lunedì 27 ottobre 2014

Rella, Franco, Forme del sapere. L’eros, la morte, la violenza

Milano, Bompiani, 2014, pp. 205, Euro 20, ISBN 978-88-452-7684-2

Recensione di Tiziana Gabrielli - 04/09/2014

In un’epoca in cui sembra prevalere la tentazione del “neutro”, il volume di Rella costituisce invece un importante invito a una riflessione sul compito del pensiero e sulle sue radici e implicazioni etico-politiche. Sulle orme di Adorno e Foucault, infatti, l’autore richiama la necessità di un “lavoro critico del pensiero su se stesso” (pp. 40 e 186), di un pensare altrimenti (l’Andersdenken di Musil, su cui si era soffermato in uno dei suoi primi libri, Miti e figure 

del moderno, uscito nel 1981, p. 188), che possa riconsegnare la filosofia alla sua vocazione originaria. “La filosofia probabilmente – scrive Rella – deve dislocarsi fuori dal suo habitat quotidiano, muovendo in esilio dalle sue pratiche abituali, se vuole ritrovare la domanda profonda che l’ha generata, quella domanda che ha messo in campo l’amore e la morte” (p. 11). 
Il libro consta di sei capitoli intervallati da una sequenza di “assaggi”, di “approssimazioni”, che l’autore chiama “micrologie”, ovvero riflessioni a margine che interagiscono produttivamente con essi, e da un epilogo.
Nei primi due capitoli, intitolati rispettivamente “Una sublimazione imperfetta. Eros e conoscenza” e “Un cadavere eccellente. La nascita della filosofia”, Rella ripensa la questione della nascita della filosofia in due dialoghi fondamentali di Platone: il Simposio e il Fedone. Nel primo capitolo emerge come la via erotica alla sapienza, nel corso della storia del pensiero, da Platone a Goethe, da  Schopenhauer a Wagner e Nietzsche, da Mann a Musil, da Heidegger a Sartre, si trasformi in cinismo, tedio, disordine, abisso, vizio, depressione, noia, nausea, nichilismo, fino a rovesciarsi con Bataille in un eros che fonda il “non-sapere” e “anima l’esperienza interiore” (p. 30). Il merito di Bataille è certamente quello di aver tolto il confine platonico tra l’erotismo dei corpi e la spinta dell’anima, ma il suo limite, secondo Rella, è quello di non aver dato un fondamento politico al suo pensiero, come ha fatto invece Platone. Pertanto Bataille “vive nell’età del nichilismo senza la tensione profetica di Nietzsche. In un certo senso Bataille recupera la dimensione erotica che era assente in Nietzsche, ma non riesce ad articolare un’ipotesi ulteriore di nuova umanità, di oltreuomo” (ibidem). Ma è proprio da questo fallimento che occorre ripartire per cercare un nuovo inizio del pensiero. 
La morte di Socrate nel Fedone identifica l’altra genesi della filosofia immaginata da Platone. Nel secondo capitolo, infatti, Rella rilegge il tema della morte in rapporto al sapere e all’eros, prendendo in esame le riflessioni di Hegel, Kierkegaard, Nietzsche e, soprattutto, dell’ultimo seminario di Foucault, Il coraggio della verità (1984), in cui si legge il seguente brano: “la filosofia è il discorso ‘dell’irriducibilità della verità e del potere e dell’ethos ed è, al tempo stesso, il discorso della loro relazione necessaria, cioè l’impossibilità di pensare la verità (aletheia), il potere (la politeia) e l’ethos fuori da una mutua relazione essenziale e fondamentale tra questi tre livelli’ (…). È dentro questa tensione alla verità, dentro questa necessità politica e etica, dentro una filosofia che chiude in sé il paradosso, che emerge la figura di Socrate. Il Socrate morente e la sua eredità” (pp. 36-37). Va ricordato che, per Nietzsche, Platone non è che “uno dei giovani greci innamorati che s’inginocchiano adoranti ai piedi dell’immagine del Socrate morente”, benché alla fine entrambi ne riconoscano la sconfitta. “Dioniso – sconfitto nella Nascita della tragedia – ha vinto, dice l’ultimo Nietzsche, sul suo grande antagonista, Socrate. Lo stato e le leggi hanno vinto. L’atopia, l’extraterritorialità di Socrate sono state definitivamente sconfitte, dice Platone nella sua ultima opera, nelle Leggi” (p. 79).
