mercoledì 23 aprile 2014

Fornari, Giuseppe, La conoscenza tragica in Euripide e in Sofocle

Massa, Transeuropa, 2013, pp. 423, euro 25, ISBN 978-887580224-0.

Recensione di Matteo Sozzi – 02/02/2014

Il volume costituisce un importante contributo per una riscoperta del pensiero religioso, filosofico e antropologico dei tragici greci. Soffermandosi in particolare sullo studio di alcune opere fondamentali di Sofocle ed Euripide, l’autore riesce a dischiudere le ancora inesplorate potenzialità che le tragedie classiche tuttora possiedono in riferimento alla delineazione di orizzonti di senso umani e metafisici. Si tratta di far tesoro dell’approccio filologico e letterario per penetrare con l’interrogazione filosofica testi

da un lato cronologicamente tanto lontani, dall’altro lato sorprendentemente prossimi per la loro densità di significato. In questo rapportarsi alla tragedia greca lo studio si propone inoltre di valorizzare non solo i contributi della filologia, ma anche quelli derivanti dalle differenti interpretazioni che sia sui tragici, sia sui temi da loro indagati, sono state avanzate nella storia del pensiero. Rilevante, a tal proposito, è il tentativo di considerare l’apporto che la tradizione del cristianesimo ha offerto. In questo senso, il volume aspira certamente ad un’indagine sui fondamenti stessi dell’identità e del pensiero dell’uomo occidentale, che affondano le loro radici tanto nella tradizione greca e romana, quanto in quella ebraica e cristiana. 
Il libro si articola in sette capitoli.  Il primo è dedicato ai Cretesi di Euripide, tragedia di cui sono rimasti pochi frammenti. Il capitolo ha una funzione introduttiva all’intero volume, in quanto in esso viene illustrata la concezione del sacrificio che percorre l’intero studio. Fornari infatti, riferendosi alle interpretazioni di Girard e Lévi-Strauss, opportunamente integrate e completate, sostiene la centralità della teoria di un evento collettivo fonte di mediazione capace di svolgere un ruolo di fondazione e sostituzione sacrificale attraverso un’esperienza di carattere estatico. A questo contenuto si affianca la delineazione di una prospettiva metodologica sul mito e sui personaggi della tragedia, che accompagnano il lettore in tutto il libro: da un lato, viene valorizzato il contenuto simbolico, rappresentativo e filosofico dei testi mitici, letti con una costante attenzione alla dimensione rituale, in polemica sia con l’eccessivo razionalismo di Lévi-Strauss, sia con la tendenza al riduzionismo di Girard. Dall’altro lato, viene proposta un’analisi del rapporto dei personaggi della tragedia come un sistema in cui si assiste al collasso dei rapporti e alla complessiva indecidibilità del sistema stesso: in quanto parte del sistema, ogni personaggio non può aver ragione poiché esaurirebbe la totalità del sistema, né aver torto, poiché parte integrante dei rapporti sistemici. All’interno di tali prospettive ermeneutiche, i Cretesi diventano occasione per affrontare tematiche antropologiche fondamentali. Tra le tante segnalo per la loro salienza il ruolo del mediatore sacrificale assunto dalla figura del re-sacerdote, l’apporto dell’orfismo alle concezioni di iniziazione e purificazione, la visione greca dell’innamoramento.
Il secondo capitolo introduce ad una riflessione sul rapporto tra logos e pathos, non adeguatamente indagato in ambito filosofico e centrale invece nella tragedia greca, in particolare nella Medea e nell’Edipo a Colono. La tematica viene illustrata con importanti riferimenti anche al pensiero platonico e aristotelico, in modo tale che la tensione tragica tra passione e sofferenza da un lato e parola dall’altro possa venir colta in tutta la sua profondità. Il tema che accomuna le due tragedie è la condizione di contemporanea estraneità e familiarità dei protagonisti (Medea ed Edipo), che li pone in una posizione radicalmente contraddittoria. Si pensi ad esempio ad Edipo: troppo ignaro per essere ritenuto colpevole, troppo sacrilego per non essere giudicato impuro. In tale situazione il logos non può non assumersi senza riserve le istanze di violenza e di impurità del pathos  esito che, non potendo essere accettato dalla filosofia e in particolare da Platone, spiega le difficoltà del pensiero ad interrogare il rapporto tra pathos e logos. 
L’analisi dell’Edipo a Colono prosegue poi nel terzo capitolo. L’opera rappresenta infatti la riflessione matura di Sofocle riguardo le problematiche sollevate dal precedente Edipo re, che ha sullo sfondo l’instabilità politica, etica e religiosa del mondo ellenico. La ragione di Sofocle nell’opera assume le caratteristiche del logos greco: è parola che si esprime di fronte agli altri prima che a se stessi, che si riceve e da cui si è visitati, come da una divinità, ha potere di mediazione e tende a tradursi in azione. La rappresentazione di una indiscutibile sconfitta è il presupposto per l’analisi della crisi della grecità: si tratta degli sventurati accadimenti legati ad Edipo, il quale con modalità tipicamente greca affronta l’avverso destino con forza e grandezza. Fornari si concentra su Edipo mettendone in evidenza le “soglie interne”, le relazioni e i legami che egli stesso incarna, in particolare quelli tra la tradizione arcaica, rappresentata dalla violenza e dalla vendetta, e le logiche rituali, capaci di incanalare ma non eliminare la violenza. 
