venerdì 10 ottobre 2014

Sturlese, Loris, Filosofia nel Medioevo

Roma, Carocci, 2014, pp. 119, euro 11, ISBN 978-88-430-7171-5. 

Recensione di Giovanni Basile - 19/06/2014 

Un testo di circa 120 pagine che ha per titolo Filosofia nel Medioevo, dovrebbe avere come sua essenza descrittiva il termine “sintesi”. Ma questo lavoro di Sturlese tutto può definirsi fuorché, semplicisticamente, una “sintesi”. In realtà “approfondimento”, spesso usato come contrario del termine “sintetico”, si addice meglio al testo che qui presentiamo. Se è vero che “l’onestà è la virtù del filosofo”, il Nostro autore, già nella sua nota introduttiva, onestamente pone l’accento sulle “discussioni ideologiche”

nate attorno alla storia della filosofia medievale (p.9). Non manca infatti  di ricordare che questo periodo storico, che si dispiega lungo circa mille anni (500 – 1450), è stato tratteggiato in modi molteplici e spesso discordanti: da secolo buio, a culla del pensiero cristiano d’Europa, a segno di continuità, o di discontinuità, con l’epoca rinascimentale. Questo calderone di interpretazioni circa il vero senso del medioevo ha creato “fazioni” ed interpretazioni che hanno nuociuto ad una comprensione dell’età medievale, della sua effettiva portata e del reale ruolo che il pensiero dei medievali ha avuto sullo sviluppo della filosofia successiva. Sturlese non nega la possibilità di cadere in questa trappola ermeneutica e per tale ragione cerca di tirarsene fuori il più possibile, riducendo “al minimo l’influenza di preconcetti teoretici e ideologici sul lavoro storiografico attraverso la determinazione dell’oggetto di questa presentazione in modo storico-descrittivo e non teoretico-valutativo” (p. 10). Per tali ragioni il lavoro di Sturlese si concentra sugli eventi storici e le coordinate geografiche in cui nascono e crescono gli autori, lasciando trapelare il pensiero stesso dei filosofi, tenendo così a debita distanza le  “valutazioni” sugli stessi. Questa prospettiva d’analisi della storia della filosofia, che potremmo tentare di dire “neutra”, impone al lettore “pratico” della materia storiografica una chiara visione e comprensione dei tempi e dei luoghi, senza dover fantasticare sui pensatori e sulle loro vicende; umane e/o spirituali. Sturlese spinge a far emergere tutto il medioevo, nel suo avvicendarsi di lingue, regioni e religioni. Il medioevo delle figure imponenti, (come i soliti noti Anselmo, Bernardo, Tommaso…) si completa con linguaggi, storie e geografie che, di solito, restano ai margini della “grande” storia del pensiero medioevale. Qui non si presenta una “piccola” storia della filosofia nel medioevo, ma il pensiero medievale. I punti cardine delle pagine del libro di Sturlese diventano, oltre i personaggi, il tempo, i luoghi ed i linguaggi di un’epoca che pur non conoscendo la vastità temporale dell'età antica, ha inaugurato il tempo dello sviluppo di molteplici ed importanti centri del pensiero. 
Si parte da Ravenna ma non ci si dimentica di Alessandria, (pp. 13- 21). Il Nostro inizia dalla figura di Boezio (p.13), (classico  autore con il quale iniziano, in genere,  i manuali di storia della filosofia medievale), ma da subito si fa notare al lettore come ciò significhi centrare l’attenzione primariamente sul mondo latino. La reale situazione in cui  versava l’orbe filosofico fra il VI e l’VIII secolo è invece radicalmente differente. Da qui in poi la domanda sottointesa di Sturlese, “Ravenna o Alessandria?”, diventa il corretto nome da dare al primo capitolo. Riversandosi su Alessandria, il medioevo acquista  nuovi colori e nuove lingue. Non solo latino quindi, ma anche greco. Il medioevo dei secoli IX e X invece ci apre all’altra grande area linguistica: l’arabo (p. 23). In linea con gli intenti dell’opera, il secondo capitolo (pp. 23-34) guarda verso Bisanzio e la Mesopotamia. Non ci si dimentica certamente dell’epoca carolingia e delle discussioni di carattere teologico e filosofico di questa epoca, “ma se si confronta l’Occidente con l’Oriente, non sembra proprio esserci paragone”(p.23). Certamente c’è un fil rouge che collega Oriente ed Occidente, e questo è rintracciabile soprattutto nell’ansia di regolamentare la vita dei singoli e della società. Bagdad e Bassora diventano i luoghi che ci conducono alla comprensione  della “diffusione dell’Islam”. Figure di spicco furono quelle al-Kindi, al-Razi e al-Farabi,  pensatori che non possiamo semplicisticamente chiamare filosofi islamici. Questo perché i temi e le riflessioni proposte si possono benissimo inscrivere entro nuclei di riflessione non esclusivamente confessionali. Qui non si tratta di sacerdoti ma di “pensatori arabi”; “araba è infatti la lingua nella quale, in questo mondo, la filosofia si scrive” (p. 29). Il capitolo successivo (pp. 35-44), il terzo del volume, porta il lettore all’ingresso dell’undicesimo secolo, fatto di “medici persiani e abati benedettini latini” (p. 35). Questa chiarificazione esplicita ulteriormente come la separazione tra Oriente ed Occidente fosse determinata in parte anche dalla differente estrazione culturale. Se in Oriente ancora assistiamo ad una formazione dei filosofi legata ai luoghi classici del sapere, quali le corti, i privati precettori e le accademie (p. 35), in Occidente, sempre quello latino, si assiste ad “una totale clericarizzazione della cultura” (p. 35). Il percorso geografico prosegue, sempre da Oriente, toccando Buchara e Nishapur. Si intraprende questo viaggio presentando l’imponente figura  di “Abu Ali Hosayn ibn Sina, Avicenna per i latini […] figura chiave nella storia della cultura filosofica del Medioevo di lingua araba”. Poi ci si sposta verso Bassora (pp. 38 - 39) fino ad arrivare a Saragozza e Valencia, soffermandosi alla figura dell'ebreo sefardita Avicebron. L’Occidente non manca, almeno nel commercio, di guadare al mondo arabo, anche se una gran parte dell’Occidente resta ancora profondamente incline all'Oriente greco. L’XI secolo per l’Occidente è tempo di profonde discussioni teologiche (si ricorda Berengario di Tour e la questione della presenza reale di Cristo nell’eucaristia) e di figure che col tempo diventeranno imponenti; fra i tanti, Lanfranco di Pavia ed Anselmo d’Aosta (pp. 41 - 44). Si prosegue secolo per secolo, arrivando così alle soglie del XII. Con il motto “Orientale lumen” si apre il capitolo IV (pp. 45-57). La parabola che viene declinata da Sturlese precisa come in questo secolo i ruoli di Oriente ed Occidente si contendano adesso le due grandi “scienze”: teologia ad Oriente e filosofia ad Occidente. In Spagna, a Cordova, avanzano figure imponenti come quelle di Ibn Rushd, per i latini Averroè, e Mosè ben Maimon (Maimonide). Medici famosi, entrambi avevano in comune una “assoluta fiducia nel metodo scientifico razionale” (p. 48) ma anche una grande difficoltà “ad accettare i molti antropomorfismi e le interpretazioni clericali imperniate sul senso della Scrittura” (p. 48). Cordova si conferma così una città di intensi progressi culturali, ma anche centro di rischiose intolleranze religiose, dettate soprattutto dal trionfo  della dinastia degli Almohadi, “una dinastia orientata al rigore religioso” (p. 49). La presentazione del secolo dodicesimo si apre alla descrizione di innumerevoli pensatori arabi e latini che vengono a moltiplicarsi soprattutto grazie alla immensa fruibilità dei testi dei pensatori classici, tradotti e commentati ormai in abbondanza. A contribuire alla diffusione del sapere c’è anche la nascita delle scuole, legate principalmente alla figura di un maestro retribuito da studenti. Nella figura di Pietro Abelardo, Sturlese, ritrova la sintesi di quel maestro cittadino che adesso viene a strutturarsi fuori dalle scuole cattedrali. Lo sviluppo delle scuole extra cattedrali favorì lo sviluppo di interpretazioni razionalistiche sulla creazione dell’universo. Con Guglielmo di Conches (p. 54-55) “sale sul proscenio della filosofia medievale in Occidente un nuovo tipo di intellettuale: una figura sino ad allora conosciuta soltanto al mondo islamico, e cioè quella dello scienziato che opera a corte” (p.55) e che porta alla ribalta una cultura, sempre più, laica. Proprio questa dinamica fatta di plurime  interpretazioni, pone la “filosofia” a delinearsi come un sapere aperto a nuovi modelli, modelli che vengono discussi e dibattuti (pp.56-57). L’ago della bilancia si va spostando verso Occidente, quello latino, e si assiste ad un mondo Arabo che lentamente inizia a perdere “potere”. I centri culturali nel XIII (pp. 59-80) secolo passano da Reims, Laon, Salerno o Chartres a quelli di Bologna, Oxford e Parigi. Propriamente Parigi diviene il centro degli interessi filosofici e teologici del XIII sec. Centro di nuovi dibattiti filosofici e di una rinnovata lettura delle opere di grammatica e logica aristotelica, Parigi diventa in breve tempo centro di vivaci e dibattiti teologici che si conclusero con il bando delle opere di autori quali Davide di Dinant e Sigieri di Brabante (pp.62-63) e di quei pensatori che si rifacevano alla autorità di Averroè. Altri paesaggi filosofici vengono delineati da Sturlese. Si tocca ovviamente l’Inghilterra di Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone,  ma in questo lungo cammino del XIII secolo, non si dimenticano le periferie del sapere: da Bisanzio a Colonia, fermandosi a Napoli, Maiorca e Palermo (pp. 75-80).  Il secolo XIV, si pone quale secolo in cui la terminati gli scontri e le controversie, ci affaccia verso un panorama culturalmente sereno, dato dalla garanzia di stessi programmi e metodi di insegnamento. Il pensiero del secolo XIV si apre adesso verso il Rinascimento e la Riforma (p. 82). Centri di interesse sono ancora l’Inghilterra  di Duns Scoto e Guglielmo d’Ockham, la Francia di Giovanni di Jandun e dell’agostiniano Gregorio di Rimini. Ma c’è anche la Germania di Dietrich di Freiberg e di Eckahart di Hochheim; (non possiamo non ricordare che Sturlese è un profondo conoscitore del medioevo tedesco e dei secoli XII-XV). La conclusione del testo si apre con la più classica delle domande: “quando finisce il Medioevo, e quando finisce la filosofia medievale?” (pp. 103-107) La risposta si trova dentro tutto il testo di Sturlese. Se letto attentamente il lettore, alla fine non dovrebbe nemmeno chiedersi “quando finisce…”; infatti scoprirne la fine non serve a molto e non serve nemmeno poi a tanto la forte affermazione di É. Gilson, il quale scriveva che “per tutto il pensiero Occidentale, ignorare il suo Medioevo significa ignorare se stesso”. Sturlese non ci da una risposta, ma ci invita ad aprirci alla comprensione del problema analizzando il Medioevo a “segmenti regionali […] per discoprirvi volta per volta continuità e rotture, vecchi e nuovi punti di vista, domande e risposte” (p. 104). L’affermazione appena riportata è il cuore del testo di Sturlese: localizzando si va scovando un terreno medievale che parrebbe ancora sommerso. Strurlese riesce in questo libro a darci il “profumo” del pensiero medievale. 