Segue, nella forma di intermezzo, un terzo capitolo, “Micrologie I. Annotazioni su estetica e politica. Su arte e violenza”, in cui Rella propone alcune osservazioni sulla violenza che abita non solo la filosofia ma anche l’arte e la poesia. “L’opera disgrega e riorganizza la vita e la lettura critica disgrega l’opera e la ricompone nel suo universo di senso, attraversato però da altri possibili universi di senso. Pablo Picasso, ha scritto Gottfried Benn, nel Violino scomposto ha vibrato questo violino ‘come un’ascia contro questa realtà’. Ha fatto esplodere la vita e il mondo in frammenti e li ha poi ricomposti ‘a formare un violino di sangue’, a formare una nuova immagine del mondo” (p. 70). Nella Premessa Rella precisa: “È quella che Kafka chiama una zerstörende Aufbau der Welt, una costruzione che distrugge per poter dare forma al mondo. Questo capitolo porta nel suo titolo anche la parola ‘annotazioni’. Affronta infatti questa tematica usando un linguaggio volutamente frammentario. Mi pareva così di poter afferrare meglio la possibilità di definire la violenza necessaria al saggio per contrastare la volontà neutralizzante della filosofia e della politica dominanti” (p. 9).
Il tema del rapporto tra violenza e arte viene ripreso nel nono capitolo, “Micrologie IV. Colpe e punizioni”, in cui Rella, attraverso Proust e Kafka, mette in luce gli effetti più estremi della violenza artistica. Scrivere è “un servizio del diavolo” (p. 162), diceva Kafka, la cui opera è “uno dei più grandi tentativi di dire l’indicibile” (ibidem). Colpa e punizione, anche per questo. Così per l’opera di Beckett, Van Gogh e Kline, Bacon, Fontana e Rothko. La violenza è costitutiva dell’opera (come testimonia l’aforisma 58 della Gaia scienza di Nietzsche), ma anche della critica: da Steiner ad Adorno, da Musil a Bataille. Ne Il Canone Occidentale di Bloom la figura centrale del XX secolo è quella di Kafka. “Anche Nietzsche, filosofo col martello, – osserva Rella – , è percorso da una tensione violenta. Ma sembra che la punizione lui l’abbia scontata nel suo corpo, nella sua anima, nella sua mente. La sua opera invece si apre al dono: il dono dell’eterno ritorno, che è l’affermazione della vita, così forte da dire di sì a ciò che è nell’attimo che sto vivendo tanto da volerne la ripetizione, l’eterna ripetizione. È il dono di una gioia così profonda da riscattare anche il dolore” (p. 171). 
Nel quarto capitolo, “Ma è tardi, sempre più tardi. Il sapere nel Moderno”, Rella, ispirandosi alla categoria adorniana di “stile tardo”, riferita a Ludwig van Beethoven (categoria poi riarticolata da Said come “esilio”), affronta il tema della scrittura saggistica, attraverso cui si costruisce la forma del sapere moderno. Nella categoria di “stile tardo” Rella inscrive anche Tiziano e Rembrandt, Rimbaud e Baudelaire, Giacometti e Bacon, Beckett e Celan, Artaud e Pasolini. Per le figure dell’esilio ineludibili i richiami a Kafka, Milosz, Montale, Bataille e Benjamin. “Il saggio accademico conclude. Il saggio come modalità di scrittura e di pensiero non conclude mai” (p. 93). La filosofia saggistica non ha più la pretesa hegeliana di attingere una verità assoluta. “Anzi, come dice Benjamin, rompe la ‘falsa e aberrante totalità’ per riportarsi alla verità del frammento. Benjamin ha anche detto che l’allegoria moderna guarda all’allegoria del barocco. Noi possiamo dire che anche le teorizzazioni della scrittura saggistica – sue e di Lukács e di Adorno – guardano all’indietro, guardano a Montaigne e poi ovviamente a Nietzsche” (p. 9).
Il saggio è la grande scrittura teorica della modernità: da Michel de Montaigne a Benjamin (Dramma barocco tedesco), fino all’Adorno non solo di Minima moralia e Prismi, ma anche di Dialettica negativa, che infatti termina “appellandosi allo sguardo mitologico ‘che spezza la scorza di ciò che è irrimediabilmente individuato (…) e fa saltare la sua identità’, avviando dunque anche qui un avvicinamento dell’inavvicinabile che Adorno articola nel nome della metafisica nell’attimo della sua caduta” (p. 93).
Rella torna sulla questione della violenza dell’opera d’arte nelle sue annotazioni del quinto capitolo: “Micrologie II. La forza, la violenza. La forza delle immagini”. “L’arte delle ‘sfigurazioni’ del Novecento, da Giacometti a Bacon a Fontana, la poesia di Mallarmé ad Artaud, le narrazioni frammentarie da Kafka a Beckett e McCarthy mostrano come questa violenza agisca sul corpo stesso dell’opera, sul suo linguaggio” (p. 10). Del resto, è stato Foucault a illuminare il nesso violenza-potere. “È in questa direzione – afferma Rella – che sto cercando di muovermi. Due modalità di rappresentare la violenza. Come ha detto Ricœur, una modalità di eccesso e una modalità di scavo, di riduzione. Un andare verso il più e un andare verso il meno” (p. 112). 
