giovedì 22 gennaio 2015

Pieri, Camilla, Essere nel Tempo. Studio su Heidegger

Firenze, Clinamen, 2013, euro 17, p. 140, ISBN: 978-88-8410-197-6

Recensione di Gabriele Volpetto - 01/04/2014

Affrontare la filosofia heideggeriana, scegliendo un punto di vista che stimoli l’approfondimento e la riflessione, nel dibattito contemporaneo che ha saturato l’argomento, è compito oltremodo difficile, che può dar vita ad uno sforzo vano.
Nel testo di Camilla Pieri, pervaso da quest’istanza di fondo, lo sforzo si fa proficuo, e l’autrice ci consegna una lettura dei cammini di pensiero heideggeriani, indissolubilmente legati 


alla difficoltà del dire ciò che in sé rimane nascosto ed indicibile nel paradigma di pensiero cui resta legata l’epoca contemporanea, e che allo stesso tempo riesce ad illuminare le difficoltà del testo cardine delle produzione heideggeriana, Sein und Zeit, con uno sguardo consapevole dell’intera opera filosofica dello stesso Heidegger.
A ciò va aggiunto il confronto serrato cui l’autrice sottopone le parole guida del testo heideggeriano con autori verso cui lo stesso filosofo del Dasein mostra una palese filiazione concettuale, quali Agostino d’Ippona e Schopenhauer, e con le interpretazioni che delle stesse fu data dalla filosofia dell’hitlerismo e da Lévinas, che del dialogo ermeneutico con Heidegger fa un punto cardine della sua produzione.
Quello che, in estrema sintesi, è il compito che Pieri si propone, sin dall’introduzione del suo lavoro, è il tentativo di render conto del percorso heideggeriano come di un pensiero stravagante secondo un duplice intento, con chiaro riferimento ad un autore, Friedrich Nietzsche, che sarà pietra di paragone costante di tutte le opere maggiori di Heidegger.
La stravaganza del pensiero heideggeriano, viene qui vista in primo luogo come il cenno che indica nella direzione di un pensiero che vuole oltrepassare il discorso metafisico così come esso si configura lungo tutta la storia del pensiero occidentale, e che da questo punto di vista non può che apparire inadeguato per una lettura che vi rimanga legata; ed in secondo luogo come spia dell’ineludibile rapporto che un pensiero che può essere solo preliminare a questo oltrepassamento continua ad intrattenere col discorso metafisico, rimanendovi legato seppur nelle forme dell’errare: quello di Heidegger rimane infatti un pensiero che non pone definizioni, ma piuttosto indica, seguendo la via dei cenni e dei suoni con cui l’Essere si dà nel suo rimanere nascosto.
Il primo capitolo dell’opera di Pieri, analizza, con riferimento critico alla lettura di Karl Löwith, il rapporto che si attiva fra Essere ed Esserci, a prescindere da una eventuale possibile distinzione, nel pensiero di Heidegger, fra un pensiero pre e un pensiero post Sein und Zeit.
Secondo Löwith, infatti, sussisterebbe un “cambiamento di tono” in questo rapporto, che vedrebbe una preminenza del problema dell’Esserci in tutta la trattazione heideggeriana fino al 1927, ed una rivalutazione del problema del senso dell’Essere nelle opere successive.
L’autrice ricusa questo “cambio di tonalità”, poiché una tale interpretazione, presupporrebbe una visione heideggeriana del rapporto fra Essere ed Esserci che, in ultima analisi, ricalcherebbe quella invalsa nel pensare metafisico fra fenomeno e noumeno.
Sottolineando come l’analitica esistenziale di Sein und Zeit non sia semplicemente un’analisi ontico-fenomenica, ma si configuri piuttosto come un’ontologia fondamentale, volta a determinare l’essere dell’Esserci, che non è semplicemente una forma di manifestazione dell’Essere, ma piuttosto l’unica modalità del darsi dell’Essere stesso, diviene chiaro che il problema del senso dell’Essere non rimane in secondo piano in Sein und Zeit, e si risolve così la questione di una sua eventuale rivalutazione nelle opere successive.
Inoltre, distinguendosi dalla metafisica tradizionale, l’ontologia fondamentale, che per Heidegger sarebbe lo Stesso che la metafisica dell’Esserci, diviene il fondamento di ogni possibile metafisica, fondando anche la distinzione fra Essere ed ente che guida la storia della metafisica tradizionale stessa.
Nel secondo capitolo viene affrontato il rapporto fra la metafisica - che, nelle sue propaggini cartesiane, diviene metafisica della soggettività, riducendo il mondo e lo stesso Essere ad oggetto di rappresentazione per un soggetto,- e la fenomenologia ermeneutica heideggeriana, - che tenta di superare le conseguenze nichilistiche di questa concezione proponendo, in vece della nozione di soggetto, la “categoria” fenomenologica dell’In-der-Welt-sein, che non vede una contrapposizione fra un soggetto ed un mondo di oggetti, entrambe sotto l’egida della rappresentazione, ma bensì interpreta l’Esserci ed il mondo come coappartenentesi nella modalità dell’in essere - .
In questo modo, anche la verità, che nel mondo della tecnica rimane nella disponibilità del soggetto, essendo sussumibile nei termini di una adaequatio, può essere rivista come attività di svelamento dell’Essere dell’Esserci che lascia essere il rapporto essenziale dell’Esserci con il mondo.
L’autrice procede nel terzo capitolo ad analizzare, seguendo il cauto invito di Ernst Cassirer, l’influsso della filosofia kantiana nella stesura di Sein und Zeit, in particolar modo per quel che riguarda l’analitica esistenziale.
Lo stesso Heidegger, tra l’altro, concede spazio a questa interpretazione, allorquando nel suo Kant e il problema della metafisica afferma che la rivoluzione operata da Kant nel seno della metafisica sarebbe quella di aver posto come centrale il problema dell’ontologia, ponendo quindi la metafisica stessa come problema.
Un’interpretazione che, naturalmente, non afferisce semplicemente ciò che di esplicito vi è nelle opere kantiane, ma che va, secondo il consueto modo di procedere del pensiero heideggeriano, alla ricerca di ciò che di non detto vi è nel pensiero con cui di volta in volta entra in colloquio.
Non solo, ma riconoscendo nella filosofia una tendenza naturale dell’uomo, Kant avrebbe inaugurato la riflessione che conduce al riconoscimento del rapporto fondativo fra Essere ed Esserci: la categoria kantiana di trascendentale sarebbe, nella lettura heideggeriana, la prima timida affermazione di questo rapporto, poiché la conoscenza trascendentale, che è secondo Kant quella conoscenza che riguarda il nostro modo di conoscere gli oggetti, è al contempo ontologica ed ontica in quanto tende a comprendere l’Essere in base alla costituzione dell’Esserci.
