venerdì 20 marzo 2015

Matteucci, Giovanni, L’artificio estetico. Moda e bello naturale in Simmel e Adorno

Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 182, euro 16, ISBN 978-88-5751-408-6

Recensione di Alessandro Bruzzone - 19/04/2013

Dalla sua fondazione settecentesca ad oggi, l’estetica ha espresso una problematicità oltremodo ricca e stimolante. Nomen omen, il sostantivo che la designa, insieme paleonimia (un nome antico per qualcosa di nuovo) e neologismo, ha da subito sintetizzato un orizzonte ampio, debitore di maestri antichi ed insieme proiettato in un futuro indefinito, i cui oggetti d’indagine – naturali e artificiali senza soluzioni di continuità nette – sono caratterizzati da fluttuazioni metafisiche ed esistenziali tanto meravigliose quanto necessarie.

Nel saggio qui recensito, Giovanni Matteucci prosegue coerentemente la sua ricerca, caratterizzata dalla concezione dell’estetica come teoria dell’esperienza. Precisamente, com’egli stesso spiega in apertura dell’introduzione: «Se si prende sul serio l’idea che l’esperienza consiste nell’interazione tra organismo e ambiente, come parrebbe opportuno almeno dopo Darwin, sembra inevitabile descrivere l’esperire nei termini di un intreccio tra attività e passività che implica la trasformazione degli elementi tra loro correlati. Ciò vale anche quando si specifica la modalità esperienziale secondo un determinato fattore, qual è ad esempio quello estetico. Così in un lavoro precedente [Il sapere estetico come prassi antropologica, Pisa, Ets, 2010], il sapere che informa l’intreccio costitutivo dell’esperienza estetica è stato esaminato nei termini di una peculiare prassi antropologica in quanto capacità di articolare produttivamente i modi in cui organismo e ambiente si incontrano, prima che i contenuti che si delineano in tale incontro» (p. 7).
A questa premessa, il tema dell’artificio estetico - «ciò che unisce in virtù della correlazione esperienziale estetica sedimentandosi in essa» (p. 7) - si collega con naturale continuità speculativa. L’artificio, cioè il lavoro «ad arte», integra quanto lo precede (la suddetta correlazione) in una doppia dimensione: meramente quantitativa, poiché nuova entità che si aggiunge al reale, ed insieme squisitamente qualitativa, in quanto cosa che rende coesi e concreti gli elementi coinvolti nella relazione iniziale. Irriducibile all’esperienza pura, l’artificio estetico riesce contemporaneamente a magnificarla e completarla, divenendo un «fattore costitutivo dell’ambiente antropologico» (p. 7), una “nuova natura” contigua e presto indistinta dall’originaria, di cui solo in tempi di crisi si riesce a svelare l’identità di costrutto storico.
Matteucci evita la forma del trattato sistematico, strutturando invece il suo libro in un doppio (il tema della doppiezza torna continuamente nella sua scrittura) percorso esegetico attraverso le opere di altrettanti “grandi” della contemporaneità filosofica, chiamati a rappresentare due casi per molti versi opposti. 

