e politico contro Europa e contro Occidente e poi restandone vittima per paura di natura europea occidentale (fauna compresa).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ad ogni modo risulta che le proibizioni menzionate in recensione di tal lavoro scritto di Freud erano provvedimenti particolari a carattere punitivo o risarcitorio non economico per trasgressori di legge su attività oppure prestazioni professionali, mediche o non mediche o entrambe, di scienza, scientifiche o non scientifiche; inoltre tali provvedimenti dipendevano anche da stessi intenti ufficiali professionali, che per legge dovevano in stesse attività professionali essere rispettati. Da ciò si comprende il triste astioso vano gioco freudiano di autocostruire e autodistruggere regole soggettive ma gioco che quando coinvolgeva norme oggettive, statali, si trasformava in reato o volontà di reato da parte dei giocatori stessi.

Per il resto, usufruendo di osservazione che ho fatto, si potrebbe meglio notare o scoprire la sempre minore efficacia interdisciplinare di operato professionale di Sigmund Freud, d'altronde avviato ad essa per provvedimento giudiziario di Impero Asburgico ma lui da sé nolente, parabola discendente perché Freud stesso sempre più polemico ed avverso ad interessi di psicologia e psichiatria e sempre meno incline, anche per accaduti successi interdisciplinari, a progressi di neurologia ed uso neurologico di facoltà intuitiva sola o tecnica di psicoanalisi. Era questo ultimo stato avviato dagli psichiatri che ne praticavano già in diagnostica psicologica medica ed intendevano fornire alla neurologia un ritrovato utile anche eticamente, per etica professionale dato che gli ambienti della neurologia erano spesso genericamente insani e violenti ai danni dei malati di mente. Sigmund Freud descrivendo quadri professionali propri ed inerenti e redagendo sintesi di risultati e mezzi per ottenerli, nondimeno infatti (cosa che poi avrebbe notato Erich Fromm e riportato in suo scritto) riformulava terminologia interdisciplinare ma impedendo che i termini potessero essere riusati.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Così a poter dirne prima, che un neurologo potrebbe venire a saper meglio del suo analizzato non degli effetti di una patata sulla mente ma della vita neuronale della patata in rapporto a mente del paziente, con la successiva terminologia "ortodossa" ovvero non laica di Freud non si potrebbe neppure per negazioni di psicologismi.

La storia della neurologia fu debitrice a S. Freud di interessanti ricerche, soprattutto su aspetto neurologico di attività onirica, ma esse da abbinare ad altri previi studi neurologici non suoi e da collegare ad ulteriori dopo di lui, restando i conseguimenti di Sigmund Freud di àmbito interdisciplinare neurologico. Il riferimento alla pedagogia gli era obbligato da Autorità e poi anche da stessi operatori pedagoghi, perché la congerie di sue osservazioni interdisciplinari era unitariamente non totalmente sensata in qualità di forma culturale di difesa psicologica ma tale forma era potenzialmente adatta ad avversare gli intenti antipsicologici di stesso S. Freud e mai ad assecondarne ed era stata descritta e formulata quale psicoanalisi pedagogica cioè non descrizione mentale da Anna Freud. Anche il linguaggio rigoroso psicoanalitico di quegli anni a lui attribuito, poi anacronistico, era in realtà ritrovato messo a punto risolutivamente non da lui ma da George Groddeck.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ho scritto in ultimo messaggio un nome 'George' anche se in verità trovasi diffuso il nome della persona corrispondente scritto così: "Georg". In verità avendo volontariamente omesso secondo nome "Walther", che ho trovato anche così, specificamente vocabolo inglese, non solo. così: "Walter", reputavo fosse non scorretta scrittura all'inglese del primo nome. Mi risultò anche che stessa persona di cui entrambi i nomi, Georg Walter (Walther) Groddeck, voleva od accettava scritture diverse del suo primo nome. In ogni caso lo ho scritto all'inglese e questo non comporta mutamenti ed è prassi del tutto normale.

Comunque mi riferivo a Georg Walter Groddeck.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ho reinviato già alcuni messaggi con parole riscritte.

Sono dispiaciuto per il disagio ma fondamentale su Internet resta acquisizione dati, sicché quelli che hanno tentato di vessarmi ed anche lungamente per impedire mie comunicazioni non hanno raggiunto neanche scopo delle vessazioni e non mi hanno convinto neppure ad impegni maggiori, che non sarebbero stati saggi anche data violenza ed insistenza ed insavia di stessi vessatori.

