lunedì 21 novembre 2016

Muraro, Luisa, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto

Brescia, La Scuola, 2016, pp. 86, euro 8,50, ISBN 978-88-350-4370-6

Recensione di Silvia Baglini - 15/06/2016

Testo uscito nei giorni della discussione parlamentare del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, quest’ultima opera di Muraro affronta un argomento di attualità portando la riflessione filosofica nel cuore del dibattito politico. Sin dal titolo si vuol affermare una posizione, però Muraro precisa: quel “contro” non vuole esser appaiato ad un tipo di dialettica oppositiva tipica del discorso mediatico; è parola impegnata, “sbilanciamento”, ingresso nel dialogo cui il presente libro vuol appartenere. 


A quale “domanda” risponde, allora, Muraro? Non a quella relativa alla legittimità della sanzione normativa della stepchild adoption o di forme altre di maternità per le coppie (non solo omosessuali), di cui ha dibattuto l’opinione pubblica in concomitanza con i sopra ricordati lavori parlamentari. L’interrogativo più prossimo è quello sollevato dalla costituzionalista Silvia Niccolai in un articolo uscito per il manifesto l’8 marzo scorso, dal titolo “Quello che i diritti non dicono”. Al centro di quel testo, Niccolai affronta un passaggio chiave del discorso “comune” intorno al tema: « “Chi sono io per giudicare quello che fa un’altra donna? Io non lo farei, ma se una vuole farlo…” […] Se tu non lo faresti, com’è che non ti importa che un’altra lo faccia? […] Sfugge in questi casi la differenza tra il parlare in nome delle donne e il prendere parola come donna, senza di che il discorso pubblico non può prendere un segno femminile. Se tu non ti prendi la libertà di giudicare, quale libertà insegni a un’altra?». Muraro prende esattamente parola come donna ed affronta proprio la questione al cuore del discorso di Niccolai: l’universalismo dei diritti e il suo significato a fronte della posizione femminile nella società liberale e di quell’“irriducibilmente femminile” che è la maternità.
Questo è il nucleo centrale del discorso, il fulcro attorno a cui si costruisce la discussione “contro” nutrita di argomenti anche eterogenei. Anzitutto, il ruolo dello scambio economico nella questione dell’utero in affitto: se l’abolizione della schiavitù ha inaugurato la strada storica che ha condotto al divieto di fare scambio di tessuti ed organi umani (p. 12), ancor più forte ci appare l’interdetto per l’essere umano figlio della gestazione, la nuova creatura. Sarebbe ipocrita pensare che il nucleo della questione sia extra-economico, che la vera partita si giochi sui corpi di quelle giovani donne che si dicono disponibili a farlo “gratis”, per amore, per dono. Non possiamo scordare, pena il dimenticarci colpevolmente di buona parte del mondo e del mondo femminile, che la maternità surrogata implica una contrattazione economica e configura forme di lavoro precario, retribuito, “biolavoro” nel quale i propri organi, la propria salute, la propria fertilità diventano sorgenti di valore e plus-valore nel senso autenticamente capitalistico di questi termini. Ciò accade in vaste zone del mondo, anche se, da più parti, lo si vorrebbe scongiurare con una legislazione che escluda lo scambio economico: solo il “dono” sarebbe legittimamente concesso nell’ipotetico dispositivo normativo delle nostre società  liberali. 
Ecco che allora la natura stessa del “dono” viene indagata nei suoi presupposti non confessati. Il dono, il libero atto di scambio gratuito tra soggetti liberi e padroni della propria volontà, non può essere un valido paradigma in questo caso, per il semplice motivo che il “dono” qui non è una cosa: è una persona, è la creatura. Ammettere il paradigma del dono come applicabile in questo caso significa ammettere che il corpo femminile fertile possa essere una macchina produttrice; significa ammettere che la creatura sia cedibile o, nei termini di Muraro, sia disponibile. 
Qui il discorso di Muraro si fa più complesso, intrecciato come appare di ordini di riflessione non pienamente riconducibili l’uno all’altro: uno, che potremmo definire etico; un altro, più prettamente politico; uno ulteriore, infine, che si configura come ontologico. 
Partiamo dal piano del discorso politico (anche se, come si vedrà, una distinzione tanto netta non reggerà nel corso della discussione). La cultura liberale in cui siamo immersi è quella dei diritti, tra cui il diritto di “disporre del proprio corpo” e la garanzia dell’uguaglianza formale tra tutti i soggetti (p. 35). Il pensiero marxista ha insegnato come quest’uguaglianza formale si traduca in potere di sfruttamento tra soggetti socialmente ineguali: questione non estranea alla maternità surrogata, non appena si interroghino le linee di demarcazione etniche, sociali, economiche che un ipotetico “atlante della gestazione per altri” ci proporrebbe. Il pensiero femminista porta la domanda su questa presunta “libertà di disporre del proprio corpo”, su questa nozione stessa di “proprietà” del corpo e della sua gestione come diritto individuale delle donne. 