Nel settimo capitolo, “Micrologie III. Del Leviatano e di altri mostri” viene radicalizzato il rapporto tra violenza e potere, attraverso l’analisi delle osservazioni di Pasolini in Petrolio sull’inesorabilità del potere. Petrolio è “un romanzo contro il potere, anche contro il potere della forma letteraria, che Pasolini ha tentato e sconvolto moltiplicando e ibridando tutte le forme possibili” (p. 141). Più avanti Rella scrive: “L’arte chiude in sé, come un tempio anche il mito, mostri. Sono i mostri che comunque possiamo agire contro l’immane mostro del potere, contro il Leviatano, il quale sembra non poter mai essere sconfitto. Eppure è attraverso le parole che le arti e le filosofie ci hanno insegnato che possiamo parlarne, metterlo in questione. Sono queste parole che ci hanno convinto a non esserne complici” (p. 144). 
Nel viaggio dell’uomo verso il postumano la nozione di soggetto risulta “ingombrante, pletorica” (p. 115). Del soggetto che si configura nella forma dell’“io” che narra o racconta che si occupa il sesto capitolo, “Narrazioni. Io racconto, io mi racconto”. Rella muove qui da una suggestione di Valéry sul parallelismo tra l’indefinibile della morte e l’indefinibile dell’io, per giungere, attraverso l’arte e la filosofia, a chi la scrive, tenendo sullo sfondo la domanda di Don De Lillo: “Quanto possiamo avvicinarci all’io senza perdere tutto?” (p. 116). La tradizione filosofica che da Descartes a Kant e Husserl ci ha restituito l’io come regolatore o come oggetto non ha colto il cuore dell’io, che è invece inabissamento, abiezione, vergogna ed esaltazione. Essere e nulla (Heidegger, Sartre, Kafka, Flaubert, Proust). Il tema della scrittura e il suo pathos implica necessariamente il confronto di chi scrive con il linguaggio. Rileggendo l’Odissea Rella dice che “scrivere è forse stare come Odisseo su un confine, sul bordo tra un dentro e un fuori, tra il qui e l’altrove” (p. 126). Nella narrazione di Descartes (Discorso sul metodo, Meditazioni sulla prima filosofia), di Hegel (Fenomenologia dello spirito), di Kierkegaard (Diario), e di Nietzsche (Così parlò Zarathustra), ciò che vale la pena sottolineare non è che le opere di filosofia siano romanzi, magari anche poco riusciti, bensì che “anche il pensiero filosofico, il pensiero che incide sulle nostre condotte intellettuali, emerga nel pensatore come una esperienza di pensiero. L’esperienza non è mai del tutto concettualizzabile. Contiene sempre un residuo” (p. 130). 
Nell’ottavo capitolo, “Di viaggi e di conquiste”, Rella, attraverso la lettura di Dante, cerca di definire come il soggetto si costruisce nel farsi dell’opera. C’è nel filosofo la convinzione della produttiva ibridazione tra filosofia e poesia, proprio sulla scia di Marsilio Ficino, che chiama il filosofo poeta, l’autore di una grande narrazione che fonda il sapere e un’immagine del mondo. “Dante, certo, – scrive Rella – fonda un sapere, e lo fonda attraverso l’amore e attraverso la morte. Questo è l’immenso confronto che apre a una modalità del conoscere, che non può essere definita propriamente filosofica o poetica, che attraversa la sua epoca così profondamente da non chiudersi in essa, ma a proiettarsi anche nel futuro. È attraverso Dante che Ezra Pound e Thomas S. Eliot penetrano nel mondo moderno e nelle sue tensioni e lacerazioni” (p. 158). Dante è esemplare in quanto “ha costruito un al di là che ha riempito con tutto il suo al di qua, dalla storia alla cronaca e al suo presente. Ha visitato i morti e tra i morti ha posto anche dei vivi, come se la lingua fosse in grado di imbrigliare anche il Leviatano” (p. 160).
Nel decimo ed ultimo capitolo, “Del neutro ovvero dell’inumano. Nella storia e nelle storie”, Rella, per sua stessa ammissione, fa emergere “il carattere non solo implicitamente politico” (p. 11) del suo testo, posizionandolo “contro il tema della neutralità del sapere, come rinuncia – quindi depotenziamento – alla dimensione implicitamente ma comunque implacabilmente politica sia dell’atto artistico che del saggio critico e filosofico” (ibidem). 