Il Dasein, inteso nel suo coappartenersi al mondo come In-der-Welt-sein, consente all’autrice di rintracciare, nel quarto capitolo, con cui inizia la seconda parte, Esserci e Tempo, già nella forma linguistica i momenti della costituzione del Dasein stesso.
La presenza del riferimento al Sein, e quindi all’Essere, permette di mettere in evidenza come l’analitica esistenziale di Sein und Zeit, pur prendendo le mosse dalla condizione ontica dell’Esserci, la riconosce in chiave ontologica come luogo proprio del darsi dell’Essere.
La locuzione In der” ribadisce questa condizione: riconducendosi all’in essere, è il segno di un particolare modo d’essere che identifica l’Esserci come colui che abita nel mondo, rimanendo ben fermo, secondo la ricostruzione etimologica heideggeriana, il significato di abitare come essere-presso, che diventa così non una proprietà accidentale dell’Esserci stesso, ma modalità fondativa del suo essere.
Infine, partendo dalla concezione che si dà innanzitutto e per lo più del mondo, cioè il mondo ambiente in cui gli oggetti sono degli utilizzabili (zur Hand), il mondo può essere visto come quell’originaria apertura in cui l’Esserci trova la propria eccentricità, che sta alla base di ogni sua successiva determinazione.
In questo capitolo l’autrice ripercorre le tappe dell’analitica esistenziale heideggeriana a partire dalla quotidianità media dell’Esserci, inserendo continui confronti con la filosofia di Agostino d’Ippona e di Emmanuel Lévinas.
Così come la concezione quotidiana del mondo è la presentificazione di una dimensione ben più pregnante dal punto di vista esistenziale, allo stesso modo, partendo dalla concezione della verità come adaequatio intellectus et rei, Heidegger recupera un significato originario del termine, a partire dall’originaria apertura che è il Dasein in quanto In-der-Welt-sein, che diviene nella sua lettura ermeneutica lo svelamento dell’ente che lo lascia essere ciò che è.
Di converso, la non-verità diviene il nascondimento dell’ente per ciò che esso è.
In questo modo, la metafisica e il pensiero decaduto a misura calcolante tendono a disperdere l’uomo nella non-verità, lasciandolo vagare nell’erranza, che è il fondamento dell’errore; ma, ancora una volta, l’erranza tiene al suo interno la possibilità che l’uomo ne faccia esperienza, la riconosca come tale e per ciò stesso si riconosca come Esser-ci.
Se ciò non avviene, però, ed è questa la condizione dell’uomo contemporaneo il cui pensiero è guidato dal pensare metafisico, è in atto un duplice velamento: il velamento dell’ente, ed il velamento di questo velamento stesso.
Secondo l’autrice, le modalità secondo cui l’Esserci si interroga su se stesso, portando così alla luce il carattere problematico dell’ovvio e conseguentemente uscendo fuori dal regno del Si, ricalcano le istanze filosofiche di Agostino d’Ippona, che nelle Confessioni domanda a se stesso cosa sia l’uomo. E le analogie, fatto salvo il mancato riferimento heideggeriano a Dio, non si fermano qui.
La categoria agostiniana di dispersione, infatti, permette di pervenire a quella heideggeriana di quotidianità ed alla sua manifestazione nell’esistenziale del Si-stesso che, seppur come forma di decadimento dell’Esserci, rappresenta la modalità primaria secondo cui arrivare alla propria conoscenza.
Da questa modalità e dalle sue forme bisogna quindi partire nel percorso di ri-avvicinamento all’Esserci. E forme primarie del fenomeno del Man sono la chiacchiera e la curiosità.
La chiacchiera, che è un discorso con mero valore comunicativo, non può comprendere le profondità dell’Esserci, poiché nella sua quotidianità lo riduce a nessuno, ed allo stesso tempo diffonde l’illusione che non vi sia più nulla di inaccessibile, che tutto sia ovvio. Al contempo, però, la chiacchiera, nascendo dal discorso, ha la sua origine in un’apertura preliminare. Per superarne la chiusura, dato il suo carattere altamente autoreferenziale, c’è bisogno di uno strumentario critico che vada fuori dal suo dominio.
La curiosità trova il suo corrispettivo nella tentatio agostiniana, ed è il decadimento del “vedere”, non più inteso nella direzione dello svelamento, ma in una continua ricerca del nuovo, del “non noto” da inglobare nel “noto” in un percorso mai pago. E così come Agostino, anche Heidegger riconduce questa modalità del Man a carattere distintivo della scienza, che scambia la superficialità per ricerca dell’Essere.
Gli inganni perpetrati dalla chiacchiera e della curiosità, però, non sono consapevoli misconoscimenti del reale stato delle cose, ma traggono la propria origine nella condizione di gettatezza in cui è possibile trovare la via del superamento dell’inganno: insieme alla deiezione infatti, essa rinvia al luogo in cui ha origine tanto la quotidianità del Man, in cui l’Esserci si prende cura delle cose (Besorgen), e si comprende come semplice presenza, quanto la possibilità di un superamento della quotidianità stessa.
Il Geworfenheit che si declina come “prendersi cura”, però, racchiude in sé, così nella critica di Emmanuel Lévinas, come nelle parole dello stesso Heidegger, il rischio che il Besorgen si configuri come incatenamento alle cose stesse di cui l’Esserci si prende cura.
Secondo l’analisi di Lévinas, questo incatenamento diventerà, secondo un duplice travisamento degli intenti heideggeriani, tratto distintivo della “filosofia dell’hitlerismo”, che tante barbarie procurò nel mondo, e che non rintraccerebbe la sua origine in una qualche deformazione della ragione umana, bensì in una possibilità insita nella razionalità disumana. La critica che lo stesso Lévinas pone nei confronti di Heidegger, pur riconoscendo la radicale differenza fra una banalizzazione dei concetti heideggeriani da strettamente correlati alle nozioni di possibilità e di libertà a mero “incatenamento biologico” del sé, non riguarda dunque la sua formale adesione al nazionalsocialismo del 1933, ma il mancato riconoscimento, da parte di Heidegger stesso della possibile deformazione in questo senso della categoria di Geworfenheit.
L’autrice critica questa interpretazione secondo una duplice prospettiva: secondo il merito, in quanto una critica di tal genere non può prendere di mira semplicemente uno dei concetti heideggeriani, ma si riferisce nell’interezza all’intera analitica esistenziale, introducendo inoltre una valenza ontico-teologica che Heidegger rifiuta espressamente di abbracciare; secondo il metodo, in quanto Lévinas, rimproverando ad Heidegger di non aver approfondito il Geworfenheit in modo tale da non renderlo fraintendibile, presuppone una concezione della filosofia come sistema chiuso, impassibile ad eventuali superamenti. Questa concezione della filosofia, risulterebbe estranea, invece, a quella proposta da Heidegger, che punta invece a configurarsi come punto di partenza per eventuali sviluppi, o anche per eventuali deformazioni.