La prima lettura è dedicata a Simmel e la moda: l’analisi matteucciana è minuziosa e profonda  (il libro è esito del suo impegno didattico) ed assume come nucleo del pensiero del maestro berlinese, auspicabilmente dato il tema, la Filosofia della moda del 1905 [Philosophie der Mode, Berlino, Pan Verlag], interpretata passo per passo in un lungo capitolo diviso in cinque parti (tante quante quelle costituenti il testo di Simmel). Ma si tratta solo del nucleo, per l’appunto: Matteucci muove da lontano, introducendo la lettura con una lunga serie di riflessioni desunte dall’antropologa Elizabeth Wilson [Adorned in Dreams. Fashion and Modernity (II ed ampliata), trad. it. Vestirsi di sogni. Moda e modernità, Milano, Franco Angeli, 2008].
La moda è costruzione di identità, qui intesa in senso progettuale e funzionale, non sostanziale, fondata sul binomio conformismo/originalità: un fenomeno modernissimo, che sin dalle sue prime evidenze ottocentesche prelude alla globalizzazione. Se l’abbigliamento in sé è margine tra il biologico e il sociale, tra il privato e il pubblico, e segna un confine costitutivamente ambiguo (che rimanda, secondo Wilson, a fenomeni apparentemente lontani come tatuaggi e scarificazioni), la moda va ben oltre: essa è incessante trasformazione, finalizzata esclusivamente alla propria perpetuazione, che caratterizza la vita psichica sovraccaricando l’individualità. Questo stato di cose è il risultato della contraddizione conformismo/originalità, risolta in una corsa al rinnovamento perpetuo che, in ultima analisi, è nient’altro che il conformismo dell’originalità. La moda, ovunque (senza risparmiare, per inciso, fenomeni “ribelli” quale l’hippie e il punk), parla il linguaggio del capitalismo, che «mutila, uccide, ruba, devasta», ma d’altra parte crea «grande ricchezza e opportunità che restano appena al di fuori della nostra portata. Confeziona sogni e immagini, così come cose, e la moda è parte del mondo dei sogni del capitalismo quanto lo è della sua economia» (cit. Wilson, Vestirsi di sogni, cit., p. 16); da qui, il rapporto di odio/amore, adesione/rifiuto che regola individuo e moda.
Simmel è l’autore che con maggiore consapevolezza ha messo in relazione lo sviluppo della moda con quello della metropoli. Attraverso l’esegesi matteucciana assistiamo al moltiplicarsi esponenziale e vertiginoso del consumismo dell’immagine, una rincorsa frenetica in cui il cittadino della metropoli, l’individuo invariabilmente connesso al - e determinato dal - suo ambiente, cerca continuamente di trascendersi (ri)vincolandosi sempre più. Simmel utilizza del resto l’immagine del campo di forza, struttura dinamica in cui elementi distinti eppure coesi si dibattono convulsamente restando sempre collegati. 
Ecco perché il «nucleo nevralgico delle indagini di Simmel diventano le sperequazioni tra la soggettività oggettivata dell’uomo in generale (del soggetto trascendentale che si rispecchia nell’apriori storico di ciò che è culturalmente istituito), che ha anzitutto il volto dei prodotti tecnico-scientifici e delle istituzioni sociali, e la soggettività sempre più immiserita del singolo individuo progressivamente privato di un ruolo cruciale e unitario da svolgere in prima persona e nelle pienezza di una responsabile titolarità. Nucleo nevralgico sono, cioè, le risultanze del deficit patito dall’individuo nella sua nuova e quasi satura natura artificiale» (p. 22). Iper-sollecitata, la vita psichica esprime un carattere eminentemente intellettualistico, e fenomeno eclatante di questo stato di cose è il denaro, il tema del capolavoro di Simmel del 1900 La filosofia del denaro [trad. it. Torino, Utet, 1984]: meta-merce definitiva, il denaro è mera neutralità oggettiva, massima forma dell’intellettualizzazione, forma formans symbolica (il riferimento qui è a Cassirer) della metropoli e dell’uomo-massa consumista che la popola, l’individuo blasé, che, in perenne crisi affettiva, sostiene e si sostiene nell’eterno gioco della moda. Chiude la parte un interessante confronto con il Gombrich di The Mask and the Face del 1972 [trad. it. in Aa. Vv., Arte, percezione e realtà, Torino, Einaudi 1992]. 
Con la moda “secondo Simmel” Matteucci illustra il modello dell'artificio estetico come «massima effettualità storica, come principio di estetizzazione diffusa che plasma l’interazione sociale» (p. 8), capace di «istituire l’elemento dell’identità come progetto generativo e vincolante, quasi alla stregua di un prodotto naturale, pur nell’evidenza che esso non è tale» (p. 96).