Ho accluso questa spiegazione per eventuali maggiori tranquillità o sicurezza di lettori (e lettrici ovviamente).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel particolare ambiente di provenienza di Sigmund Freud la medicina era considerata sacro officio. Nel fuoriuscire da tale ambiente S. Freud non ne abbandonò stessa considerazione, da religiosa o carismatica che era trasformandola in considerazione sociale. Allorché S. Freud fuoriuscì da intero ebraismo ugualmente non volle abbandonare considerazione sociale particolare ed eccezionale del còmpito del medico, originariamente ebraica però del tutto inopportuna in suoi nuovi contesti civili. Nel periodo successivo alla suddetta pubblicazione "La questione dell'analisi laica", S. Freud si era reso ostile ad ebraismo pur conservandone legami originari con ebraicità particolare, lamentando senza più reali interessi né autentici mandati di autentici interessati proprio la fine di tale particolarità, decretata dai poteri religiosi dell'ebraismo, solleciti a migliorare condizioni di vita dei fedeli loro e ad evitare confusioni tra ripetizioni di eventi negativi e ritorni ciclici di accadimenti naturali e tra riferimenti ai misteri naturali a ciò connessi e al mistero del vivere comune in ciò coinvolto, quest'ultimo ragione d'essere del monoteismo e in tal caso dell'ebraismo solo se utile ad evitare quelle ripetizioni. Con tale particolarità v'erano anche altre occasioni religiose, politeiste o enoteiste od anche iniziatiche - monoteiste, queste ultime dal mondo arcaico teutonico-germanico orientaleggiante, le altre rispettivamente nell'ordine celtiche o greco-celtiche; tuttavia si trattava di occasioni non di sole intuizioni mistiche bensì pure di mutamenti di situazioni di vita, mai da stesso Freud colte in questa ultima necessarietà ma assai fascinose per lui per vasta parte della sua vita. Non lui medesimo ma suoi cari invece ne avevano scelto. Così si spiegano le descrizioni di ciò che suscitavano in tanti la sua venuta e la pronuncia del suo nome Sigmund e del suo cognome Freud, così si possono interpretare impressioni da suoi ritratti, duplicemente emotivamente suscitanti pensiero di austero e puro germanesimo non riferibile a stessa unica presenza e di sorpresa diversa ed anche in tutto. Abbandonato del tutto ebraismo ed ancora affascinato da quelle alternative ma legato alla particolarità ebraica di fatto senza più futuro e senza sua vera adesione, tanto che sue consuetudini erano altre e drammaticamente analoghe, omologhe o identiche alle condizioni di vita degli ebrei descritte nei racconti biblici, mentre quelle cui lui aveva prestato onore senza aderirvi ne differivano per assenza di circostanze inerenti negative contro la semplice cura del corpo, polemizzando coi maestri, cosiddetti "rabbini", in tal frangente, contrariamente a quanto di solito assai creduto o molto ritenuto, illuminati da saggezze indiscutibili, Sigmund Freud negava l'orgoglio vitale del suo ambiente di origine ed al contempo era inviso a stessi custodi di sacralità germaniche ed a eredi di tradizioni celtiche e conoscenze elleniche. La speranza, per molti quasi certezza, che S. Freud abbandonasse la ossessione vuota della tragedia edipica e divenisse vero sostenitore del filoellenismo, in Germania movimento culturale e politico ancora attivo per difendere risultati raggiunti e altrove nel mondo teutonico più attivo, restò delusa. Dunque la sua mentalità fattasi remota anche dalle originarie alternative culturali e possibilità religiose, non criticate ma disistimate, poi insensatamente diffidate, restato senza vera scelta di non partecipazione religiosa Sigmund Freud era diventato persona in forte ricerca di appartenenza ed irriconoscibile, di fatto non più occidentale a tutti gli effetti ma senza trovare nell'Est-Oriente di sua stessa provenienza più originaria nulla che lo appagasse. In questo stato mentale visse malattia e morte.

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

Di lui come di altri in simili evenienze si ipotizzò fosse molto più anziano, nonostante non riportato in anagrafe; per quanto i lunghi periodi di usi incauti, abusi, manie, dipendenze in uso, tossicodipendenze, ritorni ad usi incauti di cocaina, sostanza di cui non comprese mai possibile raro o rarissimo consumo favorevole né effetti sfavorevoli, questo alcune persone ne dedussero, che avesse avuto vita assai più lunga in ambiente di origine, solo poi conosciuto e non del tutto dal mondo europeo non orientaleggiante. Di fatto le sue capacità personali indubbie e diverse e la quasi assurdità della sua biografia rendono tale ipotesi assai sensata ma non tale da contraddire quanto già si sa su di lui.

