mercoledì 2 novembre 2016

Maffettone, Sebastiano, Filosofia politica

Roma, Luiss University Press, 2014, pp. 206, euro 12, ISBN 978-88-6105-194-2

Recensione di Antonella Ferraris - 30/12/2015

In questo breve, ma denso libretto, Sebastiano Maffettone costruisce una sorta di mappa delle principali correnti della filosofia politica contemporanea, un ambito da lui frequentato per più di quarant'anni.
In questa recensione, anziché ripercorrere integralmente le correnti analizzate, cercherò di ricostruire la struttura del lavoro e le intersezioni concettuali che consentono a Maffettone di delineare il mondo della filosofia politica attuale, che ruota, dati i suoi studi e i suoi interessi,  intorno ai dibattiti promossi dal mondo angloamericano.


Al centro della galassia di Maffettone  vi sono tre poli: il liberalismo, la democrazia, la teoria della giustizia.
Il liberalismo politico, nelle sue varie declinazioni, è la necessità di salvaguardare opzioni di libertà all'interno di sistemi istituzionali complessi. Il principio che giustifica questa opzione è l’universalismo della libertà, che pretende di essere neutrale  rispetto ai valori e agli scopi che gli individui perseguono; la legittimazione del liberalismo è il consenso popolare. Per noi italiani il liberalismo filosofico coincide con la figura di Benedetto Croce. Il suo liberalismo si fonda su uno spiritualismo metafisico mutuato da Hegel, che tuttavia, nella opposizione dei distinti, va incontro a problemi relativi tanto al rapporto tra filosofia e politica, che fa parte con l'economia dell'ambito pratico, quanto a quello tra filosofia e storia. In entrambi gli aspetti il pensiero di Croce  presenta rilevanti ambiguità (il rapporto con il fascismo, la difficoltà di sciogliere i nodi tra etica e politica) che hanno portato a ridimensionare la sua importanza nell’ambito della filosofia politica italiana. Croce fa parte, con Hayek, gli storicisti e prima ancora Hume e Bentham, dei cosiddetti liberali realisti. Come Croce, Hayek non considera importanti gli snodi etico-politici, ma si affida alla persuasività dei fatti. Un ordine politico si mantiene grazie alla sua capacità di resistere alle difficoltà della storia, senza aver la possibilità di valutarlo sul piano etico-politico. L’altra faccia del mondo liberale è costituita da  Kant, Rawls, Dworkin, che non mettono mai in dubbio l’impianto liberale delle loro filosofie. Il liberalismo di Rawls sposa un’ idea di pluralismo della libertà (la lista dei beni primari) e la innesta su una concezione costruttivista della società basata sulla riproposizione del contratto sociale. Il liberalismo rawlsiano è poi egualitario, dato che non accetta diseguaglianze sociali che non siano motivate e non vadano a vantaggio di tutti; la ragione pubblica obbliga poi i cittadini alla cooperazione e alla giustificazione dei propri principi morali. Il consenso per intersezione rappresenta il punto massimo della riconciliazione sociale.
Il secondo tema fondamentale è quello della democrazia. Il sistema democratico è, almeno formalmente, il più diffuso nel mondo e risolve i conflitti d'interesse attraverso l'uso di procedure condivise e attraverso l'obbligatorietà delle norme, ma non è esente da problemi. Una delle questioni più "antiche", già evidenziata dal marxismo ottocentesco, è il rapporto tra democrazia e capitalismo. Marx sosteneva che il consenso dei cittadini, in alcune decisioni chiave, non era del tutto libero a causa dei condizionamenti economici; questa tesi è difficilmente sostenibile attualmente, almeno in modo così radicale; è vero però che la presenza delle  lobby e l'influenza dei grandi poteri economici condizionano la vita democratica. Un altro punto critico è l'incidenza delle scelte pubbliche. Il teorema dell'impossibilità di Arrow ha dimostrato che la democrazia passa attraverso cicli di impossibilità decisionale, la cui unica alternativa sarebbe la dittatura (un argomento a favore, alla fine, della teoria delle élite). Vi sono poi teorie procedurali della democrazia; tra i molti autori citati ricorderò Dahl e il suo concetto di poliarchia, in cui la sovranità popolare e il controllo esercitato dai cittadini assicurano la tutela degli interessi di gruppi in competizione tra di loro. Il capitolo termina con l'esame della democrazia procedurale di Bobbio, che mette in evidenza anche le promesse non mantenute della democrazia, che sono alla base della crisi di questi ultimi anni. 