Passiamo alla seconda lettura, dedicata ad Adorno e al bello naturale. Filosofo ben diverso da Simmel (del quale comunque condivide il pessimismo circa la contemporaneità), l’esponente della Scuola di Francoforte viene trattato da Matteucci con lo stesso rigore del berlinese: una lunga e precisa analisi della sua opera, con particolare riferimento ad un lavoro significativo per il tema trattato, ovvero la complessa Teoria estetica uscita postuma nel 1970 [trad. it. Einaudi, Torino, 2009]. Di essa mette subito in rilievo l’originalità con cui Adorno prese le distanze dalla visione dell’estetica come mera filosofia dell’arte, inquadrandone invece la componente sensibile-percettiva, implicita nell’etimologia stessa del suo nome, e riscoprendola quindi come teoria dell’esperienza (p. 100) – e in questo si può dire che Matteucci trova un precursore. Con Hegel, ed insieme oltre, l’estetico per Adorno si svela quale secondo termine della relazione che coinvolge il concetto filosofico, il motore che innesca e alimenta il processo interno al pensiero filosofico, opponendosi sia alla concezione positivistico-borghese che vede nell’estetico il fondamento di un’arte intesa come «merce per domenica dello spirito», sia a quella dandistica «che si smarrisce in una totalizzante forma di vita estetica abolendo la fatica del concetto» (p. 102).
Formalmente la Teoria estetica si presenta coerentemente paratattica, caratterizzata cioè da proposizioni leggibili ciascuna nella sua particolare configurazione e riottose, invece, ad una fruizione che cerchi di svilupparle in una argomentazione lineare. Il problema è quindi stabilire un luogo dal quale partire, dato che la Teoria estetica non esige un ordine di lettura parallelo a quello di composizione. Matteucci, sulla scorta di precisi suggerimenti dell’Adorno, riconosce tale luogo nel problema del bello naturale, poiché «una teoria diventa estetica se ripristina la tensione dialettica tra il concetto e la sua alterità radicale, ossia se riconnette lo spirito alla natura; la natura è l’oggetto della dominazione della ratio illuministica, quel suo rimosso con cui occorre ristabilire un rapporto non più “nevrotico”; l’estetico è negatività positiva poiché attesta la qualitatività naturale dislocata al di fuori della portata del concetto; soggetto e oggetto raggiungono, nell’estetico, una situazione di parità in cui esprimono la rispettiva dotazione energetica in virtù di un nesso di contiguità in cui riverbera la mimesi magica dell’evento naturale; l’aura dell’opera d’arte è il risuonare, in essa, di una naturalità non domata, e pertanto indeterminata, virtuale, solamente possibile» (pp. 133-134).
Infatti, il tema del bello naturale è stato al centro di speculazioni rilevanti almeno sino a Kant, salvo poi essere rimosso dall’estetica – divenuta così filosofia dell’arte – per via della “colpa originaria” della natura, cioè della sua irriducibile alterità rispetto al soggetto raziocinante. E’ qui che si comprende bene l’importanza che la revisione dell’estetico costituisce nell’economia generale del pensiero di Adorno, soprattutto in relazione a una certa Dialettica dell’illuminismo [trad. it. Torino, Einaudi, 1966] che ha iscritto fermamente il nome del francofortese – assieme ovviamente a quello di Horkheimer – nella storia della filosofia: infatti, compito ultimo di una teoria estetica è, nelle parole di Matteucci che cita quelle adorniane, nientemeno che «istruire un processo di revisione sul bello naturale», che condanni «la dignità in quanto auto elevazione dell’animale uomo al di sopra dell’animalità (…). L’illusione della ratio è di far credere che la dignità dell’uomo risieda nel suo distacco dalla natura», poiché «la Dignità dell’Uomo (come entità generale e astratta) soffoca, con la natura, la dignità dell’uomo (come singolo)» (pp. 136-137).
Ma l’alterità, cioè l’inesauribilità ermeneutica è qualcosa che caratterizza anche l’opera d’arte, che nella sua propria enigmaticità elude ogni tentativo di risoluzione interpretativa. Ergo, rinviando al bello naturale, il bello artistico (l’artificio) «schiude la possibilità di un ritorno al punto sorgivo della soggettività e della storicità nel seno stesso della correlazione tra organismo e ambiente» (p. 8).
Concludendo: nella moda secondo Simmel, l’artificio produce una sorta di “seconda natura” che investe e caratterizza la metropoli e relativi abitanti, mentre nell’analisi del bello naturale in Adorno l’artificio, quasi in consonanza con la natura, spinge ad un superamento dell’illusione razionalistica prodotta a partire dall’illuminismo. Un binomio attraverso cui Matteucci illustra, risolve o se volete arricchisce brillantemente la propria concezione dell’estetica, sviluppando un testo che , per quanto molto complesso nei contenuti, “scivola via” con sorprendente chiarezza. La particolare scelta formale in sé, infatti, non ne inficia particolarmente lo sviluppo, per quanto condizionerà sicuramente l’interesse del lettore, nella misura del suo essere o meno conoscitore dell’opera di Simmel e/o di Adorno. Ai quali tuttavia – va detto – questo libro di Matteucci, pur in una prospettiva particolare, può fungere persino da iniziale introduzione.  


Indice

Introduzione

Prima lettura. La moda (Simmel)
1. Abito e moda
2. Lo scenario metropolitano
3. Simmel: il saggio sulla moda
4. Stile e stili d’identità
5. La figurazione dell’identità, tra Simmel e Gombrich

Seconda lettura. Il bello naturale (Adorno)
1. Moda e arte in Adorno
2. Il senso di una teoria estetica
3. La positiva negatività dell’estetico
4. Tra estetica e gnoseologia 
5. L’esperienza dell’estetico
6. Motivi estetici nella dialettica negativa adorniana
7. Artificio estetico e dialettica dell’illuminismo
8. Il bello naturale
9. Brivido naturale e artificio estetico

Bibliografia

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