lunedì 23 marzo 2015

Sherratt, Yvonne, I filosofi di Hitler

Traduzione di Francesca Pé, Torino, Bollati Boringhieri, 2014, pp. 312, euro 24, ISBN 978-88-339-2513-4

Recensione di Maurizio Brignoli – 02/01/2015

Partendo dal presupposto che la filosofia sia un elemento chiave della cultura tedesca, il testo della studiosa inglese Yvonne Sherratt si propone di analizzare le posizioni di quel gruppo di intellettuali che gravitarono intorno a Hitler e le posizioni degli accademici ebrei e degli oppositori al regime, soffermandosi infine sul destino che accompagnerà le loro vite e le loro opere.
Nella prima parte Yvonne Sherratt va alla ricerca delle fonti filosofiche hitleriane e propone citazioni di diversi pensatori per evidenziare la componente antiebraica che avrebbe ispirato

 Hitler. Kant nel1793 afferma che l'ebraismo non è una religione, dovendo essere questa fondata sulla ragione, ma è solamente una riunione di uomini appartenenti a una razza particolare. Secondo Sherratt, Kant "fornì una giustificazione - le cui radici affondavano nella cultura europea - per la potenziale criminalizzazione degli ebrei" (p. 53). Anche Fichte, Feuerbach e Hegel attribuiscono una dimensione irrazionale all’ebraismo, mentre le “teorie antisemite” di Feuerbach “furono surclassate dai ben noti pregiudizi di Karl Marx” (p. 56). Da Nietzsche viene recuperato buona parte dell’armamentario utile al Terzo Reich: “l’ardore guerresco, un pizzico di antisemitismo, il ‘Superuomo’ e il nazionalismo” (p. 64). 
Sempre nella prima parte del volume Sherratt prosegue mostrando che quando Hitler, convinto di essere il "leader filosofo", nel 1933 diventa cancelliere trova in Alfred Rosenberg la persona giusta per il processo di indottrinamento del paese. Il programma di cambiamento del sistema educativo richiede la collaborazione degli accademici tra i quali spiccano Alfred Bäumler, principale responsabile dell'interpretazione nazista di Nietzsche, ed Ernst Krieck. Rosenberg emana una serie di "liste nere" per le biblioteche, controlla i programmi di insegnamento stabilendo quali filosofi debbano essere studiati e quali no (Socrate è bollato come "socialdemocratico internazionalista"), e riorganizza gli studi universitari con l'introduzione di nuovi ambiti di ricerca come la "scienza della razza" e lo "studio degli ebrei". 
Il primo a fare le spese della “nazificazione” delle università è Edmund Husserl al quale nell'aprile del ‘33 viene notificato un congedo illimitato obbligatorio dall’università di Friburgo, mentre Martin Heidegger prende subito le distanze dal maestro di un tempo. L'eliminazione dei professori ebrei dalle università spalanca una serie di posti vacanti che costituiscono una ghiotta occasione di avanzamento di carriera per gli accademici ariani, i quali si guarderanno bene dal manifestare sdegno per il trattamento subito dai colleghi ebrei. 
Le trasformazioni operate dal nazismo richiedono la sanzione dell'autorità suprema della legge e a tale scopo Hitler farà riferimento a Carl Schmitt. Come ricostruito da Sherratt, sebbene il filosofo del diritto considerasse inizialmente i nazisti degli estremisti, mentre era favorevole a una correzione presidenzialistica della per lui troppo liberale costituzione di Weimar, quando nell'aprile del ‘33 viene invitato da Heidegger a collaborare, muta immediatamente posizione e ottiene incarichi prestigiosi compresa la cattedra a Berlino che manterrà fino al 1945. A partire dall'analisi del ’22 su “dittatura commissaria” e “dittatura sovrana”, Schmitt sviluppa le basi giuridiche per giustificare la dichiarazione dello stato di emergenza del 28 febbraio 1933; dopo la “notte dei lunghi coltelli” (30 giugno 1934) giustifica l'eliminazione delle SaA come “forma più alta del diritto amministrativo” e nel 1936 sostiene la necessità di liberare lo spirito germanico dalle falsificazioni ebraiche. Schmitt diventa il principale consigliere giuridico di Hitler e nell'aprile del 1939 è pronto giustificare la guerra nazista individuando nel Terzo Reich l’artefice di un “nuovo ordine internazionale”.