Dopo aver analizzato le forme della quotidianità e dell’inautenticità, l’autrice mette in luce, nel sesto capitolo, le condizioni di possibilità secondo cui, nell’ottica heideggeriana, l’Esserci ritrova se stesso.
Questo percorso è segnato da un inalienabile individualismo, poiché tende in primo luogo a abbandonare la dimensione pubblica del Man e la sua erranza, pervenendo ad un’erranza solitaria in direzione del Selbst. Per intraprendere questo percorso, l’Esserci ha bisogno di una chiamata che, nel suo silenzio, rompa il chiasso della chiacchiera, e che, dal punto di vista della chiacchiera stessa, non comunichi nulla, un nihil privativum in contrapposizione a quest’ultima.
Non solo, ma persino il chiamante rimane nell’ambito dell’indefinibile, poiché una sua definizione lo porrebbe ancora una volta nel dominio della chiacchiera. La chiamata, però, pur provenendo dall’Esserci, non è una sua azione volontaria, bensì proviene da un luogo che è sopra l’Esserci stesso.
Questo luogo, che è il luogo in cui l’Esserci chiama se stesso, è ciò che Heidegger chiama la coscienza: immediatamente, ancora una volta, risuona in questo concetto un’eco della filosofia agostiniana. Quest’eco è pregnante dal punto di vista filosofico, pur rimanendo ben chiaro il discostamento della filosofia heideggeriana dall’ambito onto-teologico.
La chiamata, pur presupponendo una parte attiva dell’Esserci, trae la sua origine nella situazione emotiva dello “spaesamento”, che palesa l’inautenticità della condizione del Man, e contestualmente pone l’Esserci nella situazione emotiva fondamentale dell’angoscia.
In essa il mondo inteso come Umwelt è riconosciuto privo di ogni significatività: se dal punto di vista esistentivo ciò significa che il mondo come Umwelt si riduce a nulla (Nichts), poiché questa concezione diviene una visione superficiale del mondo stesso, dal punto di vista esistenziale ciò comporta una sospensione, ben diversa dalla dispersione propria del Man, in cui il nulla non afferisce soltanto il mondo come Umwelt, ma riguarda direttamente l’Esserci che, in quanto Geworfenheit, è chiamato ad essere il fondamento infondato di se stesso, sollevando così, una questione prettamente etica irrisolta nell’opera heideggeriana.
Nell’ultimo capitolo l’autrice si sofferma, infine, sulla questione punto di approdo parziale di Sein und Zeit: il problema della temporalità.
Prendendo avvio dalla considerazione di Hartumt Tietjen che sembra considerare lo sviluppo dell’analitica esistenziale come funzionale alla chiarificazione del concetto di tempo, Pieri sottolinea la necessità di indagare le strutture dell’Esserci nel loro rapporto al tempo non secondo un’ottica funzionale o cronologica, bensì come essenzialmente correlate: il tempo, in questo senso, non può darsi se non come temporalizzazione di quelle strutture fondamentali che sono il “come” dell’Esserci.
Come consueto in Heidegger, la trattazione della questione del tempo parte dalla concezione ordinaria del tempo, riconducendo ad essa anche la sua problematizzazione teologica, che, in ultima analisi, è riconducibile all’eterno come dilatazione di una durata.
In questo senso, allora, il filosofo non può che confrontarsi col concetto di durata, riconducibile, con una chiara eco delle concezioni di Bergson, dal punto di vista materiale all’orologio, che consente di aver accesso, in quanto strumento, alle caratteristiche del tempo sia nella modalità del Man che nel suo uso scientifico.
Il tempo diviene un susseguirsi di “punti-ora” che si ordinano secondo il prima ed il poi, rendendolo passibile di misurazione, in quanto non afferente ad una sfera assoluta, ma strettamente legato agli eventi che in esso si svolgono. Così, la trattazione del concetto di tempo che Heidegger opera è accostabile a quella svolta da Schopenhauer ne Il mondo come volontà e rappresentazione; senonché, mentre secondo Schopenhauer la concezione oggettiva e quantitativa del tempo rimane l’unica a cui poter far riferimento, per Heidegger “il tempo dell’orologio” non esaurisce il proprio del tempo, che bisogna di una comprensione autentica. Nel percorso intrapreso da Heidegger, neppure il tempo inteso in maniera soggettiva, come fa Agostino riconducendolo all’interiorità dell’anima, ne esaurisce la comprensione.
Certo, il tempo afferisce all’Esserci, ma non secondo un’ottica soggettivista, bensì secondo la sua declinazione esistenziale.
In questo senso, analizzando la condizione di gettatezza dell’Esserci, un gettato poter-essere che è al contempo connaturato dalla libertà sebbene situata, la questione etica diviene centrale nella chiarificazione del concetto di tempo, poiché, in questo modo, l’Esserci ritorna ad essere responsabile per le proprie decisioni ed azioni.
È nella decisione che il tempo ritorna ad una dimensione non semplicemente teoretica, ma ermeneutico-pratica: il tempo non è più una successione di punti-ora, ma diviene la modalità secondo cui l’Esserci esiste quale ente gettato che realizza il suo poter essere attraverso la decisione e l’azione.
L’autrice, in questo senso, critica la posizione heideggeriana che vedrebbe la decisionalità limitata all’ambito dell’Esserci ridestatosi dalla medietà, poiché anche nella dimensione del Man l’Esserci evidentemente prende delle decisioni ed agisce, pur facendolo in una condizione di superficialità. Questa condizione di superficialità però, compromette semplicemente il piano puramente esistentivo, mentre, sul piano esistenziale, l’Esserci decide in quanto gettato nella decisione, tanto nella quotidianità media quanto nel suo ritorno al proprio.
In quanto poter-essere, infine, all’Esserci compete un’ulteriore esistenziale fondamentale, che è quello della mancanza, e più nello specifico, la mancanza della morte intesa come possibilità estrema, che resta inconoscibile sul piano esistentivo tanto per l’Esserci che muore quanto per quello che vede la morte dell’altro.
Solo grazie all’angoscia, quindi solo dopo aver raggiunto l’autenticità, l’Esserci può riconoscere la morte in quanto riconosce se stesso come gettato essere-per-la-morte. In questo senso, l’Esserci riconosce se stesso come finitudine, esiste nella consapevolezza dell’apprestarsi della morte e, nella sua anticipazione, gli è permesso di esistere autenticamente: ciò vuol dire, in ultima istanza, farsi carico del nulla esistenziale, che fonda ogni progetto rendendo così possibile una attività decisionale sempre mia.