Indice

Premessa

I. Una sublimazione imperfetta. Eros e conoscenza

II. Un cadavere eccellente. La nascita della filosofia

III. Micrologie I.
      Annotazioni su estetica e politica. Su arte e violenza

IV. Ma è tardi, sempre più tardi. Il sapere nel Moderno.

V. Micrologie II.
     La forza, la violenza. La forza delle immagini

VI. Narrazioni. Io racconto, io mi racconto

VII. Micrologie III.
        Del Leviatano e di altri mostri

VIII.Di viaggi e di conquiste

IX. Micrologie IV.
      Colpe e punizioni

X. Del neutro ovvero dell’inumano.
     Nella storia e nelle storie.

Epilogo

Riferimenti bibliografici

Indice dei nomi

15 commenti:

Unknown ha detto...

Ringrazio per questa lettura acutab e esaustiva del mio libro.
Franco Rella

MAURO PASTORE ha detto...

Indice di opera recensita presenta preludi a teatralità e teatralità di realtà più decaduta che decadente ma recensore non si avvede di quanto vasta la rovina già in anno 2014.

Da quanto riporta recensore e da indice di opera in recensione stessa riportato si deduce restante, non riportata, ironia del contenuto dell'opera evidentemente solo nelle apparenze culturali accolta in recensione...

Tali apparenze sono un susseguirsi, che ha del tragicomico più per il giudizio – da critica non di critica del giudizio – e proprio per codesta riduzione a modalità filokantiane-non-kantiane convenzionali ed inaccettabili — inaccettabili, sempre di più — risolvendosi medesimo susseguirsi in una rassegna dal valore critico-storico indubbio e indubbiamente non storico-critico...

Ma da sola recensione ironia filosofica non trapela (non saprei se perché a recensore realtà impensabile quella ironizzata).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Senza dubbio la citazione-inclusione del testo di Foucault, contestualizzante, decostruente, perché Foucault forniva definizione storicamente dipendente del far "la filosofia" non dai tempi di Socrate ma ai tempi della Decostruzione, individuando nella figura storica di Socrate non in sua memoria l'antecedente ovvio della antimetafisica moderna e dell'antisocratismo ed antiplatonismo moderni, rende possibile definire una storia parallela, cui evento a ritroso relazionatosi ad evento di antica filosofia greca, in verità senza nessun diretto resoconto di morte de "il più grande dei sapienti" ma solo di condanna a morte — fu infatti certezza di molti, antichi, medioevali, moderni, di sopravvivenza di Socrate dopo assunzione del veleno e ciò è quanto di unicamente plausibile dalla comparazione dei racconti biografici: nulla di Platone moriva in Socrate, niente Socrate sapeva di Platone – Socrate amò Platone in assenza di costui...  questo, fuor di sessuofobica e astorica interpretazione e se consentito da ambiente culturale abbastanza libero e vivo e discreto, significa che Socrate si congiunse con Platone dopo esser rimasto illeso dal veleno anzi avendone (del tutto) prima usato per capire suoi saperi nonostante tutto non ancora già abbastanza aperti a filosofici moventi più radicali.

Dunque si tratta di capire che il cadavere eccellente incluso da autore di opera recensita in indice (riportato in recensione) è il simulacro di una falsa identità culturale che in realtà non è fatta di stesso evento cui essa però si presenta falsamente unita... Non a caso molti sono stati e ancora sono come attratti da quella morta eccellenza ed etnofobicamente avendo tentato ed ancora tentando di propinare — anche ad illustri uomini di cultura quali il filologo Nietzsche — idee sbagliate su persone della Antica Ellade e cercando di spacciare per vitali quelle che invece sono contemporanee crisi di vitalità (nonché) delittuosamente invadenti contro vitalità autentica (si pensi, ad esempio, alle vanterie di dissoluzione-distrazione ed agli avvicinamenti importuni di professori di greco o studiosi di grecismo in tentativo di fingersi etnicamente greci (cioè senza esserlo e non avveduti quindi) ed ellenici per far da mostri ed ingiuriando chi etnicamente greco ed ellenico, invero i malcapitati di solito alunni od allievi medesimi contro cui poi anche molti scellerati (di ugual o diverso ruolo) attorno fingendo di essersi congiunti... e contro le stesse vittime poi quasi certe le minacce dei tormenti della malasanità ed il tutto quasi (!) sempre impossibile a denunciarsi in tempi e luoghi burocraticamente conformi, a causa di contrarietà di ambienti troppo vasti... Ho fatto esempio utile!).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Platonismo, oltreplatonismo, non platonismo: di uscir fuori da un disinganno ne hanno bisogno coloro che non avevano a che fare con tanti tali inganni, cui filosofia oppose un solo rimedio; altri in parte fuoriuscirono per altro più vasto rifiuto, altri ancora per errore e costoro furon raggirati dalle occultazioni storiche culturali. La vicenda della fine di una umanità, tragicamente termine di una antropologia, che è descritto dalla metafora "morte dell'Uomo", di solito appaiata all'altra "morte di Dio", si interseca coi conflitti culturali e storici su Platone, platonismo, neoplatonismo...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Il pensiero di opera di autore recensito ha un valore storicamente piuttosto determinato e confinato. Questi i confini esterni ad itenerario fondamentale di autore recensito:


Se Umanesimo e Rinascimento furono già decisivo grande termine antropologico, si può affermare che l'Evo di Mezzo si concluse anche con nuova umanità, proprio quella che G. Bruno definiva col latino premoderno Homo Novus e che aveva iniziato a vita e per vitali polemiche anche.

Si era ancora in Età del Rinascimento quando pareva tal stesso Evento precipitato in irredimibili contraddizioni sociali e politiche e le Corti politiche europee socialmente più attive poi anche gli ambienti religiosi impegnati socialmente e politicamente erano in procinto di destituire i poteri esclusivamente europei, in Gran Bretagna volgendosi ad ipotesi americane, in Germania a proposte eurasiatiche; tra coloro che non volevano questo esito il più attivo infine era stesso Bruno, con sorpresa o meraviglia di tutti gli studiosi politici ed osservatori sociali Egli estremo fino ad accusare i modi di esistenza di parte della umanità europea, raggiunta da critiche, non solo retoriche anche decisamente politiche e socialmente irresistibili tramite poteri repubblicani, aristocratici od oligarchici.
L'ironia su umanità socialmente decaduta era in università e scuole spinta con aiuto dei suoi seguaci fino alla pacifica invasione ed emarginazione di coloro che insistendo a restare i medesimi erano accusati di suicidio postumo collettivo. Ma ad esser determinante ovviamente fu la creazione di una fatale alternativa che non era da scegliere perché era un destino migliore ed evidentemente tale! (Tra anglicanesimi e calvinismi, Giordano Bruno poi finiva in ristrettezze in tutto comprensibili solo e proprio anche entro considerazione dei nuovi tempi!)

...Parimenti la rabbia di Martin Lutero contro le mire sioniste asiatiche-eurasiatiche, dapprima egli nei limiti della prudenza, poi fino a confonder oggetto di odio e proprio pensiero, da antiumanista fino ad antiumanitario — dimenticando non tanto l'esistere ma il senso dell'esistere di coloro del tutto estranei, fino a non comprensività, alla eredità storica del cosiddetto "peccato originale" e non privi di sapere o poter sapere sulla realtà di esso — e con la stessa rabbia impotente ed anche purtroppo da torti raggirata e dunque accresciuta! Lutero poneva in essere nel dramma di antireligiosità reciproca un passaggio ad altra antropologia, solo con suoi pentimento e moderazione risoltosi in possibilità di umanità moderna anche per la religiosità in Germania e Zone germaniche più o meno limitrofe; ed i saggi non imputavano più per torti le giudaiche mire politiche orientali, perché l'esito finale era anche superando torti di oppositori... Dunque lo sproposito momentaneo di Lutero era un indicare se non dire di metafora di Morte di umanità, ma tutto poi era terminato coi poteri anche religiosi della Modernità...
Questa in fase avanzata accettava ed autorealizzava proposta di antropologia religiosa alternativa, di trasformazione e abbandono e creazione, mentre in Età del Rinascimento si trattò solo da parte di essa di integrare anche religiosità in Evo Moderno.

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Codesti i limiti interni di itenerario fondamentale di autore recensito:

Per F. W. Nietzsche a morire era concezione cristiana del Dio; ma polemizzando contro teologo liberale David Strauss non era questi quasi anonimo impensabile, lo era proprio chi polemizzava, dopo che era stata proclamata fine di umanità religiosa cristiana tradizionale determinatamente proprio da Strauss.
Tali fatti si conclusero con nascita dei nuovi pagani non con rinascita di tradizionale umanità cristiana né con fine di possibilità umana e cristiana europea occidentale; ma obiezione antireligiosa non solo polemica nel frattempo era stata già mossa, poi fino alla avversione dei marxiani e di marxismo. Durante la preannunciata crisi economica della Guerra Fredda, in anni '70 del Secolo Ventesimo, le opposizioni economiche politiche dell'ateismo comunista antropologicamente rivoluzionario restavano senza occasione economica preponderante e — a dispetto di previsioni socialmente accreditate ovunque — col Sistema Capitalista ancora in funzione in circà metà di istituzioni statali del mondo. Fu così... anche col poter mangiare fagioli ancora al modo dei cercatori d'oro del "West" americano... , che a finire fu l'antropologia atea!
Questa ultima in Occidente sorta ai tempi di Socrate ma consistente dai tempi del neoplatonico Giuliano detto l'Apostata e da Medio a Moderno Evo fattasi forza non anonima quindi influente in società culturali poi politiche; in Oriente legata ai tempi antecedenti alla saggezza del Buddha ed al perdurare di questa, solo intellettualmente anche atea, antropologia culturale atea si dissolse politicamente nel Tibet con la resistenza contro gli aiuti militari cinesi coloniali ed il rifiuto di egide militari americane localmente istituite... Restata sola egida non colonia cinese in Tibet, terminava la manifestazione atea antropologica, da non confondersi con condizione semplice di ateismo, questa opzione sempre possibile.