Ma Bäumler, Krieck e Rosenberg, come ricorda Sherratt, non hanno alcuna risonanza al di fuori della Germania, pertanto i nazisti hanno bisogno di una figura di prestigio che trovano in Martin Heidegger, subito disposto a schierarsi con il nazismo ricevendo il rettorato a Friburgo. Heidegger applica diligentemente il decreto che prevede l'epurazione dei non ariani dall'università e denuncerà diversi colleghi alla Gestapo. Il filosofo però suscita le gelosie dei professori nazisti che, ambendo a sottrargli il posto di "Führer del mondo accademico", faranno leva su Rosenberg per ostacolare il suo cammino accusandolo di essere un pensatore all'antica, un esponente del nazionalismo culturale romantico fichtiano e non un sostenitore della biologia della razza darwiniana. In realtà, sottolinea Sherratt, Heidegger aveva fatto pressioni per istituire una nuova cattedra di "studi razziali e genetica", ma conosce poco l'arte della manipolazione politica e solo dopo un anno si dimetterà dalla carica di rettore. Continuerà comunque a collaborare rimanendo iscritto al partito fino al 1945.
Nella seconda parte del volume Sherratt indaga la sorte dell’opposizione, di filosofi ebrei e ariani, durante il regime nazista e il destino toccato, alla fine della guerra, ai principali collaboratori filosofici del nazismo e ai filosofi ebrei sopravvissuti. 
Vengono qui ricostruiti la tragedia di Walter Benjamin che si suicida nel momento in cui non riesce a lasciare la Francia occupata dai tedeschi; l’esilio di Adorno negli Usa, dove permangono l’angoscia e la preoccupazione come si legge nelle sue lettere alla famiglia: “Il fascismo tedesco […] non è un’anomalia psicologica del carattere nazionale. È una tendenza universale […] le condizioni che lo favoriscono […] sono presenti qui almeno nella stessa misura in cui sono presenti in Germania, e la semiciviltà barbarica di questo Paese ne produrrà forme non meno terribili di quelle in Germania” (pp. 170-1); le peripezie di Hannah Arendt che riesce a fuggire dal campo di internamento in Francia. Fra gli oppositori “ariani” Sherratt si sofferma sulla figura di Kurt Huber, un conservatore nazionalista e romantico, musicologo all’università di Monaco, che, avvicinatosi al gruppo clandestino della Rosa Bianca, verrà decapitato nel luglio del ‘43.
Per quel che riguarda i nazisti, finita la guerra, Rosenberg sarà condannato a morte dal tribunale di Norimberga, ma tutti gli altri accademici che avevano collaborato con il nazismo se la caveranno. Fra il 1945 e il 1946 gli Alleati istituiscono delle commissioni di denazificazione, poi affidate ai tedeschi, che prevedono una classificazione decrescente secondo le seguenti categorie: “principale colpevole”, “attivista”, “criminale minore” e “simpatizzante”. Bäumler sconta solo tre anni di prigione e Krieck muore prima del processo. Fra i diversi esempi citati da Sherratt ricordiamo Eugen Fehrle che, noto per aver tiranneggiato la facoltà di filosofia a Heidelberg, assolda una squadra di valenti avvocati e riesce a inserirsi nella categoria dei “simpatizzanti”, nel 1950 sarà nominato professore emerito proprio a Heidelberg dove nel 1957 la facoltà di filosofia è ormai una roccaforte di ex nazisti.
Se le figure di secondo piano avevano più possibilità di cavarsela cosa succede a Heidegger e Schmitt? Sherratt mostra come Schmitt non venga processato e come unica sanzione sia interdetto dagli incarichi accademici, ma negli anni ’50 le sue opere sono accolte con favore nelle principali università tedesche e raggiungeranno presto una diffusione mondiale. Heidegger, incriminato dalla commissione di denazificazione di Friburgo verrà classificato come “simpatizzante” e raccomandato per la nomina a professore emerito conservando il diritto di insegnare. Grazie all’intervento di Karl Jaspers, che ricorda come Heidegger, Schmitt e Bäumler formassero la triade che puntava alla guida spirituale del nazismo, l’università è costretta a interdire Heidegger dall’insegnamento. Ma il filosofo riuscirà a trovare inaspettate alleanze: quando Hannah Arendt, rientrata in Germania nel 1950, decide di andare a fare visita al vecchio amante; il suo giudizio, dopo l’incontro, cambia radicalmente: “Il ‘mostruoso assassino’ non esisteva più; al suo posto c’era un genio che non andava infastidito con critiche meschine sul suo passato” (p. 243). Da lì in avanti Arendt inizierà a riabilitare la figura di Heidegger e utilizzerà le sue conoscenze nell’editoria ebraica per far sì che le sue opere vengano stampate in tutto il mondo, mentre un altro inatteso sostenitore sarà Jean-Paul Sartre. Nel 1951 Heidegger ha già riottenuto il posto a Friburgo.