Indice

Introduzione. Un discorso stra-vagante

Parte prima. Esserci ed essere
1. Ontologia fondamentale e metafisica
2. Metafisica della soggettività e fenomenologia ermeneutica
3. Sulle orme di kant

Parte seconda. Esserci e tempo
4. In-essere e mondità
5. L’ambiguità del quotidiano
6. Verso l’autentico poter-essere
7. Esserci come essere-per-la-morte

Conclusione

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho trovato molto interessante il punto di vista dell'autrice. Molto utile per i miei studi.

MAURO PASTORE ha detto...

La recensione potrebbe esser letta quale decifrazione di particolarismi linguistici.

O potrebbe essere interpretata anche quale particolarizzazione linguistica con rese non restituzioni analoghe a particolarismi originali di stesso Heidegger; ma di tal interpretazione non si scorge scopo reale tranne che non ne si imputi a rifiuto di originalità heideggeriana per costruzione di altro simile ma divergente pensiero; di tal possibilità interpretativa nel testo della recensione se ne trova di fatto (forse involontaria o forse volontaria) proposta, per via degli schemi cui lettore di essa deve accedere per capirne...

Difatti il recensore non considera con rigor di logica la originale dizione attribuibile proprio ad autore (autrice) di lavoro recensito " Un discorso stra-vagante", dizione compresa in Indice, che in recensione si trova, con abolizione di trattino e di corrispondente significato espressivo, 'rivoltata' quanto a significato manifestativo nonostante ricondotta ad originalità di lavoro, perché addotta smarrendone razionalità, che invece stesso indice di lavoro recensito manifesta evidentemente, ma di fatto in antilogia con 'rivolta' recensoria, risultante anche digressione 'censoria' che è scorretta rivolta anticulturale oltre che arbitrario ed irriguardoso (forse non deliberato?) 'rivoltare' concetti.
In rivoltare del recensore sono stravolte — ed ancor di più dai corsivi, medesimi ed altri (si vedano nel testo stesso della medesima recensione) — parole guida heideggeriane, cioè si doppiano espressioni particolari heideggeriane per antiheideggerismo, datoché di ' eccentricità - stra-vaganza' originali recensore ne costruisce fac-simile di eccentrica stravaganza adatta solo per perdere il senso originale di vero filosofico messaggio, in recensione appunto recuperabile solo da indice riportato.
Di certo in anni 2013 e 2014 non si era ancora terminata in Italia la fine della cosiddetta sinistra heideggeriana; e dunque tal fac-simile sarebbe servito a fornire questa corrente di pensiero di una possibile dialettica e non conciliativa fuoriuscita da stesso particolare movimento intellettuale heideggeriano "di sinistra"; nondimeno era opportunità ma espediente soltanto e capace solo di aumentare le schiere degli anacronisti, quelli che in non vero Ritorno agli Antichi perseguivano e perseguono antiquatezze, prima dominate da filocattolicesimo poi da un filocattolicismo che è culturalmente ed in specie subculturalmente ora più disastroso che mai. Infatti non è più possibile continuare filosofia senza culturale avvedutezza su negatività nonché assolutezze oltre che su tempi del filosofare; perché sono finiti i tempi comuni dominati dalle ingenue contemplazioni filosofiche.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In mio messaggio precedente si trova scritto:
'La recensione potrebbe esser letta quale decifrazione di particolarismi linguistici.'
Per intender meglio la portata di questa affermazione, fornisco questa mia notazione:

Fu detto da taluni di "dialetto filosofico heideggeriano", tentando di insinuare, da parte di intellettualità marxista non comprensiva, che Heidegger non fosse scrittore tedesco sufficientemente preciso per esser effettivamente autore di opere filosofiche, mentre da parte di intellettualità marxista comprensiva si insinuava che fosse oratore non sempre adeguato alla lingua tedesca. La verità non stava nel mezzo, perché quale oratore Martin Heidegger a volte praticò regionalismi linguistici, non dialettismi né dialetti, dei suoi luoghi, neppur questo quale scrittore autore di opere, sebbene lo stile ne sia talvolta regionalista. Ciò non conduceva ad incomprensioni anzi, dati i tempi, a più pronte comprensioni di lettori tedeschi realmente disposti; inoltre le simmetrie linguistiche dei suoi testi originali rendevano possibili sufficienti comprensioni anche internazionali, adesso (presumibilmente) in parte parzialmente preclusi a letture di internazionalità non teutonica e meglio comprensibili anche in generalità dei messaggi a sola extranazionalità...
Perciò si diceva e si può dire con sensatezza e pertinenza di:
dialetto filosofico heideggeriano,
bensì in senso culturale ed extralinguistico non subculturale né alinguistico; e nonostante le attuali restrizioni culturali causate dalla evoluzione del tedesco — solo ai tempi di Nietzsche e sùbito poi reso disponibile a dirette non indirette universali comprensioni culturali — nondimeno vi sono le traduzioni a render ancora a non tedeschi tutto quanto era già prima dei mutamenti linguistici in Germania possibili anche a chi non tedesco...
Ovviamente conoscenze particolari consentono di più anche senza saper il tedesco, pur diversamente
— io che scrivo, di queste non ne ho che pochissime, sul localismo culturale di Heidegger, ma ho intuitivo e non solo intuitivo rapporto filologico con lingua tedesca arcaica, cui quel localismo piuttosto o perlopiù si riferiva perché autorealizzava unione tedesca, fino ai tempi odierni (prima di anni 2013 e 2014 ma non questi esclusi) da stabilire nonché già certificata, per neolinguismo nazionale-regionale obliando i propri linguismi particolaristici passati (tutto l'inverso di quanto accadde a cultura linguistica di Hegel ed hegeliani tedeschi).

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Comparando indice di lavoro recensito e tematiche esposte in recensione, emerge un pensiero triadico, chiaramente in evidenza nel testo recensivo:

Essere
Esserci
Stesso

e che senza dubbio è assai illustrativo circa un periodo dell'insegnamento filosofico di Martin Heidegger, entro cui si rimarcava stretta necessità di previa considerazione temporale.
Tuttavia tale fase, legata a notissima pubblicazione di Heidegger stesso; 'Essere e Tempo' ("Sein und Zeit") si era chiusa con conferenza di ulteriore pensiero, dominato dalla esigenza di preliminari descrizioni essenziali, cui si dava resoconto in altra successiva sua e poco nota pubblicazione; "Tempo ed Essere", cui contenuto intellettuale non è lo stesso di quell'altra ma che tale risultò di fatto a lettori non propositori ma ripropositori attraverso negazione culturale che ne impediva o rendeva controproducente il reale messaggio, necessitando appunto riproposizioni che erano di fatto sofismi, utilizzati a scopo di attesa-conservazione ma anche usati da altri per occultamenti.
Gli attuali rapporti tra filosofia continentale ed analitica hanno di nuovo reso facilmente utizzabile il resoconto di "Tempo ed Essere" in suo reale ultimo significato differente (!).

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In messaggio precedente c'è una punteggiatura in più ed una in meno:
'di Heidegger stesso; 'Essere e Tempo' ("Sein und Zeit") '
stia per:

di Heidegger stesso 'Essere e Tempo' ("Sein und Zeit"), .

Reinvierò con correzione.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Aggiungo:
In messaggio precedente c'è una punteggiatura da cambiare:

' sua e poco nota pubblicazione; "Tempo ed Essere", cui '

stia per:

sua e poco nota pubblicazione: "Tempo ed Essere", cui .

Reinvierò con correzione.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Comparando indice di lavoro recensito e tematiche esposte in recensione, emerge un pensiero triadico, chiaramente in evidenza nel testo recensivo:

Essere
Esserci
Stesso

e che senza dubbio è assai illustrativo circa un periodo dell'insegnamento filosofico di Martin Heidegger, entro cui si rimarcava stretta necessità di previa considerazione temporale.
Tuttavia tale fase, legata a notissima pubblicazione di Heidegger stesso 'Essere e Tempo' ("Sein und Zeit"), si era chiusa con conferenza di ulteriore pensiero, dominato dalla esigenza di preliminari descrizioni essenziali, cui si dava resoconto in altra successiva sua e poco nota pubblicazione: "Tempo ed Essere", cui contenuto intellettuale non è lo stesso di quell'altra ma che tale risultò di fatto a lettori non propositori ma ripropositori attraverso negazione culturale che ne impediva o rendeva controproducente il reale messaggio, necessitando appunto riproposizioni che erano di fatto sofismi, utilizzati a scopo di attesa-conservazione ma anche usati da altri per occultamenti.
Gli attuali rapporti tra filosofia continentale ed analitica hanno di nuovo reso facilmente utizzabile il resoconto di "Tempo ed Essere" in suo reale ultimo significato differente (!).

(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

A discapito della sua parimenti interessante intuizione della temporalità di Heidegger è stato diffuso il pensiero della temporalizzazione, soprattutto a causa della condizione sociale e prima che sociale locale cioè geografica di "Occidente diviso", in recente postsecolarizzazione ormai non più necessitante però.

Ragioni particolari che evitarono ampia notorietà alla realizzazione della intuizione ontologica-filosofica della temporalità, solo postumamente diventata incontro e relazione di incontro e pubblicazione con "Tempo ed essere“, sono legate soprattutto agli eventi della dittatura nazista, che Heidegger tentò di abolire e trasformare personalmente in parentesi di regime autoritario non totalitario e nazionalista, ma solo con effetti limitati e provvisori ed infine senza riuscirvi però fornendo e volontariamente strumenti futuri per lo scopo, vincenti allorché per reagire ad intromissioni del comunismo-stalinismo in Germania Ovest si istituiva Stato democratico e repubblicano mediante garanzia attiva di Autorità giudiziare poi esecutive tedesche.
Di fatto Heidegger cercando di rovesciare i provvedimenti del Regime nazista aveva inteso dare ordine non violento a dittatorialità, anche perché era convinto di poter obbligarla a comandi di esercito tedesco indipendente dalle gerarchie automilitarizzate naziste; e ciò davvero era accaduto ma in inizio, non solo formale, durante il quale Heidegger aveva dato possibilità a difesa degli studi da parte di milizie non naziste tedesche in università, ove si riusciva così in intento di evitare irreparabili intromissioni di nazismo; e difesa era continuata ma solo formalmente a causa di altri eguali impegni di esercito e poi a causa di inganni nazisti subiti da molti studenti universitari e infine restando il provvedimento nei fatti invalidato... Eppure, dopo che quasi tutto l'esercito era finito sotto scacco dai gerarchi nazisti, con la fine della guerra era in forza di questi ordini non nazisti che le facoltà universitarie potevano continuare ad esistere durante la occupazione degli Alleati in stessa Germania!