Oggetto d’indagine del quarto capitolo è la tematica dell’eros attraverso l’analisi dell’Ippolito e quindi la storia di Fedra che, moglie di Teseo e matrigna di Ippolito, si innamora del figliastro e giungerà ad impiccarsi incolpando Ippolito di uno stupro che mai vi fu. Tale accusa conduce Teseo ad uno scontro con il figlio che costerà la vita a Ippolito. La passione erotica domina così la tragedia secondo la prospettiva tipicamente greca: la questione non è come (modernamente) fronteggiare il desiderio, ma come desiderare in modo corretto una volta individuate le necessarie mediazioni. Fornari legge la tematica alla luce dell’arcaico mondo minoico, soffermandosi sulla stratigrafia mitica e rituale del labirinto. Alla luce di tali osservazioni emerge come la tragedia non fosse un mezzo per veicolare contenuti, quanto piuttosto lo strumento con cui avveniva una partecipazione alle dimensioni profonde oggetto della narrazione. Così la vicenda di Ippolito e il tema erotico non rappresentano il punto d’arrivo dell’interpretazione della tragedia, ma il punto di partenza di considerazioni circa la potenza di eros che coinvolgono direttamente lo spettatore. Fornari analizza, inoltre, la visione realistica del desiderio emergente dalla tragedia legandola a contenuti eleusini e tenendo in considerazioni il pensiero che sull’argomento hanno sviluppato Freud e Lévi-Strauss, al fine di cogliere la ricchezza della visione tragica. Ne viene così delineato il quadro semantico dell’antichità circa i rapporti tra maschile e femminile: essi devono comunicare entro confini e norme che rimandano alla complementarietà fra i sessi.
Al tema della famiglia è quindi dedicato il quinto capitolo che si focalizza sull’Andromaca. La famiglia in senso greco non è naturalmente da intendersi come dimora familiare odierna, ma come un microcosmo di relazioni regolamentate affidate alla mediazione femminile. Si tratta di un ambito sia complementare rispetto al pubblico affidato alla mediazione maschile, sia essenziale per lo stesso funzionamento dell’ambito pubblico. E la tragedia vuol porre in scena e tematizzare proprio il venir meno delle mediazioni fondanti la sfera domestica con esiti nefasti per l’intera vita associata.
A Dioniso, divinità centrale per la comprensione del tema del sacrificio, e al dionisismo, a cui l’arte tragica appare strettamente legata, è dedicato il capitolo sesto che pone al centro le Baccanti. La riflessione di Fornari si snoda attraverso le suggestive e solo apparentemente contraddittorie caratteristiche del dionisiaco: rappresentante dell’umano ed esponente del divino, Straniero e Autoctono, Uno e Molteplice, presenza segreta nella razionalità e razionalità paradossale dell’irragionevole, così da essere un polo dinamico che mantiene l’opposizione, divenendone mediatore.
Infine, l’ultimo capitolo è dedicato alla più celebre delle tragedie greche: l’Edipo re, letto secondo gli schemi ermeneutici che l’autore ha nel corso del volume acquisito ed esplicitato. Così, grande attenzione è riservata in particolare ai riti coevi e all’interpretazione di Edipo quale capro espiatorio. Sono contenuti che implicano il confronto con il pensiero di Girard, Propp, Lévi-Strauss e con le obiezioni dei grecisti Paduano, Serra e Guidorizzi, riportate e discusse dall’autore. Non manca infine l’apertura ai successivi Edipo, in particolare l’Oedipus di Seneca, l’Edipo di Hölderlin e l’Oedipus und die Sphinx di von Hoffmansthal. Edipo diviene così una figura in cui lo spettatore/lettore si trova a specchiarsi, a ritrovarsi e a interrogarsi profondamente sulle radici stesse del proprio umano.
Non è un caso – conclude Fornari – che dopo Sofocle ed Euripide la grandezza della tragedia greca sia destinata a chiudersi insieme al declino della polis, mentre il sapere filosofico potrà godere di più durevole fortuna. La filosofia infatti non si lasciò coinvolgere in ricerche audaci e sovente destabilizzanti. Si pensi a come l’intervento platonico condusse ad una revisione anti-tragica la morte di Socrate, limpidamente innocente e non implicato in dinamiche religiose e sacrificali.
Con tale conclusione Fornari sembra ribadire la convinzione che guida l’intero volume: potente delineatrice di orizzonti semantici fu la tragedia greca, capace di indagare e affrontare l’ambito dell’umano, anche con maggior radicalità della filosofia,  specialmente là dove il dato antropologico, resistendo alle semplificazioni e ai tentativi di riduzione alla sola comprensione razionale, conduce in percorsi sul crinale della follia. 
Questo meritorio intento è perseguito con l’esplicitazione e la discussione di numerosi e notevoli contenuti filologici e filosofici di sicuro fascino e interesse anche quando, all’interno delle questioni dibattute accuratamente presentate, non dovessero dal lettore risultare pienamente condivise alcune conclusioni proposte dall’autore.  