Come ricorda Sherratt i filosofi ebrei sopravvissuti incontreranno molte più difficoltà dei loro colleghi nazisti. Jaspers, sposato con un’ebrea e rimasto in Germania rischiando la vita, è incaricato nel 1945 di riaprire l’università di Heidelberg, pur opponendosi al reinserimento dei docenti nazisti scopre presto che le sue indicazioni sono state letteralmente ignorate e nel 1948 lascerà la Germania per trasferirsi all’università di Basilea; Herbert Marcuse rimane negli Usa; Hannah Arendt nel 1951 ottiene la cittadinanza statunitense. Fra i pochi che tornano in Germania Karl Löwith finisce a Heidelberg dove si dirà “circondato da nazisti”; Max Horkheimer riaprirà a Francoforte l’Istituto di ricerca sociale; Adorno, che sperava di essere reintegrato nell’università, ottiene solamente un incarico temporaneo, ma l’incerta posizione lavorativa lo costringerà a tornare oltre Atlantico,; solamente nel 1957, grazie al successo dei suoi scritti e all’appoggio di Horkheimer, l’università di Francoforte lo nomina professore ordinario. Quando nel 1955 Adorno dichiara che fra i tedeschi permangono atteggiamenti nazisti, Peter Hofstätter, psicologo sociale con passato nazista, lo accuserà di voler opprimere la nazione con il senso di colpa. Adorno sarà molto critico anche con Heidegger provocando l’ira di Hannah Arendt.
Nei decenni successivi al conflitto in Germania, Usa, Italia e Francia saranno pubblicati, con grande successo, molti studi su Schmitt e alla fine del XX secolo si verifica la “rinascita di Schmitt” con un’ancora più forte ammirazione per la sua opera. Come ricorda Sharrett in una recente traduzione statunitense del Nomos della terra si dice che l’opera offre “prospettive per un nuovo ordine mondiale” (p. 254). In compenso gli scritti di Kurt Huber sono fuori commercio mentre Benjamin, Arendt e Adorno “non sono mai entrati nel canone filosofico del mondo anglosassone” (p. 257). 
Pur fornendo un’accurata ricostruzione degli eventi e degli stati d’animo dei personaggi il testo non pare esente da alcuni difetti sul piano dell’analisi filosofica e storica. Sicuramente le radici del nazismo affondano in diversi elementi della tradizione occidentale (e non solo tedesca), ma associare indistintamente Kant, Fichte, Hegel, Marx, Nietzsche a Lagarde e Langbehn sotto la categoria di “antisemitismo” è fuorviante. A parte che la categoria andrebbe quantomeno delimitata altrimenti oltre ai filosofi citati da Sherratt vi rientrano Seneca, Tacito, Erasmo, Voltaire e così via; un conto è l’antisemitismo (meglio sarebbe “antiebraismo” visto che semiti non sono solo gli ebrei) e altra cosa è la critica legittima di una tradizione religiosa e culturale che non comporta discriminazione alcuna e nulla ha a che spartire con una gerarchizzazione razziale, ad esempio la critica di Hegel e Marx punta proprio alla cancellazione della discriminazione. Anche nella parte più interessante del testo, quella sul dopoguerra, manca un’analisi del contesto costituito dalla guerra fredda con l’inserimento della Germania nel sistema di alleanze statunitense che spiegherebbe bene perché i nazisti (e non solo i filosofi) siano stati riabilitati in quanto fedeli elementi anticomunisti. La stessa fortuna delle idee di Schmitt nell’ultima parte del XX secolo, che correttamente Sherratt sottolinea, ci pare si sposi bene con le necessità ideologiche di riaffermazione di un nuovo ordine mondiale imperialistico seguito alla sconfitta dell’Urss. Infine l’evoluzione di Hannah Arendt che, dopo una giovanile adesione al sionismo, nel dopoguerra assume sempre più una posizione critica arrivando a paragonare la polizia israeliana a quella nazista porta l’autrice a subodorare: “L’incontro con Heidegger nel 1950 aveva forse intaccato il suo fervore per la causa ebraica?” (p. 249); ma, a meno di identificare ebraismo e sionismo, difendere la causa ebraica e criticare il sionismo non sono due cose incompatibili.