Indice 

Introduzione                                                                                                

1. Ravenna o Alessandria? Filosofia in greco e in latino fra VI e VIII secolo                         
Da Atene a Bisanzio: le scuole in Oriente                                                                 
L’Occidente latino: Ravenna, Siviglia e Jarrow                                                         

2. La diffusione dell’Islam: l’arabo come terza lingua della filosofia. I secoli IX e X                
La filosofia araba in Oriente: Bagdad e Bassora                                                         
La filosofia in Occidente: le discussioni alla corte imperiale                                        

3. Medici persiani e abati benedettini latini. Il secolo XI                                                 
I filosofi fra Buchara, Nishapur e Saragozza                                                         
Filosofia e antifilosofia in Occidente                                                                 

4. Un Rinascimento nel mondo latino? Il secolo XII                                                
Ascesa e declino delle élite intellettuali in al-Andalus                                            
Ai confini delle culture: traduzioni e traduttori                                                        
Le scuole di Francia                                                                                         

5. I Latini e il sapere pagano. Il secolo XIII                                                             
La filosofia nelle università                                                                                
Paesaggi filosofici: Parigi                                                                                
Paesaggi filosofici: l’Inghilterra                                                                         
Alla periferia del sapere: Bisanzio, Napoli, Maiorca, Colonia:                                         

6. I Latini fra di loro. Il secolo XIV                                                                         
La “via dei moderni”                                                                                     
Il “profumo filosofico” di Parigi                                                                     
“Uomini divini” in Germania                                                                         
Discussioni in greco, in arabo e in ebraico                                                                 
Le città italiane e gli inizi dell’Umanesimo                                                                 

Conclusione. Il secolo XV                                                                             

Bibliografia essenziale                                                                           

Indice dei nomi   

1 commento:

MAURO PASTORE ha detto...