In ultima analisi, la fine antropologica che la Decostruzione filosofica ha previsto e cui si è provvista dopo fine di assolutezza atea, è un termine non di differenze ma di eguaglianze, causato dalla necessità di una antropologia religiosa che possa consistere cioè non confliggere per propria intrinseca debolezza autodistruttiva.
Questo è quanto prevedeva Aristotele ed intravedeva Alessandro Magno, a fronte delle garanzie per la necessità di naturalità civile in Oriente; ed è quanto rese fatale il vitalismo del cristianesimo bizantino per intero mondo in relazione con tali fatti ed esigenze, anche con le colonie siberiane - americane (storia assai poco nota o miscosciuta).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In ultimo messaggio 'itenerario' sta per:

itinerario.

Invierò testo con questa correzione e con miglioramento cioè precisazione di espressione specificativa.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

*
Codesti i limiti interni ad itinerario fondamentale di autore recensito:

+
Per F. W. Nietzsche a morire era concezione cristiana del Dio; ma polemizzando contro teologo liberale David Strauss non era questi quasi anonimo impensabile, lo era proprio chi polemizzava, dopo che era stata proclamata fine di umanità religiosa cristiana tradizionale determinatamente proprio da Strauss.
Tali fatti si conclusero con nascita dei nuovi pagani non con rinascita di tradizionale umanità cristiana né con fine di possibilità umana e cristiana europea occidentale; ma obiezione antireligiosa non solo polemica nel frattempo era stata già mossa, poi fino alla avversione dei marxiani e di marxismo. Durante la preannunciata crisi economica della Guerra Fredda, in anni '70 del Secolo Ventesimo, le opposizioni economiche politiche dell'ateismo comunista antropologicamente rivoluzionario restavano senza occasione economica preponderante e — a dispetto di previsioni socialmente accreditate ovunque — col Sistema Capitalista ancora in funzione in circà metà di istituzioni statali del mondo. Fu così... anche col poter mangiare fagioli ancora al modo dei cercatori d'oro del "West" americano... , che a finire fu l'antropologia atea!
Questa ultima in Occidente sorta ai tempi di Socrate ma consistente dai tempi del neoplatonico Giuliano detto l'Apostata e da Medio a Moderno Evo fattasi forza non anonima quindi influente in società culturali poi politiche; in Oriente legata ai tempi antecedenti alla saggezza del Buddha ed al perdurare di questa, solo intellettualmente anche atea, antropologia culturale atea si dissolse politicamente nel Tibet con la resistenza contro gli aiuti militari cinesi coloniali ed il rifiuto di egide militari americane localmente istituite... Restata sola egida non colonia cinese in Tibet, terminava la manifestazione atea antropologica, da non confondersi con condizione semplice di ateismo, questa opzione sempre possibile.

In ultima analisi, la fine antropologica che la Decostruzione filosofica ha previsto e cui si è provvista dopo fine di assolutezza atea, è un termine non di differenze ma di eguaglianze, causato dalla necessità di una antropologia religiosa che possa consistere cioè non confliggere per propria intrinseca debolezza autodistruttiva.
Questo è quanto prevedeva Aristotele ed intravedeva Alessandro Magno, a fronte delle garanzie per la necessità di naturalità civile in Oriente; ed è quanto rese fatale il vitalismo del cristianesimo bizantino per intero mondo in relazione con tali fatti ed esigenze, anche con le colonie siberiane - americane (storia assai poco nota o miscosciuta).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Sono dispiaciuto di inconveniente di scrittura...

che (ancora!...) dipende da noie non solo a me arrecate delittuosamente da altri e durate tanto tempo e necessitantimi altre urgenti attenzioni alternative...
alle noie arrecatimi non ho voluto opporre maggior impegno per mio filosofico senso del limite ed istintiva mia saggezza, anche perché Internet non è una libreria...

allora sia bastato ultimare questa mia piccola fatica di stamattina con altro invio.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In mio quarto messaggio 'itenerario' sta per:

itinerario.

