venerdì 24 ottobre 2014

Di Martino, Carmine, Esperienza e Intenzionalità. Tre saggi sulla fenomenologia di Husserl

Milano, Guerini e Associati, 2013, pp. 147, euro 16,50, ISBN978-88-8107-346-7

Recensione di Francesco Tampoia - 07/04/2014

Si può parlare oggi di attualità della fenomenologia? In che modo? È la principale domanda che si pone Carmine Di Martino in un suo recente scritto su nóema. Negli ultimi decenni si è registrato un ritorno della fenomenologia e alla fenomenologia. Lo conferma che non pochi filosofi di ieri e di oggi hanno rivendicato e/o rivendicano propri rispettivi percorsi, partenze o prospettive “fenomenologiche”. Anche quando le loro impostazioni sono rimaste a lungo estranee alla fenomenologia, 

in Francia per esempio, diversi filosofi hanno avvertito l’esigenza di richiamarsi a Husserl, talvolta nella semplice forma di appelli a un'ispirazione, a uno stile fenomenologico, talaltra come riferimento filosofico per un’esperienza in chiave non empirico-cognitiva da recuperare oggi. Il fenomeno ha assunto una certa rilevanza internazionale come documenta, tra l’altro, un volume recentemente pubblicato in inglese sulla fenomenologia in Francia. Qui si dice di una "family" di filosofi francesi ispirata dalla fenomenologia, da E. Lévinas, J. Derrida, M. Henry, J.-L. Marion, J.-L. Chrétien e, in certo modo e con differenze1, a J.-Y. Lacoste e P. Ricœur, e ancora da Derrida e la sua concezione del "quasi-transcendentale", alle posizioni trascendentali di Husserl e Kant. Per inciso, Derrida nel suo Le toucher, Jean-Luc Nancy inserì lunghi capitoli su Husserl. Nell’area anglo-americana, e internazionale, con la dicitura New Phenomenology è presente una  galassia di studi e ricerche su Husserl e la fenomenologia.
A dispetto di una ancor corrente vulgata, nell’Introduzione all’agile volume dal titolo Esperienza e Intenzionlità -Tre saggi sulla fenomenologia di Husserl, Di Martino ricorda che la fenomenologia è una filosofia dell’esperienza, una radicale interrogazione delle condizioni di manifestatività che “sollecita a non staccarsi da quella fonte originaria che è il momento vivente della nostra esperienza»(9). A lettura, consultazione e commento dei manoscritti non ancora ultimata, Di Martino osserva che il quadro generale della fenomenologia husserliana è ormai tracciato.  Le linee fondamentali del pensiero di Husserl sono state più volte confermate, anche se alcuni hanno voluto, forse per motivi storico-didattici, distinguere un primo Husserl (Gottinga), un secondo (Ideen), un terzo se non addirittura un quarto. Scrive ancora Di Martino “Nella nostra interazione quotidiana con il mondo circostante siamo orientati a ciò che di volta in volta ci si fa incontro e suggerisce, da parte nostra, una risposta adeguata, che genera poi nuovi decorsi di esperienza  e così via»(16). A detta di Husserl, si tratta di un ineludibile atteggiamento naturale che va accompagnato da un necessario atteggiamento di cautela, simile a una messa tra parentesi. Detto altrimenti, una messa in guardia- riduzione trascendentale o fenomenologica- che va ben oltre il senso comune, che “non si pone né come un ripiegamento solipsistico nell’interiorità della vita di coscienza, né come l’esercizio scettico di un dubbio sull’effettiva realtà del mondo esterno, bensì come un orientamento dello sguardo alla trama di correlazioni tra soggetto e mondo» (20). 