Indice

Introduzione

Avvertenza

I. Nel labirinto del sacrificio. I Cretesi di Euripide
1. Una domanda metastorica di identità
2. Il nodo teorico e storico della monarchia sacra
3. La maniera informativa della mitologia
4. Lotte sostitutive a Creta
5. Dionisismo e orfismo
6. La scrittura del labirinto
7. Nozze sacre nel labirinto
8. Il sistema dell’ambiguità tragica
9. Vittima e cristianesimo

II. Parole del dolore. Logos e pathos nella Medea e nell’Edipo a Colono
1. Cesure e censure all’interno del logos: Platone
2. Il pathos dell’estraneo come sorgente del logos
3. La maga e l’esule
4. La maledizione di Edipo

III. La partita sacra. Trasfigurazione e vendetta nell’Edipo a Colono
1. Due Edipi o uno?
2. Una tragedia postuma
3. Le soglie interne del personaggio
4. Compressione e trasfigurazione della violenza
5. Lo specchio edipico di Sofocle

IV. Fedra indimenticabile. La ierogamia funebre dell’Ippolito
1. Una trama spezzata
2. Un mondo magico
3. Sacrificio nel labirinto e nella tragedia
4. Il labirinto come cerchio ermeneutico
5. Una strana ierogamia eleusina
6. Cielo, terra, mare
7. Gli interventi del coro
8. Invalicabili doppi
9. Le pene dei padri

V. Il corpo di Andromaca
1. L’archetipo della saga troiana
2. Guerra al femminile
3. L’irruzione del sacrificio

VI. Non c’è dio più grande di Dioniso (Baccanti, 777)
1. Il dio più tremendo e più dolce
2. Breve trattato di teologia dionisiaca
3. Dionisofania

VII. Edipo la sfinge. Stratigrafia millenaria di un archetipo tragico
1. Unicità dell’Edipo e di Edipo
2. Nomen/omen
3. Forma e contenuto in Girard, Propp e Lévi-Strauss
4. La struttura edipica in Lévi-Strauss
5. Edipo vittima “a tutti i costi”
6. Le obiezioni dei grecisti: Paduano, Serra, Guidorizzi
7. Piedi tragici
8. Disumanità edipica
9. Dal due all’uno e ritorno: l’Edipo di Hölderlin
10. Modernità di edipo – edipicità del moderno

Conclusione

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