Invierò testo con questa correzione.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

**
Il pensiero di opera di autore recensito ha un valore storicamente piuttosto determinato e confinato. Questi i confini esterni ad itinerario fondamentale di autore recensito:

++
Se Umanesimo e Rinascimento furono già decisivo grande termine antropologico, si può affermare che l'Evo di Mezzo si concluse anche con nuova umanità, proprio quella che G. Bruno definiva col latino premoderno Homo Novus e che aveva iniziato a vita e per vitali polemiche anche.

Si era ancora in Età del Rinascimento quando pareva tal stesso Evento precipitato in irredimibili contraddizioni sociali e politiche e le Corti politiche europee socialmente più attive poi anche gli ambienti religiosi impegnati socialmente e politicamente erano in procinto di destituire i poteri esclusivamente europei, in Gran Bretagna volgendosi ad ipotesi americane, in Germania a proposte eurasiatiche; tra coloro che non volevano questo esito il più attivo infine era stesso Bruno, con sorpresa o meraviglia di tutti gli studiosi politici ed osservatori sociali Egli estremo fino ad accusare i modi di esistenza di parte della umanità europea, raggiunta da critiche, non solo retoriche anche decisamente politiche e socialmente irresistibili tramite poteri repubblicani, aristocratici od oligarchici.
L'ironia su umanità socialmente decaduta era in università e scuole spinta con aiuto dei suoi seguaci fino alla pacifica invasione ed emarginazione di coloro che insistendo a restare i medesimi erano accusati di suicidio postumo collettivo. Ma ad esser determinante ovviamente fu la creazione di una fatale alternativa che non era da scegliere perché era un destino migliore ed evidentemente tale! (Tra anglicanesimi e calvinismi, Giordano Bruno poi finiva in ristrettezze in tutto comprensibili solo e proprio anche entro considerazione dei nuovi tempi!)

...Parimenti la rabbia di Martin Lutero contro le mire sioniste asiatiche-eurasiatiche, dapprima egli nei limiti della prudenza, poi fino a confonder oggetto di odio e proprio pensiero, da antiumanista fino ad antiumanitario — dimenticando non tanto l'esistere ma il senso dell'esistere di coloro del tutto estranei, fino a non comprensività, alla eredità storica del cosiddetto "peccato originale" e non privi di sapere o poter sapere sulla realtà di esso — e con la stessa rabbia impotente ed anche purtroppo da torti raggirata e dunque accresciuta! Lutero poneva in essere nel dramma di antireligiosità reciproca un passaggio ad altra antropologia, solo con suoi pentimento e moderazione risoltosi in possibilità di umanità moderna anche per la religiosità in Germania e Zone germaniche più o meno limitrofe; ed i saggi non imputavano più per torti le giudaiche mire politiche orientali, perché l'esito finale era anche superando torti di oppositori... Dunque lo sproposito momentaneo di Lutero era un indicare se non dire di metafora di Morte di umanità, ma tutto poi era terminato coi poteri anche religiosi della Modernità...
Questa in fase avanzata accettava ed autorealizzava proposta di antropologia religiosa alternativa, di trasformazione e abbandono e creazione, mentre in Età del Rinascimento si trattò solo da parte di essa di integrare anche religiosità in Evo Moderno.

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ribadisco: sono dispiaciuto di inconveniente di scrittura...

che (... ancora!...) dipende da noie non solo a me arrecate delittuosamente da altri e durate tanto tempo e necessitantimi altre urgenti attenzioni alternative...
alle noie arrecatimi non ho voluto opporre maggior impegno per mio filosofico senso del limite ed istintiva mia saggezza, anche perché Internet non è una libreria...