Di fatto M. Heidegger aveva dato alla triade:
Essere - Esserci - Stesso ,
non solo statuto ex-fenomenologico pure ontologico ma di ciò ne dà conto la conferenza "Tempo ed essere" (cui relazione tradotta già in italiano).

Di questo statuto ontologico il marxismo, per rifiuto culturale e totalitario, negava sèguito, rifiuto operante ad Est prima poi ad Ovest e in resta prima ad Est, sia in sola Germania che in Europa Italia compresa. Bloccato poi dalla resistenza anticomunista-antitotitaria non solo ideologica, durata fino ad evitare totali e parziali disusi linguistici, il totalitarismo comunista aveva per l'Europa programmato, aiutato da esponenza non legittima di regime maoista in Cina, una distruttiva riorganizzazione linguistica, che però si scontrava con le volontà nazionali europee senza riuscire a sopprimerle. Con impositivi condizionamenti economici in Blocco Orientale sovietico e filosovietico lo Stalinismo influiva su luoghi di insegnamento del Blocco Occidentale, in Europa Ovest con ricatti più o meno occulti organizzando proteste di moltitudini di ingannati ed ignoranti e giungendo persino ad imporre alla infanzia modi di indicare beni di prima necessità!

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Fatte debite distinzioni tra filtro recensivo e materia recensita, si può dedurre cosa ne abbia occasionato l'alternativa tra intellettuali trasparenza od opacità e perché la opacità non sia egualmente restitutiva del contenuto della pubblicazione.

L'autore ovvero autrice Pieri riferisce soprattutto del periodo "indagativo" heideggeriano; in verità mostrandosene ella affine ed alquanto sistematicamente, cioè traendone motivo per una metodologia filosofica attualista la quale riceve sensatezza entro la insistenza metafisica-ontologica, in filosofia dai tempi di Heidegger ai nostri assai diffusa ma prima prettamente non filosofica e non filosofica oramai perché i riferimenti agli enti e ad essere in essa sono storicamente determinati ed anche il trascendere le materialità ne è, ma solo in apparenza antico in realtà moderno e sradicato dalle antichità, di cui eredità in espressioni non affermazioni.
Un attualismo heideggeriano metodologicamente legato ad una alienazione-illusione ha valore a sua volta provvisorio e non paradigmatico; per questo in lavoro recensito trovasi ambivalenza, di schema astratto non provvisorio ma riferito a schematismi provvisorii, cioè di strumentalità ontologica-ermeneutica e di strumento ontologico-euristico, senza che autrice evidentemente ne proponga distinzione dunque per un tramite non di un mezzo euristico e ad approccio ermeneutico progressivo decostruzionista che si applica alla Metafisica dell'Ente ed alla fenomenologia-ontologia ma non si può applicar pure a ontologia separata e quale disciplina rigorosa. Ciò senza dubbio serve ad inquadrare la incompiutezza della istituzione ontologica accademica heideggeriana però non serve ad individuarne a sua volta progressione verso compiutezza, sia pur non in progresso attivo.
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nella opera recensita si scontrano evidentemente due differenti concezioni del progresso:
La Pieri non condivide l'idea che dalla profondità del Medio Evo teutonico e dalle grandezze della Modernità teutone se ne tragga intrinsecamente un futuro non uguale ed un presente non stesso; e ciò accade per contrarietà a premesse di spiritualità minima ma uguale, cioè accade perché si rifiuta di considerare l'universalità culturale heideggeriana quale unità non intera.
In pratica, si scontrano diverse scelte religiose, areligiose, irreligiose.
Pieri non fa constare gli eventi singoli di Heidegger intellettuale ontologo ed antesignano di futura accademia, non ne intende il substrato culturale-esistenziale solo il sostrato, pone attenzione ad una risultanza soggettivamente da ella medesima data, aggiunta al risultato delle intellettualizzazioni heideggeriane da ella... valutate-svalutate... Infatti ne disconosce tensione verso una altra meta ed applicandone criterio biografico utile per episodici personalismi filosofici che fanno inclinare riflessioni verso un rifiuto culturale non critico e bastevole a definire rapporti tra risultati e scelte, sì che dalle non condivisioni delle scelte deriva assunzione non comprensiva di risultati, riproposizione in risultanze non oggettive, divergenze non oggettivanti alternative parallele ma abbandoni o contrarietà; e queste ultime essendo presentate dalla Pieri per etiche possibili e reali sono però effettive esclusivamente circa un evento non heideggeriano non filosofico: l'incomprensivo e violento tentativo di sfruttar filosofie da parte di Hitler ed hitleriani, lo stesso che molti rimproverarono ad Heidegger di non aver saputo intuire in tutto rischio e disastro...
Resta data così solo la via dell'abbandono, eppure impossibile dato valido schema di riferimento desunto, tranne che codesto non sia antagonisticamente rifatto; ed in ultima analisi di ciò si tratta e a ciò è riferibile possessività che recensione lascia non fa intuire di formulazioni di autrice di opera recensita; ma in quanto schema desunto e rifatto, esso rivela di autrice una arbitrarietà non filosofica nel rifiutare-rifare, senza che sia filosoficamente consistente il confronto-raffronto; talché quanto di etico altrimenti espresso da autrice stessa ne risulta parimenti affermativamente inconsistente: sulla figura storica di Martin Heidegger, ingiustamente subissata di insinuazioni penose per intelligenza disinteressata nonché filosoficamente destinata; sui falsi e reali poteri di Hitler ed hitleriani, che di fatto si basavano non su astuzie realmente superiori ma su ignoranze ed inganni cui non è corretto associar nome di filosofia.