Nel primo capitolo dal titolo Doxa ed Episteme. Il senso comune e la fenomenologia, Di Martino scrive che il senso comune ci spinge a credere, non a dubitare della realtà del mondo fisico, ci spinge a credere che “vi è un nucleo di credenze originarie che stanno prima di ogni dubbio e a cui ogni dubitare deve aver già prestato fede per potersi esercitare»(23). Il mondo della vita, insomma, è prima del sì e del no, non può essere negato,  è qualcosa di affermato nello stesso momento in cui lo mettiamo in dubbio. Esso è il mondo delle dirette esperienze intersoggettive. Su queste esperienze si costruisce anche la scienza (vedi E. Husserl, Crisi delle scienze Europee e la fenomenologia trascendentale, Il saggiatore, Milano 1961-p. 81 e p. 171). In riferimento alla ben nota epoché husserliana, in modo abbastanza esplicito Di Martino ricorda: “Nell’epoché non si annulla il mondo, né il senso comune delle rappresentazioni. Ciò che viene sospeso, messo fuori gioco, è la tesi “naturale” dell’esistenza o della realtà in sé del mondo”(32). L’epoché vuole mettere tra parentesi quanto si può abbracciare sotto l’aspetto ontico.
 Più avanti, sulla soggettività e oggettività, spiega “La fenomenologia costitutiva si propone pertanto di enucleare strutture trascendentali e non di descrivere esperienze psicologiche 'soggettive' connesse a meri dati di fatto 'oggettivi' o a circostanze storiche e culturali”(p. 38). E verso la fine del capitolo sul rapporto doxa/episteme, ispirandosi al testo husserliano Esperienza e giudizio, precisa che nella prospettiva husserliana tra doxa e episteme ‘lo strato ultimo dell’esperienza precede il linguaggio, le culture storicamente determinate e dunque anche la scienza’(50). Chiude con la nota tesi della Crisi che la scienza se vuole ritrovare la verità di se stessa deve tornare al mondo della vita.
Nel capitolo secondo dal titolo Una filosofia dell’esperienza, Di Martino parte ancora una volta dal presupposto che la fenomenologia si fonda sull’esperienza e rimane nell’esperienza. Nel Medio Evo è stata riconosciuta l’importanza della intenzionalità, nell’Età Moderna  Cartesio, gli empiristi Locke, Berkeley e Hume, invece, non ne hanno compreso il valore e la funzione, non hanno pensato il ruolo della intenzionalità, la possibilità di intraprendere una scienza trascendentale, di elaborare una concezione intenzionale della coscienza e dell’esperienza. Più avanti, tornando a Hume, Di Martino aggiunge che,  per quanto innovativo, l’empirismo–scetticismo di Hume “fonda uno psicologismo radicale di tipo sostanzialmente nuovo, che basa tutte le scienze sulla psicologia, che è tuttavia una psicologia puramente immanente e al tempo stesso puramente sensistica”(74). 
Nel capitolo terzo Di Martino affronta il discusso rapporto tra intenzionalità e realtà, e si ferma su alcuni snodi dell’attuale dibattito filosofico. Da alcuni la nozione di intenzionalità è stata intesa “come l’asse portante attorno a cui ruoterebbe un idealismo che pone la fenomenologia in linea di continuità con la stagione moderna e specificamente kantiana della filosofia»(107). La fenomenologia husserliana, insomma, sarebbe una sorta di idealismo. 
Q. Meillassoux con il suo realismo speculativo ritiene che Husserl e Heidegger replicherebbero “il passo di danza correlazionale” compiuto da Kant. M. Ferraris con il suo realismo minimalistico dice che il trascendentalismo filosofico culminato con il postmodernismo resta imbrigliato nella posizione kantiana. Tra le righe, mi permetto di ricordare a Ferraris (il quale, nel suo Manifesto del Nuovo realismo (New Realism) non nomina nemmeno una volta Husserl) che il trascendentalista Husserl, qui velatamente in discussione, ha sempre contrastato un realismo sic e simpliciter, l’atteggiamento ingenuo naturale-diretto (Geradehin) in nome di un suo superamento. (Evitare forme critiche personali non strettamente collegate al testo recensito. In una recensione non sono ammesse note a piè di pagina). A sua volta J. Benoist, che si autodefinisce fenomenologo atipico, si orienta verso un realismo fenomenologico linguistico e percettivo. In un modo o nell’altro, i diversi realismi  mettono in gioco il senso dell'intenzionalità. Al fine di rendere più esplicito il suo pensiero, Di Martino osserva: “si può certamente scegliere di riassorbire interamente la fenomenologia husserliana nell’ambito della filosofia trascendentale kantiana, come una sua modulazione interna» con tutte le variazioni recenti etichettandole nella dicitura trascendentalismo, ma resta da dare una risposta a ciò che si potrebbe chiamare filosofica della correlazione. 