allora sia bastato ultimare questa mia piccola fatica di stamattina con altro invio.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Figura, di Socrate morente;
aletheia, politeia, ethos,
in esemplarità ideale che legame a sola figura fa anche reale, dacché concrete istanze di una dialettica triadica, ridiventano astratte nel ritornare alla domanda originaria sul senso della figura storica; e se non parallela né comunicante la presenza, in una memoria storica, del personaggio stesso, senza ricordo quindi e soltanto il parallelo a fare da motivo di senso storico per attuale; se dunque tal parallelo impossibile di essa tutto ridiventando inutilmente ideale...
Allora ritornare a vagliare le storie parrebbe (solo, parrebbe) controsenso e proprio di chi vuole ritornarne poiché ha per motivazione il senso di vuoto che pur avverte datagli relazione non solo costruita ed arbitraria con quel passato; ma che ad altri senza tal relazione non può o non deve manifestarsi, dunque le parvenze, anche sociali, diventando illusorie se a realtà e idealità nessuna forza di disinganno...
Non essendone a tutti interessante la aneddotica (a rigor di logica storica, solo questo è il racconto di quella morte poi che davvero senza il racconto del morire), allora la figura del Socrate morente risulta dispensatoria di forza a chi ne fraintende il senso, raddoppiandosi illusioni di cultura e società; ma cosa veramente?, a chi deve affrontare il futuro dal riconoscere il passato concreto, parziale o non, del suo mondo?
Fino ad alcuni anni orsono, accadeva necessità quasi assoluta di ricostruire vicenda di forze del pensiero per intendere dubbi socratici e saggezza platonica; potendosene intuire con neoplatonismo, o forse altrimenti; ed ancora ne è utile, forse bastante; ma continuità a rifiuto di interezze di patrimoni culturali e ostinate interpolazioni, o peggio presenze non comuni in altrui esclusive comunanze, posson esser a lor volta rifiutate, o nientificate, col riconoscere non potenza della reazione, quella positiva ma ostile, ad aneddoto socratico; con interrogarsi, da parte di chi in bisogno ed in grado, su valore di tal aneddoto, a scopo non più incerto e di un potere diretto, da storia ad attualità...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Come mai
aletheia, politeia, ethos,
sono una dialettica utile per tanti contemporanei e per tanti altri inutile, e cosa emerge dalla analisi del passato?
Perché filologicamente non se ne trova dialettica possibile, perché antropologicamente se ne trova possibilità, perché non possibilità se ne trova etnologicamente?
Senza parallelo, emerge dal passato mentalità di una ostilità contro il pensiero greco; etnofobia, umanità estranea, ma fino a non poter esser essa protagonista né antagonista; una logica dunque di vita, ovvero ricerca vitale di conoscenza di ragioni, entro procedere vitalmente dialettico...
tutto l'opposto della debolezza al veleno e del trionfare delle incomprensioni reciproche; emerge cioè la mera idealità della figura del Socrate morente, dopo cui può manifestarsi la piena realtà della figura del Socrate moribondo non morente; dopo ancora, da intuizione seconda, su stessi poteri dialettici di elementi storici non su idee, rivelandosi figura di Socrate non morente...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Forse da buttar via tutte le meditazioni senza storica significanza?
In verità nella storia della Filosofia non sono state mai prevalenti sulle riflessioni confinate in astrattezza; ed il grave rifiuto antioccidentale dal proporre rifiuto di astrattezza passava al negarne la concretezza; anche con stesso 'niccianesimo' e dopo proprio con marxismo.
Mentre però Nietzsche si limitava a menzione di disvalore di quella figurale morte, altri a quei tempi in Germania ne tentavano trastullo per omofobici e avvelenatori; frattanto Marx era fuoriuscito da movimento comunista-marxista e questo poi avendo fatto porre al bando; allora vitalismo individualista e materialismo operaio avevano designificato la sorta di liturgia erotica-funebre allegata alla riproposizione dell'aneddoto della morte di Socrate...
Da ciò, o perdita di senso o di memoria storica, o ritorno implicito di entrambi; e non diversamente da astrazioni classiche moderne, solo che in non classicità intellettuale e non radicalità storica senza concretezze future; di ciò, differenza, che o il nichilismo o il materialismo voluti da antioccidentalismo, apprezzavano o stimavano; ma solo quel che di provvisorio –e foss'anche antioccidentale critica e non totale pur se ad interezza – poteva restare con un senso!
Dalla fortuna del "Così parlo Zarathustra" di Nietzsche – alle fortune del "Siddharta" di Hesse –non c'era alcunché che negasse e subissasse le storie greche della Ellade – né restavano giudizi contro revisioni storiche.
Queste, parendo agli stolti, esser senza futuro (specialmente dopo accaduti recenti (non solo francesi) di norme politiche per la tutela dei racconti pubblici (e la semitutela, di quelli semipubblici) sui torti della violenza totalitaria) invece ne diventavano e ne sono più semplici - od ugualmente complicate a prima.
Ragion per cui, nei non significanti elucubrativi labirinti, in definitiva pseudosocratici o non-socratici, di ultimi decenni filosofici contemporanei, si può scorgere un campionario di controesempi: ad ogni inottemperanza storica, corrispondendo una ottemperanza di cronaca —non sempre involontaria— a realtà di violenza –ed in cotali casi anche a venefici – totalitaria.
Non Socrate fu veramente quel morto (non fu veramente morto!), i persecutori accaniti non esistiti (in quel passato); allora logicamente e dialetticamente si profilano del presente vere, altre soggettività criminali e di altri accadere:
tiponimie, non tipologie ovviamente;
di probabili o finanche provabili: sgherri nazisti, sgherri comunisti, sgherri fascisti, sgherri franchisti; ma senza alcuna vana visione di morte metafisica a trattenere menti di difensori della vita.


MAURO PASTORE