Indice 

Dramatis personae
Prologo
Introduzione

Parte prima
1. Hitler: il "mescitore di genio"
2. Calice avvelenato
3. Collaboratori
4. Il giurista di Hitler: Carl Schmitt
5. Il superuomo di Hitler: Martin Heidegger

Parte seconda   Gli oppositori di Hitler
6. Tragedia: Walter Benjamin
7. Esilio: Theodor Adorno
8. L'ebrea: Hannah Arendt
9. Il martire: Kurt Huber
10. Il processo di Norimberga e oltre

Epilogo

8 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Il recensore compie in prima parte di suo scritto allineamenti storici indebiti oltre che arbitrari secondo non distinzioni tra fondamenti del pensiero e circostanze intellettuali che invece indice di libro recensito suggerisce con metafora che mostra tragica unione ingannatoria composta indebitamente oltre che arbitrariamente e per mortali scopi che non potrebber esser mai compatibili con la filosofia. A studiare i fatti e le testimonianze, si nota che Hitler profittava di coincidenze verbali e di ignoranze extrafilosofiche di stessi filosofi e di intemperanze verbali; ma stesso titolo del libro resta comunque indebitamente aggressivo ed incautamente non filosofico, perché il razzismo antisemita di Hitler va distinto nettamente e sùbito dall'assolutismo culturalmente politicamente antisemita ed anche dalle polemiche religiose dell'antisemitismo culturale e religioso.
Non tutti i litiganti eran uguali e non sempre si odiarono anzi spesso si stimarono prima della avversione razzista, nazista ed hitleriana e di stesso Hitler. Ciò va capito anche per evitare ingiusti appellativi ( ...per esempio giorni addietro, su RaiStoria si mandava in onda documentario sulla vita di Adolph Hitler e su persone a lui vicine, mostrando di Hitler stesso anche lato della personalità non coperto dalle sue gigantesche colpe, ma la comprensione delle immagini era osteggiata da commento sbagliato su di lui e su suo ambiente ed anche su tutt'altro, perché la vita di Hitler ovviamente non fu mai segnata da comprensioni vere di arti marziali e mai dunque egli avrebbe potuto far vita "spartana" e neppure persone a lui conviventi direttamente con lui attive; perché ovviamente lo avrebber impedito o dissuaso dai suoi crimini se fosser stati coinvolti in vita spartana e se in questa vi fosse stato coinvolto lui stesso se ne sarebbe dissuaso; perché le discipline marziali e ciò che ne scaturisce o deriva pongono l'essere umano in non condizione di immotivata violenza, dato che

la vita e la mente postesi in valutazione di violenza e morte ne rifiutano gli errori e se ne escludono i torti.