Un corposo capitolo è dedicato alla sintesi delle principali teorie della giustizia distributiva, il terzo polo di Maffettone:  un caso particolare di giustizia che fornisce criteri per assegnare beni sociali primari.  Le teoria della giustizia esaminate sono le principali: il contrattualismo di John Rawls, il libertarismo di Nozick, l’utilitarismo di Peter Singer, il risorsismo di Dworkin, il capability approach di Sen e Martha Nussbaum. Tutti questi autori forniscono criteri di distribuzione diversi, più complessi, rispetto a criteri intuitivi come l’eguaglianza e il merito. Viene  discussa, ad esempio, l’idea di Nozick che il mercato e solo il mercato può regolare le opzioni di giustizia per mantenere inviolabili i diritti individuali; oppure l’opzione di Sen che mette in evidenza la differenza tra scelte istituzionali e scelte compiute effettivamente dalle persone.  A questa concezione “materiale” della giustizia si affianca un secondo atteggiamento, che chiameremmo del riconoscimento, che invece si occupa di questioni politico culturali, tradizionalmente trascurate dalla giustizia distributiva. In questo spazio troviamo  Jürgen Habermas, uno dei più importanti filosofi in attività, e la sua concezione della democrazia deliberativa, che possiamo definire sostanzialmente neo-kantiana. Habermas invita a considerare l’orizzonte dialogico delle persone, che in un ambito democratico si confrontano sostenendo interessi contrapposti; si tratta di un modo per coniugare la tradizione “continentale” di matrice hegeliana con la filosofia analitica anglosassone. Gli altri due occupanti dello spazio dedicato al riconoscimento sono il repubblicanesimo,  di cui viene dato conto delle due principali linee di sviluppo (Pocock-Arendt e Skinner-Pettit) e il femminismo, cui tuttavia, nonostante la sua importanza riconosciuta e sovente evidenziata nel testo, sono dedicate tre stringate paginette su egualitarismo e differenzialismo. Legata alla questione del riconoscimento è la discussione sul multiculturalismo, nata dal riconoscimento che la maggior parte delle società democratiche presentano una pluralità di culture al loro interno e che questa positiva diversità va sostenuta con politiche specifiche. Il multiculturalismo nasce all’interno di situazioni politiche in cui è necessario proteggere minoranze linguistiche come nel Québec o nel Sud Tirolo italiano, e vien messa fortemente in crisi dalle migrazioni degli ultimi anni: un filosofo come Kymlicka si basa sul presupposto che gli immigrati possano e vogliano (soprattutto) integrarsi con il contesto. La presenza di minoranze, come quella islamica, riluttanti all’assimilazione, e con una concezione debole della ragione pubblica costituiscono un pericolo per la maggioranza della popolazione e sono l’immagine del fallimento del multiculturalismo.  
Una volta esaminato il centro interpretativo della filosofia contemporanea, Maffettone analizza alcuni elementi di critica. Il primo ambito ad essere criticato è il liberalismo rawlsiano da parte delle due principali forme di comunitario. La prima (Sandel) verte sulla natura del soggetto morale: una delle critiche mosse a Rawls è la natura troppo astratta dell’io, che invece è immerso in una serie di pratiche sociali che comprendono le sue relazioni e i  suoi ruoli; a sua volta Sandel non tiene conto del fatto che essere dalla nascita parte di una certa comunità non significa amarla, né che i suoi parametri debbano diventare per forza normativi. Walzer, forse il più noto dei comunitaristi viventi, contrappone ai principi di Rawls il concetto di eguaglianza complessa, in cui le varie comunità di appartenenza ricevono lo stesso grado di libertà. Quello che manca è una soluzione per quei problemi che vanno al di là dello stato nazionale.
Alla astrattezza della teoria della giustizia tradizionale fanno eco le  sue versioni post moderne, gli studi culturali di Lyotard, Foucault e Rorty; quest’ultimo in particolare ha dedicato diversi studi alla democrazia dandone una visione non normativa ma descrittiva, in cui non ci sono obblighi morali di tipo kantiano, cioè vincolanti in senso universale, ma le relazioni che intratteniamo con vari di gruppi di appartenenza, famigliari o sociali. I conflitti nascono da differenti visioni del sé. In paesi extraeuropei come la Cina, l’India o i paesi islamici, al di là della questione  postcoloniale che costituisce un approccio a sé, i temi della libertà e dell’uguaglianza vengono trattati all’interno di visioni normative tradizionali (dal Confucianesimo al Corano). La questione del pensiero islamico è di particolare importanza alla luce delle vicende attuali del mondo arabo, che oscilla tra i tentativi falliti della Primavera araba e il terrorismo di Isis e Qaeda. Se non si vuole condannare il mondo arabo ad una regressione perenne che impedirebbe sia la modernizzazione, ad esempio dei sistemi giuridici, sia l’accoglimento dei diritti umani fondamentali, senza contare l’inevitabile conflitto culturale, bisogna accettare l’idea di un compromesso basato, secondo Maffettone sull’ampliamento del consenso per intersezione rawlsiano al diritto internazionale.  