Recensore, evidentemente proprio non propenso al particolare indagare cui nonostante tutto si fa affine autore ovvero autrice, di lavoro di stessa autrice ne dava non neutrale menzione.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Fatte debite distinzioni tra filtro recensivo e materia recensita, dedotto cosa abbia occasionato l'alternativa tra intellettuali trasparenza od opacità e perché la opacità non sia egualmente restitutiva del contenuto della pubblicazione, si può altresì ulteriormente notare:

L'autrice (C. Pieri) focalizza sua attenzione sulla prassi del 'vagare' non in mezzo ai concetti ma d'intorno e non attorno, sì che stessi concetti siano considerabili in superiore coscienza.
Heidegger era evidentemente davvero insuperabile nei suoi tempi e in evenienze relative in questo procedere, quasi ramingo della mente oltre ma pur entro le fitte trame della storia culturale e filosofica che gli si mostrava (io ne ebbi chiaro intendimento guardando il frammento di una sua videoconferenza). Indubbiamente Heidegger fu in certa sua attività antimetafisicista, perché dovendo definire la Ontologia Fondamentale a prescindere da altre discipline, dopo averla pre-costituita con analogia riduttiva alla Fenomenologia e utilizzando critica polemica verso il fenomenologismo — decadenza culturale sorprendentemente in anticipo che era una inconsapevole riduzione ontologica, eppure Husserl ne aveva così consapevolmente profittato proprio per futura ontologia! — non aveva altro che la Metafisica dell'Ente quale riferimento però non attivo; dunque non per scelta antimetafisica ma per inutilizzabilità di metafisica, Egli in inizio di sua costruzione disciplinare non aveva altro che il divenire tra 'immanere e rimanere' cioè tra fisicizzare filosoficamente e psichizzare fenomenologicamente, ovvero metamorfosi della tradizione metafisica in mentale universale logica di conoscenza. Tuttavia questo Gli era tattica strumentale, non realizzazione... Nondimeno ne fece poi strategia realizzativa, con la "Analitica Esistenziale" che appunto non è la analisi dell'esistente, quale trovasi ne "Il Sofista" di Platone o quale poi nel Medio Evo assurta ad altro universalismo tramite mentalità enciclopedica in realtà del tutto aliena a Platone, con la natura Costui strettamente logico invece il Teologo-filosofo latino-medioevale unicamente razionale! Da questa strategia, Heidegger stesso derivò una Critica definendo onticità ed ontologicità e rispettiva precedenza ontica ad ontologica conseguenza e descrivendo l'inversa illusione ontologista, questa un iper-ultra-razionalismo che in Germania persisteva dalla sopravvalutazione dell'assolutismo hegelista, legato attraverso l'assolutismo hegeliano ad enciclopedismo medioevale germanico-teutonico.
Il contrasto alle illusioni ontologiste motivava anche disinganno e contrarietà alle pretese degli ingenui metafisici, cui bastavano i Prolegomeni di Kant ma cui i movimenti culturali filomarxisti e subculturali marxisti opponevano rifiuti ed ostilità e di cui problemi per la Istruzione concernevano àmbiti storici.
Heidegger non trovò impedimenti alle proprie riuscite e lezioni da compromesso attuato nelle università, cioè un forte orientamento attualista, perché sua disposizione culturale già era in questo; ciò nonostante percepiva questo compromesso per una futura e presente limitazione pericolosa; altri ne stimavano già un disastro e Gli rimproveravano di non aver voluto notare necessità presenti maggiori che future; ma Egli ne pensava che comunque si sarebbe poi svolta opposizione ideologica contro il marxismo ed il marxismo comunismo, nella Germania democratica fuori legge quanto in quella di precedente governo aristocratico, perché tale passaggio era accaduto già secondo istituzioni di Comuni, incluse anche in nuovo Stato e Stati (originario attuatore della inclusione: Richard Wagner quale attivista politico).

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

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Per prudenza antimarxista poco stimabile essendo la irresolutezza di M. Heidegger, era invece alquanto stimata dalle componenti internazionali della società e culture tedesche ma per motivi anche reciprocamente opposti.
V'era chi ne lodava la comprensività unita al distacco, altri invece ne ammiravano la attualità perché speravano in una rivoluzione culturale ed in un neogermanesimo ma questa opzione ne schiudeva altre: sionizzazione e frammentazione-restaurazione antidemocratica; distruzione culturale antirepubblicana ed antinazionale, la quale era una idea operativa per intera Europa, tra ipotesi restaurative ed ipotesi rivoluzionarie comuniste, annoveranti eventuali filosionismo o antisionismo.
Ma di tal ultimo quadro politico sociale civile, Heidegger ovviamente non accettava la possibilità, perché agiva entro altro quadro, nazionale ed etnico, datoché accettava stesso continuare o altro succedersi di passati eventi della Germania e rifiutava le proposte a ciò non confacenti; e in dubbio Egli se per rinnovamento culturale completo o se per forte tradizionalismo.
Alla critica ontica Heidegger quindi fece seguire indagine intellettuale ontologica, accantonando per sua parte le tradizionali contemplazioni ontologiche; e la dottrina cattolica già Egli abbandonata perché esistenzialmente senza più possibile coerenza tra suoi scopi ed occasioni di vita reali, ne abbandonò Egli anche cultura ma non occasioni che ne avevano offerto pratica; e queste erano in un paganesimo psicologico non teologico che senza il realizzarsi del cattolicesimo diventava teologico quindi spirituale perché non v'era modo di riferirne i contenuti ad unico Mistero senza una vera comunità culturale oltre che ecclesiale e tuttavia era Mistero a dar senso sia alle intuizioni psichiche sia alle intuizione pratiche successive.
La spiritualità pagana lasciava timorosi e perplessi molti credenti di allora in Germania; nel caso di M. Heidegger molti se ne scandalizzarono ritenendola sconsiderata; Gli si rimpianse che non avesse voluto volgersi al luteranesimo perché si ritenne che era causa persa il particolarismo pagano o neopagano; poi Gli si notò che non potendo egli aderite ad evangelismo avrebbe potuto e dovuto, pur di assumere ampie disposizioni interiori ai suoi compiti, darsi ai grecismi ed a spiritualità greca... Di vero c'era che gli interessi particolari scaturiti dalla preferenza pagana ne attraevano azioni a discapito di sue ambizioni nazionali-europee; ma era falso che altri non avrebbe potuto altrimenti ma non differentemente realizzarne al suo posto e questo accadde anche per Jaspers, di cui Heidegger criticò pensiero metafisico ma per restituirne poteri, e accadde anche per intellettualità francese non solo tedesca.
Ma a muovere le critiche contro il paganesimo e neopaganesimo era un antioccidentalismo spesso antietnico ed antiecologico oppure antipluralistico od anche intollerantemente ed antieuropeisticamente faziosamente ateo. Si comprende con facilità che era anche il marxismo ad avversare e non solo cristianesimo e monoteismi...