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel mio messaggio precedente:

Di lui,

cioè proprio di Sigmund Freud.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

Dopo prima parziale fuoriuscita da ambiente di provenienza, i modi sociali e professionali di Sigmund Freud eran detti "ortodossi" per significare osservanze uguali non stesse non religiose; tuttavia riferendosi ai suoi pensieri si usava tal detto per indicare certa religiosità mai assecondata, idoleggiante prima, poi idolatrica: S. Freud era descritto quale sorta di artista dell'improbabile, simile a "dandy" ma per nulla esente da necessari rimproveri morali poi neppure da condanne; gli si riconosceva a volte solenne distacco dai suoi colleghi inetti a star fermi senza recar tedi o addirittura danni ai pazienti ignari e cosiddetti "materialisti", in realtà "spiritualisti" senza saggezza in necessità di intellettualizzazioni materiali compensative... essendo questa condizione sociale e penuria civile di vasta parte della cultura materialista antagonista variamente posizionata in schieramenti politici nel mondo teutonico di allora. Fu, quale scrittore, considerato geniale ma mai abbastanza consapevole e restò la sua scrittura più accreditata, ma non eticamente bensì letterariamente, quella di "La interpretazione dei sogni", anche se i critici avveduti riconoscevano genio letterario decisivo sia, pur indiretto ad alcuni suoi pazienti; e in definitiva il libro fu ritenuto molteplice non unitaria testimonianza collettiva oltre che pubblicazione di scienza neurologica e di interdisciplinarità tra neurologia e psicologia ma non viceversa... nonché relazione di criminologia da pazienti spontaneamente validamente condotta e preventivamente opportunamente da Autorità asburgiche che avevano imposto a Freud lavoro; invece quest'altro pubblicato con titolo "La questione dell'analisi laica" si attesta quale non del tutto involontario ma non deliberato rapporto autocritico, con effetti umoristici di cui Freud restava in parte inconsapevole...

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

In realtà la analisi dei non medici non fu mai proibita tranne che fosse analisi medica bisognosa dunque di analisti anche medici!

...E l'intervento delle autorità era motivato anche dal dover provvedere contro rifiuto di reali attività mediche da parte di medici professionisti che ad attività si erano promessi senza mantenere l'impegno!

L'uso del termine "laico" era derivato a Freud e freudiani da consuetudini religiose intese od interpretate al rovescio ma non rifiutate nelle forme sociali ed inerenti concezioni di sacralità su intervento medico.
Tal uso in principio non era psicologico-religioso ma era uno psicologismo areligioso non irreligioso.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE... :

Reinvio testo che recava una virgola in eccesso non in più:

'sia, pur'

stia per: sia pur.

Ecco testo corretto:

Dopo prima parziale fuoriuscita da ambiente di provenienza, i modi sociali e professionali di Sigmund Freud eran detti "ortodossi" per significare osservanze uguali non stesse non religiose; tuttavia riferendosi ai suoi pensieri si usava tal detto per indicare certa religiosità mai assecondata, idoleggiante prima, poi idolatrica: S. Freud era descritto quale sorta di artista dell'improbabile, simile a "dandy" ma per nulla esente da necessari rimproveri morali poi neppure da condanne; gli si riconosceva a volte solenne distacco dai suoi colleghi inetti a star fermi senza recar tedi o addirittura danni ai pazienti ignari e cosiddetti "materialisti", in realtà "spiritualisti" senza saggezza in necessità di intellettualizzazioni materiali compensative... essendo questa condizione sociale e penuria civile di vasta parte della cultura materialista antagonista variamente posizionata in schieramenti politici nel mondo teutonico di allora. Fu, quale scrittore, considerato geniale ma mai abbastanza consapevole e restò la sua scrittura più accreditata, ma non eticamente bensì letterariamente, quella di "La interpretazione dei sogni", anche se i critici avveduti riconoscevano genio letterario decisivo sia pur indiretto ad alcuni suoi pazienti; e in definitiva il libro fu ritenuto molteplice non unitaria testimonianza collettiva oltre che pubblicazione di scienza neurologica e di interdisciplinarità tra neurologia e psicologia ma non viceversa... nonché relazione di criminologia da pazienti spontaneamente validamente condotta e preventivamente opportunamente da Autorità asburgiche che avevano imposto a Freud lavoro; invece quest'altro pubblicato con titolo "La questione dell'analisi laica" si attesta quale non del tutto involontario ma non deliberato rapporto autocritico, con effetti umoristici di cui Freud restava in parte inconsapevole...

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

In realtà la analisi dei non medici non fu mai proibita tranne che fosse analisi medica bisognosa dunque di analisti anche medici!

...E l'intervento delle autorità era motivato anche dal dover provvedere contro rifiuto di reali attività mediche da parte di medici professionisti che ad attività si erano promessi senza mantenere l'impegno!

L'uso del termine "laico" era derivato a Freud e freudiani da consuetudini religiose intese od interpretate al rovescio ma non rifiutate nelle forme sociali ed inerenti concezioni di sacralità su intervento medico.
Tal uso in principio non era psicologico-religioso ma era uno psicologismo areligioso non irreligioso.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ho ripetuto un invio uguale per ragioni di opportunità, non solo di agio, dei lettori (ed ovviamente delle lettrici).

MAURO PASTORE