È ovvio auspicare che la si smetta di farneticare confondendo lo spirito marziale per la distrazione dalla vita. )

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Non saprei dire se autore (autrice in tal caso) avendo intuito malevolenza di Hitler contro esistenza del pensiero occidentale e della filosofia ne resti poi anche vittima, confondendo i torti del nazismo veramente tale con gli errori degli altri, o se recensore n8n abbia colto vere conclusioni delle ricerche dell'autore. Purtroppo a tuttoggi non sono dovutamente considerati gli inganni di Regime nazista ed i tentativi di mitigarne od annullarne la violenza sono spesso scambiati per la violenza stessa, da storici ed intellettuali incapaci o faziosi per appartenenze politiche opposte ma ugualmente estreme ed irriflessive ed anche violente: si sa, molti sanno, che il Regime comunista e totalitario in Germania Ovest fu più spietato ancora.
Nel dubbio di incoerenza di (in tal caso) autrice, accludo mia riflessione e racconto su Carl Schmitt, che scrissi perché notissimo filosofo italiano ne valutò operato allineandosi a considerazioni parziali ed inette su sua attività politica:

[ ] Mi riferisco a quanto scritto ne "Il tramonto della politica" su Carl Schmitt. Forse per alcuni ambienti l'inclusione è parsa azzardata o comunque temeraria, d'altronde è proprio vero che Schmitt non era nazista. Altrove io scrissi su Heidegger, cercando di far capire come mai costui non era un vero nazista ma soltanto uno che contava di poter dirigere il regime nazista evitandogli delitti e disastri. Ritengo possa essere ancora di maggior aiuto quanto ho potuto sapere su Carl Schmitt. Carl Schmitt aveva studiato gli eventi contemporanei della sua Germania, nazismo compreso, notando assai acutamente e prontamente che il regime nazista faceva uso falso ma non falsificante di due nozioni politiche reali: il socialismo ad impronta nazionalista; il titolo imperiale d'origine medioevale, dal Sacro Romano Impero ove era indicativo, ai successivi ordini imperiali tedeschi nei quali aveva sola funzione illustrativa, fino agli anni della democrazia quando era diventato un simbolo della cultura ufficiale dello Stato tedesco, sebbene fosse restato perloppiù e per i più inattivo od inutilizzato. Schmitt aveva compiuto queste considerazioni già durante gli anni dell'avvento al potere e del mantenimento del potere da parte di Hitler e del nazismo. Aveva altresì capito che l'evocazione dei nomi imperiali da parte dei criminali nazisti riusciva senza che essi capissero cosa stessero evocando. In tal senso riteneva che tale evocazione era di effetto contrario a quanto previsto dai nazisti, perciò decise di assecondarla con lo scopo di far smascherare Hitler ed i suoi complici ed affinché il piano di annientamento culturale delle tradizioni tedesche messo a punto dal nazismo restasse sventato dalla stessa propaganda imperiale nazista, che manifestando i significati tradizionali delle parole istituzionali, quali "kaiser" e "reich", significati in realtà preclusi ai nazisti e di più ad Hitler stesso, avrebbe ottenuto l'effetto opposto di suscitare o resuscitare le memorie orali, potendo quindi queste aiutare alla protezione dei libri e delle istituzioni universitarie della Germania, quindi a ridicolizzare lo stesso Hitler ed i suoi seguaci. Schmitt perciò descriveva la forma esteriore del regime nazista propagandata dal regime, in tal modo molti intellettuali tedeschi potevano ottenere comprensione di quale fosse la seduzione che il nazismo suscitava e ricomprensione della storia tedesca, già negli anni di democrazia obliata o spesso fraintesa. ...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(Nel dubbio di incoerenza di (in tal caso) autrice, accludo mia riflessione e racconto su Carl Schmitt, che scrissi perché notissimo filosofo italiano ne valutò operato allineandosi a considerazioni parziali ed inette su sua attività politica:)