A giudicare da indice qui accluso e da argomenti elencati da recensore, con stima storica diversa da quella di recensore stesso si direbbe proprio sintesi o, in alternativa, nel caso non si appartenga a culture europee-mediterranee, direbbesi quasi-divagazione. Mi spiego:
A considerare il Medio Evo da punto di vista postmoderno ed inconsapevole la storia si manifesta senza rivelarsi ed allora le sintesi storiche parrebbero approfondimenti e tali risultano se l'interesse resta entro memoria storica della postmodernità, inoltre se lo storico non si limita a delineare i rapporti europei con la cultura islamica ma riferisce anche delle relazioni islamiche con l'Europa dunque i prospetti si allargano e richiedono la sintesi per necessità, ma ciò diversamente appare ad intellettualità in un modo o in altro postmoderna, cui non pare la storia islamica un punto di partenza valutabile perché altrimenti ce ne sarebbe, postmodernamente, da mutare appartenenze storiche e proprio in islamiche! Con ciò non sto invitando il recensore ad islamizzarsi o pentirsi della sua stima, ma ne sto evidenziando non oggettività di stima.

Nella recensione altresì si trova notizia non esatta su Avicebron. Infatti costui non fu mai ebreo e solo provvisoriamente partecipante a giudaismo culturale non religioso poi abbandonato proprio per insostenibilità a rapportarsi con soddisfazione, da parte di stesso Avicebron cioè, all'ebraismo (anche Averroè ebbe, ma indirettamente e sempre inconsistentemente, coinvolgimenti col solo giudaismo culturale).
La filosofia ebraica medioevale inoltre non fu mai "ebrea"; al di là di stime o non stime sarebbe infatti controsenso affermare una drammatica insavia quale esistenza filosofica.

Sulla biografia dei filosofi arabi medioevali io ho trovato diffuse nella cultura italiana ed occidentale molte inesattezze od illazioni. Le più tenaci su Avicenna, anche perché in stesso Oriente non se ne seppe registrare la sola scomparsa dalla scena politica ed amministrativa e presto si conservarono opinioni storiche sia pure dirette ma opinioni: che fosse morto per coinvolgimenti sfortunati in scontri di guerra. Eppure da ciò ancora adesso se ne può dedurre il vero accaduto con la constatazione che gli storici persiani ufficiali dei tempi più vicini ai fatti non trovarono fondate tali opinioni, dacché se ne intuisce anche vera cronaca: visto per ultima volta durante guerra in corso, aveva dato addio alla Corte imperiale e si era dileguato per i monti "iranici", tanto che i geografi persiani non edotti su natura iranica della Persia non avevano potuto redarre cronaca del suo tragitto e ne restò sua assenza. Le ragioni che impediscono agli studiosi tanta facilità di comprensione dipendono dall'enigma che per la cultura popolare, spesso velo impenetrabile e variamente presente nel caso di storie arabe non popolari, costituisce la forma politica dell'Impero cui Avicenna era stato volontario coinvolto: in essa gli Imperatori obbedivano in tutto ai saggi spontaneamente tali e d'altra appartenenza etnica, "oscura", e chi obbediva agli Imperatori non aveva saggezza cui obbedire perché questa eragli "occulta", ugualmente alle persone che filosoficamente o non filosoficamente Ne erano rappresentanti. Nel nostro linguaggio si può dire che Avicenna fu un dèspota resosi poi assente.
Questa aneddotica storica pone in contatto con luoghi ed eventi impossibili a definirsi entro cànoni storici moderni-postmoderni, tuttalpiù possibile sarebbe definire post-modernamente ma provvisoriamente. Ciò mostra anche come mai sia possibile che alcuna modernità sia tale senza consapevolezza della formazione medioevale: difatti questa in parti non sempre trascurabili era attuata da mondo per il quale non significano i parametri storici usuali.

MAURO PASTORE