Nelle Ricerche logiche Husserl ha sostenuto che la coscienza è sempre coscienza-di qualcosa, ogni cogito ha il suo cogitatum; il vissuto ”questo vissuto è presente, allora-in forza, si noti, dell’essenza sua propria -è anche eo ipso effettuato il riferimento intenzionale a un oggetto»(112). «Husserl, vorrei ricordare,  non ha mai pensato a una relazione reale-causale tra intenzionalità e oggetto. Forse è la onnicomprensività dell’intenzionalità che dispiace ai realisti, ‘il carattere onnicomprensivo dell’intenzionalità che genera sospetto o fastidio, a seconda dei casi, poiché urta contro il 'realismo' sia del senso comune sia filosofico e viene avvertito come fatalmente idealistico» (119). 
 Al sospetto di idealismo aveva già risposto con decisione lo stesso Husserl. Nelle Ricerche logiche la nozione di intenzionalità riceve uno sviluppo che la rende chiaramente connaturale e costitutiva della coscienza, essa sembra incarnare il principio che mantiene in equilibrio la soggettività e l’oggettività. Di Martino ripete che per Husserl non si tratta «di negare o revocare in dubbio l’esistenza del mondo reale, la sua robusta e autonoma consistenza, la sua “inseità”, bensì, al contrario, di fornire una chiarificazione adeguata, respingendo una intepretazione obbiettivistica del suo statuto, che si rivela problematica e alla fine insostenibile»(123). Non si dimentichi il valore dell’epoché; non si dimentichi ‘il senso dell’ epoché (sospensione della tesi di esistenza) e della riduzione fenomenologica (riconduzione dello sguardo ai puri fenomeni, alla nostra esperienza degli oggetti e del mondo)»(124); non si dimentichi la critica di Husserl all’obiettivismo scientifico; non si dimentichi, infine, come già detto, che Husserl è stato sempre lontano da ogni sorta di realismo ingenuo, in quanto tale segnato da psicologismo. D’altro canto, la costituzione intenzionale husserliana ‘non ha nulla a che vedere con la dipendenza ontologica del mondo e dei suoi oggetti dagli schemi concettuali di una soggettività o intersoggettività: essa riguarda la loro manifestatività, la loro apparizione e significatività»(139).
 In gran parte sono condivisibili le conclusive osservazioni di Di Martino che riguardano sia gli “oggetti naturali” sia gli “oggetti sociali”. Al di la di ogni dislocazione, di ogni anticipazione e/o successione, di ogni correlazione il mondo accade, ‘vi è una insuperabile contingenza (mio corsivo) del mondo e della correlazione (e della coscienza stessa)(146)’. La fenomenologia si rivela come una fedeltà alla originarietà e al primato, sia pure relativi, dell’esperienza»(ivi). 
Il saggio si intende nel suo insieme ripartendo dall’introduzione. Qui l’Autore ha già fissato chiaramente lo scopo del suo utile volume: offrire un contributo introduttivo alla fenomenologia di Husserl, fermare l’attenzione del lettore sulle nozioni di esperienza e intenzionalità, riaffermare che  la fenomenologia husserliana  non è in alcun modo né un soggettivismo né un idealismo nel senso abituale del termine.


Indice

Introduzione

Capitolo Primo. Doxa ed Episteme

Capitolo Secondo. Una Filosofia dell’esperienza

Capitolo Terzo. Intenzionalità e realtà 

Indice dei nomi

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