... Per contro, sospettandolo, i nazisti fecero avere a Schmitt notizie false secondo le quali il regime aveva cambiato ed era diventato una riprosecuzione del tradizionale Impero Tedesco. Ma l'iniziativa, supponendosi fosse diversivo, ripeteva involontariamente sempre lo stesso schema propagandistico, sicché le consapevoli e deliberate trame personali antinaziste di Schmitt restavano incomprese dai capi nazisti e da Hitler stesso, permettendogli (a Schmitt) continuazione delle trame stesse, il cui risultato in principio era stato modestissimo, durante le fasi della duplice occupazione americana-sovietica degli Alleati invece cospicuo, talora anzi determinante per la sopravvivenza della cultura tedesca della Germania occupata che presto sarebbe stata divisa. Di questa oscura vicenda politica non ho trovato menzione né conoscenza negli scritti del prof. Severino che ho potuto leggere visionare o di cui notizia. Eppure è vero: Carl Schmitt fu antinazista! La mirabile ricostruzione di storia del genere umano e criminologia contenuta nel libro "Il tramonto della politica", di E. Severino, ottenute necessarie comprensioni di quanto ho esposto, permette pur senza iniziarla una lettura diversa dell'analoga ricostruzione di Schmitt, che apparirebbe all'iniziato portatrice di significato alternativo rispetto a quanto risulta effettivamente al Severino. In ultima analisi il significato originario è quello alternativo, che rappresenta un racconto ancestrale dei Germani, interpretato secondo il pensiero arcaico tedesco, dunque teutonicamente riferito al passato ancestrale della Germania stessa, germanicamente riferibile al passato ancestrale dei Germani quando non esisteva alcun luogo per loro dicibile "Germania". Ciò significa che la stessa ricostruzione del Severino, unita a maggiori notizie biografiche e politiche sull'opera filosofico-politica di Carl Schmitt, non risulta incompatibile con altra interpretazione degli scritti di Schmitt stesso, neppure con quella basata sulla ricerca etnografica ed etnologica. Secondo tale chiave di lettura, Schmitt aveva ricostruito un racconto delle origini dell'umanità europea, quale abitante fissa dell'omonimo continente, potendone egli distinguere secondaria-successiva identica non medesima narrazione, riferita alla storia della civiltà umana, mentre la prima era riferita, secondo stesse ideologie ancestrali, alla storia della cultura umana. Secondo questa ultima, il racconto è una rappresentazione della presa di possesso di vaste terre da parte di antichi pastori-coloni, fermamente intenzionati ad usare il coraggio di essere e restare liberi per lottare a favore della vita non solo propria e del genere umano, cioè dell'intero continente europeo e blocco continentale euroasiatico e di quanto immediatamente attorno (mari europei ed oceano euroasiatico cioè). [ ] ...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(Nel dubbio di incoerenza di (in tal caso) autrice, accludo mia riflessione e racconto su Carl Schmitt, che scrissi perché notissimo filosofo italiano ne valutò operato allineandosi a considerazioni parziali ed inette su sua attività politica:)