Ciò non significa che anche nel pensiero islamico contemporaneo non ci siano opinioni reazionarie, antimoderne, assimilabili, ad esempio a quelle di un De Maistre o di un Carl Schmitt; lo svantaggio di posizioni simili è quello di non riflettere sulle ragioni della decadenza del mondo arabo e di darne la colpa unicamente a fattori esterni (ad esempio il colonialismo o l’influenza dell’Occidente). Non basta una lettura ermeneutica critica dei testi sacri per sviluppare un atteggiamento liberale o democratico: il fondamentalismo islamico infatti utilizza l’ermeneutica del Corano per diffondere un’interpretazione letterale e del tutto illiberale. Occorre che alla rilettura dei testi si accompagni un'ottica ispirata alla giustizia e al liberalismo; la religione islamica è un orizzonte morale e di comportamento per i cittadini, oltre che il loro orizzonte culturale primario; non sarebbe possibile pensare di eliminarlo.
Il discorso relativo alle diversità culturali si collega al tema più vasto del postcolonialismo, ossia la critica agli effetti culturali del colonialismo e la rivendicazione, da parte dei colonizzati, di uno spazio culturale proprio. In questo ambito, Maffettone mette in evidenza come vi siano numerose  opposizioni in gioco: universalismo/localismo; modernismo/antimodernismo/postmodernismo; scientismo/antiscientismo - non a caso sono proprio autori  postmoderni come Foucault a difendere una visione antiscientistica e particolaristica fortemente orientata verso l’emancipazione. In questo modo però la sbarra dell’universalità è sempre più alta e sempre meno raggiungibile; non restano che le negoziazioni particolaristiche di cui parla Žižek. Per Maffettone un atteggiamento che recuperi una prospettiva maggiormente universalistica sarebbe preferibile.
Ultima grande corrente considerata è il marxismo. Cosa resta di Marx, attualmente, dopo la fine del comunismo? Maffettone sostiene  che non sono le cosiddette profezie di Marx ad essere messe in questione, insieme, complessivamente, al suo storicismo: le conseguenze delle sue premesse sono in qualche modo piegate a quelle che sono le esigenze dell'ideologia, e della realizzazione dell'ideologia. Così si introduce il tema della caduta tendenziale del saggio di profitto, l'elemento che permette di collegare l'indagine sulle  caratteristiche del capitale e sul suo sistema di accumulazione e la società futura. Impossibile non sottolineare quanto la filosofia di Marx da questo punto di vista sia utopistica; e tuttavia, per la comprensione del mondo globalizzato, Marx è stato ripreso dagli economisti che hanno sottolineato l'importanza dell'universalizzazione del capitale, rimarcando allo stesso tempo la sottovalutazione delle sue capacità di recupero; allo stesso tempo tutti coloro che si vogliono o si richiamano al socialismo si rifanno all'egualitarismo di Marx, privo tuttavia del tema della abolizione della proprietà privata.
L'ultimo capitolo, alquanto distaccato dal resto del corpus, riguarda il tema di cui Maffettone si è occupato nell'ultimo periodo, già trattato in maniera molto più ampia in Un mondo migliore. Giustizia Globale tra Leviatano e Cosmopoli, (2013) ossia la giustizia applicata ai conflitti internazionali e alla ricerca di una pace ed un equilibrio che superi le differenze giuridiche ed etiche tra gli Stati. Anche qui, il fondamento è nella teoria rawlsiana del consenso per intersezione, che consente un approccio che dovrebbe inglobare il liberalismo occidentale con le esigenze culturali delle altre tradizioni. 
Nel complesso, il libro di Maffettone è uno strumento prezioso per lo studioso e lo studente, proprio per il suo approccio tematico, che lo differenza da altri dello stesso genere (ad esempio Kymlicka, Introduzione al pensiero politico contemporaneo, 1996), senza sacrificare nulla nella comprensione delle ramificazioni e delle sovrapposizione del pensiero politico contemporaneo.


Indice

Premessa
Introduzione
Parte I : Liberalismo e democrazia
Capitolo 1. Liberalismo
Capitolo 2. Democrazia
Capitolo 3. Giustizia
Capitolo 4. Liberalismo e Multiculturalismo
Parte II: Critiche alla Liberal Democrazia
Capitolo 5. Comunitarismo
Capitolo 6. Potere/cultura, postmoderno e limiti dell’approccio distributivo
Capitolo 7. Postcolonialismo e teoria politica postmoderna
Capitolo 8. Marxismo
Parte III: Giustizia Globale
Capitolo 9. Giustizia Globale
Bibliografia

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