Queste avversioni non sono terminate e lasciarne pesare coi non detti, con le interpretazioni biografiche faziose, con le parzialità esclusivanti, non è culturalmente corretto né filosoficamente favorevole.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Aggiungo, ai miei messaggi precedenti, ulteriore; specificazioni storiche che ritengo più che opportune:

Quando i movimenti ecologici tedeschi, cui Heidegger si era già volto con sua critica a razionalismo enciclopedico ordinatore, furono decisivamente subissati da falsi, tra cui il primo movimento del nazismo politico, quest'ultimo era in simpatia da parte di antidemocrazia ebraica, non tutta filosionista né tutta sionista; invece il potere giudaico che democraticamente aveva stimato anche in Germania che era ora di abbandonare a tutti i costi qualunque ripetizione delle antiche vite rappresentate nelle Scritture Sacre degli ebrei era assai preoccupato da future affermazioni politiche naziste, cioè non nazionaliste; e mentre in Germania si dava futuro ad ebraismo senza ebraicità, Heidegger non era in disarmonia con questi intenti ma, proprio per affinità ed interessi a cultura euroasiatica, temeva un futuro nomade ed ex tedesco per tutti i tedeschi o quasi; dunque non tollerava nella cultura tedesca tendenze limitanti a soli etnicismi e ricercava cultura etnica o tolleranza etnica, che fossero tali in Germania ed anche in scuole, università ed accademie...
Ma questo accadeva prima del rischio effettivo del nazismo!!
Quale requisito culturale minimo, Heidegger in tal periodo era tra coloro che richiedevano una etica di condivisione, talché ai tedeschi stabili fosse possibile vita culturale non solo di margine; ed Husserl, suo ex insegnante, ne aveva approvato, difatti era statagli rimproverata poi soltanto poca chiarezza nel riferirne. Bisogna capire che questa difesa etnica non fu il preambolo del nazismo ma fu la premessa del completo dispiegamento delle facoltà democratiche tedesche, che parte tradizionalista di cultura ebraica non avrebbe voluto accettare, assieme ad altre parti politiche e culturali parimenti ostili ad un compimento della restante preistoria tedesca in storia.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(Aggiungo, ai miei precedenti, ancora ulteriore messaggio; specificazioni storiche che ritengo più che opportune:)

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Senza dubbio l'enciclopedismo medioevale germanico-teutonico, da cui gli esclusivisti del razionalismo avrebbero voluto ancora soltanto attingere, era stato un grande mirabile sistema di universale decifrazione valido per intera cultura europea e per una vasta globalità di realtà culturale europea, perché il dipartirsi medioevale-moderno della particolare cultura teutone dal germanesimo europeo era attraverso una profondissima singolare comprensione dell'universalismo germanico nel destino della umanità occidentale ed extraoccidentale, che accadeva per retaggi di mancanze o di completezze sí da accadere prima della Reunione della intera umanità (reunione non connessione) né altrimenti potendo accadere, perché dovendosi particolarizzare da universalizzazioni. Ma questo immenso potere intellettuale, lo stesso che aveva posto fine all'universalismo mediterraneo imperiale a Roma, nella Modernità era diventato soltanto una diplomazia, tanto che dipendeva da forza e concentrazione teutonica quindi da determinazione teutone il potere della filosofia tedesca moderna e contemporanea; e tantoché Hegel aveva avuto un proprio ruolo autentico nell'evento della filosofia europea solo negandosi assolutista genericità e separandone riducendone universalismo... che nondimeno suoi incauti seguaci poi accaniti emuli avevano però già diffuso e ugualmente dopo diffondevano — ed ancor oggi diffondono da molte parti di Europa anche da Italia. Questo movimento nozionista, ex-scolastico, era perciò finito sotto accusa specialmente in Germania ed Heidegger ne aveva redatto radicale distruttiva critica. Nonostante moralmente ineccepibile, questa distruzione parve ad altri, quanto ai modi stessi, eccessiva, perché da quest'altri si constatava utilità anche di nozioni vuote seppure scolasticamente inutilizzabili. Il rifiuto mosso contro il culturale radicalismo teutone di Heidegger fu per costui lutto ed ostacolo; perché chi ne muoveva agiva per internazionalismo mentre la Germania era ancora in formazione etnica instabile; e allora ugualmente alla rabbia della medioevale-moderna estromissione da parte esclusiva europea anche tedesca contro i poteri religiosi genericamente culturali eurasiatici che ambivano ad una sola ufficiale religiosità comune era la polemica della moderna difesa etnica europea e tedesca ed in Germania decisiva la opposizione tra poteri culturali europei-euroasiatici ed eurasiatici-europei, a causa della fondamentalità delle relazioni al Luogo solo per i tedeschi stabilmente tali motivazione etnica del tutto irrinunciabile; e siccome a costoro era non attribuita sufficiente facoltà dispositiva proprio in luogo cioè in stessa Germania, la difesa etnica ovviamente legittima era da molti giudicata comunque inopportuna per i tempi ed i mezzi. Giudaismi ed ebraismo erano solo in parte, sia pur vasta, allineati su tali disistime, quando Heidegger, in realtà Egli tra i tedeschi più interessati a favorevoli chiari forti rapporti euroasiatici, osteggiava fino ad impedimento quell'enciclopedismo che da teutonico facendosi ex-teutonico impediva pressoché a tutti un certo destino tedesco tranne che non diventassero tutti i tedeschi provvisoriamente tali. Ma tal opposizione etnica-tedesca per taluni era solo parzialmente accettabile o perché se ne risentiva troppa attribuizione di importanza a medesimi nemici politici, o perché pareva a talaltri già del tutto incerto un compimento per giunta già allora imminente della preistoria tedesca in storia tedesca.
Solo per tale compimento, Heidegger aveva evitato di cancellare il materialismo storico dai suoi programmi di studio ma reputandone origine marxista da criticare non rivalutare poi; e proprio da questa origine gli iniziarono contro deliberate ed illusoriamente coinvolgenti reinterpretazioni ovvero faziosamente polemicamente limitanti.

MAURO PASTORE