... Si racconta dunque di un dramma senza tragedia (secondo tipico stilema nordico, alla Ibsen per così dire) che stando quale riferimento alle origini storiche della abitazione umana dell'Europa, ottenuta sottraendo a gravi e luttuose coincidenze negative vasti ambienti per mezzo di atti duri o durissimi di ogni genere, che avevano scopo di bonifica degli ambienti, era stato poi riferito per corrispondenza dei fatti esteriori e di origini remotissime non comuni ma uguali, da parte di una umanità non europea, alla storia della facile espansione della civiltà umana (riguardante l'Africa, il Meridione, principalmente), e divergendo poi il linguaggio nuovo, fatto corrispondere, a causa del contenuto diverso di quanto appariva uguale. Per questo la lotta furiosa degli antichi pastori futuri coloni europei per rendere l'Europa luogo ospitale per tanta soddisfatta fauna, felicemente adatto per la flora, opportuno per la parte dell'umanità interessata ad esso, riecheggiata tramite originali saghe, nel profondo Sud del mondo appariva quale rievocazione della prepotenza civile (nella attuale Africa tribale ancora oggi il racconto tradizionale riferito ad eventi dell'Oriente abbandonato dai primi viaggiatori per il Sud, interessati al vasto luogo dalla forte natura, prepotente coi civili prepotenti). Il lettore che mi avesse potuto, in qualche modo, seguire in questa sorta di volo pindarico, od anche solamente pochissimo seguirmi fino a questo segno con le sue conoscenze, allora potrebbe intendere il resto: era questa prepotenza civile un altro fenomeno da quello che si chiama nella nostra lingua "violenza" e da ciò che vi corrisponde nelle altre lingue moderne europee e contemporanee occidentali. Si trattava della storia che nella filosofia contemporanea Nietzsche aveva realmente inquadrato nel concetto di genealogia della morale, in particolare dell'atto primo di questa vicenda, aggiungo, per chi ne fosse interessato, biblicamente corrispondente all'epoca umana dell'Adamo decaduto. A questo nucleo di verità non si riferisce direttamente la ricostruzione del Severino [ ] Per chi fosse stato possibile, da esterno, introdursi a questo altro mondo occidentale, allora il racconto ancestrale riportato da Carl Schmitt, consapevole del valore etnico del proprio ritrovamento, sarebbe tramite differente sia pur restando ugual mezzo. Allora del ritrovamento storico di Schmitt si potrebbe compiere una lettura completa ed interpretazione non parziale. ...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(Nel dubbio di incoerenza di (in tal caso) autrice, accludo mia riflessione e racconto su Carl Schmitt, che scrissi perché notissimo filosofo italiano ne valutò operato allineandosi a considerazioni parziali ed inette su sua attività politica:)

... Si tratta del passato comune degli abitanti fissi d'Europa, che la cultura tipica dei Celti serbava in complicati riferimenti, che invece nelle tradizioni di convivenza della Germania era patrimonio semplice da conservare, e che nelle abitudini etniche, sia germaniche, sia celtiche o greco-celtiche, insomma riferite ai germani senza Germania e non ai tedeschi della Germania, era una evidenza dello stesso vivere e pensare comune (anche per me che scrivo lo è, sono cose anche italiane oltre che del resto d'Europa). Inoltre si tratta pure del passato comune ad ogni nuovo appartenente etnico europeo che si fosse fatto tale o si facesse tale da solo o comunque creativamente. Non si tratta di una storia inerente alla cittadinanza; solamente nei racconti uguali ma non stessi dal Sud ed Oriente lo rappresenta. Ciò indusse Schmitt, che del ritrovamento comprendeva ovviamente secondo appartenenza teutonica, a rapportare i due esemplari, dedotti dagli studi di politologia, glottologia ed altro; notando che il nucleo di maggior riscontro per i significati storici rilevabili universalmente era quello riferito ad una vicenda culturale in apparenza antiecologica in realtà drammaticamente ecologica, che riferiva del passato innocente culturale-civile diverso da un altro civile-culturale, quest'ultimo contenente la storia del dilagare della violenza senza freni né saggezza e del conseguente provvedersi politico a fronteggiarla. Quindi Schmitt notava che la storia europea differiva dalle restanti perché si svolgeva secondo direttiva principale originaria ed originale culturale-civile, accadendo in essa le violenze della direttiva civile-culturale quali estraneità o invasività. MAURO PASTORE

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In un mio messaggio precedente c'è un ' n8n' che sta per: non .

Reinvio parte relativa del testo con correzione acclusa:

Non saprei dire se autore (autrice in tal caso) avendo intuito malevolenza di Hitler contro esistenza del pensiero occidentale e della filosofia ne resti poi anche vittima, confondendo i torti del nazismo veramente tale con gli errori degli altri, o se recensore non abbia colto vere conclusioni delle ricerche dell'autore. Purtroppo a tuttoggi non sono dovutamente considerati gli inganni di Regime nazista ed i tentativi di mitigarne od annullarne la violenza sono spesso scambiati per la violenza stessa, da storici ed intellettuali incapaci o faziosi per appartenenze politiche opposte ma ugualmente estreme ed irriflessive ed anche violente: si sa, molti sanno, che il Regime comunista e totalitario in Germania Ovest fu più spietato ancora.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Aggiungo altra considerazione:

Quando Hitler tentava di sfruttare l'operato di Carl Schmitt, lo Stato in Germania non era ancora caduto del tutto in mani naziste e Schmitt tentava di evitarlo, fermamente convinto che si dovesse riparare ai torti di passata intolleranza culturale semita ed in particolare ebraica in Germania (che davvero vi fu, si tratta di capire i violenti contrasti culturali-politici antecedenti alla conflittualità razzista e nazista). Inoltre Schmitt (ed anche altri non solo lui) volevano evitare che le università restassero inattive durante l'imperversare del nazismo e pensavano di poterci restare non aiutando i piani razzisti di Hitler ma continuando politica etnica non etnofobica (!) di Antico Regime che durante fase più democratica di politica tedesca precedente al nazismo non si era potuta concludere.
Inoltre bisogna capire chiaramente che Schmitt era contento della soppressione delle cosiddette "Sa", truppe d'assalto comandate dai nazisti, non perché fosse complice di loro concluse imprese, ma perché la soppressione di esse poteva e doveva essere occasione di ripresa del vero Stato affinché dopo le violenze naziste ed in parte durante esse si potesse conservare qualcosa del vero Stato tedesco; ma realisticamente notava che i benefici della soppressione concernevano solamente diritto amministrativo tedesco.
Infine Schmitt elogiava soltanto carica istituzionale di "Terzo Reich" e restava del tutto contrario a nazismo ad Hitler e ad hitleriani, perché li riteneva usurpatori e falsificatori di ruolo; del quale mostrava la utilità burocratica e diplomatica contro prepotenze ed ipocrisie straniere ma nel far ciò egli restava senza complicità con regime nazista né con Hitler né con hitleriani; infatti egli non fu mai neanche filonazista neppure filonazista illuso od ingannato; egli interloquiva politicamente secondo quanto restava di passato burocratico repubblicano e post-imperiale non secondo le idee peraltro del tutto illogiche del sistema nazista; anzi egli stesso (Carl Schmitt) tentò di porre il sistema nazista contro l'apparato nazista e qualcosa ottenendone infine, da fine guerra e durante primo dopoguerra.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In testo precedente da me inviato v'è possibile apparente incongruenza in menzione di Germania Ovest.
Dunque specifico che condizioni di Regime dittatoriale comunista vi furono in Germania Ovest, da stesso Ovest realizzate, a fine seconda guerra mondiale e in primissimo dopoguerra; inoltre va ricordato che furono date, poi, imposizioni di Regime esternamente, da Germania Est oppure da Unione Sovietica, a Germania Ovest, prima di costruzione del Muro di Berlino ed anche poi in zona non comunista di stessa città di Berlino.

Comunque preferisco accludere qui stesso testo in versione più comprensibile e completa:


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Non saprei dire se autore (autrice in tal caso) avendo intuito malevolenza di Hitler contro esistenza del pensiero occidentale e della filosofia ne resti poi anche vittima, confondendo i torti del nazismo veramente tale con gli errori degli altri, o se recensore non abbia colto vere conclusioni delle ricerche dell'autore. Purtroppo a tuttoggi non sono dovutamente considerati gli inganni di Regime nazista ed i tentativi di mitigarne od annullarne la violenza sono spesso scambiati per la violenza stessa, da storici ed intellettuali incapaci o faziosi per appartenenze politiche opposte ma ugualmente estreme ed irriflessive ed anche violente: si sa, molti sanno, che il Regime comunista e totalitario durante sue sporadiche 'applicazioni' in Germania Ovest fu più spietato ancora che in Germania Est e comunque in definitiva in Germania fu più spietato di quanto era stato quello nazista in stessa Germania. [...]

MAURO PASTORE


MAURO PASTORE