Muraro richiama il tema di quello che è stato l’oggetto di lunghe battaglie, della società civile e delle donne stesse: l’aborto (pp. 38-39). Il parallelo appare arduo da sostenere e le parole con cui Muraro afferma che l’aborto non è un diritto, ma “un rimedio”, mentre stridono, ci portano più vicino a quella che è la sua concezione di che cosa è un “diritto”. La possibilità dell’aborto deve esser garantita perché non si può obbligare la donna alla maternità: ma la libertà d’esser madre, ci dice Muraro, è “più che un diritto individuale” (p. 39). È un dono ed è anche una potenza del femminile, che non si inscrive nello spazio neutro della legislazione universalistica ma vi introduce una fondamentale asimmetria: la maternità non “spetta” a qualsiasi individuo indifferentemente, secondo una concezione liberale; la maternità è un più di essere, cui (solo) la donna può liberamente acconsentire o meno, non un “diritto”. Muraro traccia una distinzione tra desiderio e diritto: vi sono desideri da cui nasce un diritto (è il caso dell’istruzione), ma il fatto di desiderare – ad esempio, di esser madre o padre – non produce per ciò stesso diritto. Non della sanzione legale qui si parla, ma di un livello ulteriore che sembra, del diritto stesso, farsi di volta in volta fondamento e critica immanente.
La trattazione di Muraro si sposta allora su di un altro piano, nel quale entrano in gioco la nozione di “indisponibile” e quella del “lavoro della creatura piccola”. Riprendendo la riflessione sviluppata ne L’ordine simbolico della madre e nel più recente Autorità, Muraro analizza la relazione materna come lo spazio all’interno del quale veniamo al mondo e alla parola – alla nostra natura umana incarnata, sancita da questa simbolicità piuttosto che da qualche dichiarazione universale (pp. 66-67) – e mostra come sia il “lavoro della creatura” a riattivare l’ordine simbolico, sciogliendolo dalla ripetitività del sistema costituito, risvegliandolo come luogo relazionale di parola e di novità (p. 54). 
Nel richiamo all’“apertura nativa” di sapore arendtiano Muraro si avvia a definire il concetto di libertà in modo ben diverso da quanto faccia il liberalismo. Libertà non è uno spazio residuale né coincide con quanto il diritto permette. «Se dovessi definirla, direi che la libertà è un godere di essere secondo la misura delle proprie possibilità, quelle che una (o uno) va scoprendo in sé e cerca di realizzare» (p. 37). Queste “possibilità” di cui Muraro parla non sono le possibilità di scelta che il dato contesto esistente consente: al contrario, sono ciò che porta la frattura in questo spazio dato di alternative, che le interroga sulla loro costituzione e sul senso; sono l’atto di creazione in cui il regime stesso delle possibilità di scelta verrà, di volta in volta e mai in modo definitivo, a costruirsi e a significare. La natalità, la fecondità, il nuovo, non sono elementi che si possano inserire in un regime di scambio (in cui il simbolico finisca per esser mutuato sull’economico): ne esulano per origine, ne definiscono semmai la possibilità, lo sfidano per essenza. La creatura e la creazione sono costitutivamente “l’indisponibile”. 
Ritroviamo allora il senso della critica all’aborto come “diritto”: l’aborto è al più negazione, difesa; non crea quel più di relazionalità che si instaura nello spazio del “continuum materno” (p. 67) - quel più al cui interno si dà la libertà di cui si gode (non quella con cui ci si difende dal potere).  
Se questo è il piano ontologico-simbolico del materno, sappiamo che il continuum si spezza anche per altro dall’“utero in affitto”: il ripudio, la perdita del genitore, l’adozione. Qui, dove Muraro distingue sul piano morale tra adozione e maternità surrogata, sta forse uno dei punti più insidiosi del suo discorso. La relazione materna non coincide con il rapporto con la madre biologica: «o chi per essa», scrive l’autrice, sottolineando come l’unica insostituibilità sia quella della creatura cui spetta il compito fondamentale nel lavoro simbolico (pp. 66-68). Ma vi è, scrive ancora, una superiorità morale dei genitori adottivi rispetto a coloro che “commissionano” alla surrogata la creaturina per soddisfare il proprio desiderio (pp. 70-71): i primi accolgono una casualità d’esistenza, una possibilità relazionale che sarebbe andata perduta; i secondi vogliono, attraverso la creatura, soddisfare un proprio desiderio egoistico. I secondi trasformano la maternità in mezzo per la propria realizzazione: secondo un ordine di pensiero reificante, che riduce a strumenti del proprio volere natura, esseri umani, relazioni personali. Vi è, qui, nel discorso di Muraro un rischio di “moralismo”? A quale tipo di etica umanista dobbiamo rifarci, per sostenerlo?
Se vi fosse una pretesa normativa di questo genere, l’argomento di Muraro troverebbe forse il suo punto di maggior debolezza: un richiamo ad una “natura” che la capacità tecnica non può sfidare, pena la distruzione dell’orizzonte di senso in cui solo possiamo costruire l’umano. Muraro lambisce questo tipo di discorso (cfr. pp. 19-20, p. 82): lo spazio di ciò che ci è tecnicamente possibile non coincide con i confini entro cui ci è concesso avventurarci. Non però in nome di un’“origine” naturale che riporterebbe la riflessione sulla maternità in un contesto pre-femminista. 
Sta nelle ultimissime righe una chiave di lettura: «L’indisponibile non è qualcosa che, per essere sottratto all’arbitrio, dovrebbe essere fissato una volta per tutte. Esso procede con la vita che diventa umana: desiderante, libera, parlante» (p. 86). L’indisponibile non sta all’origine, ma nel divenire. Sta nello spazio della discussione politica: non nell’ambito della tecnica o della gestione, ma nella relazione entro cui, insieme, sviluppiamo la riflessione intorno a ciò che ci riguarda da vicino. Questo spazio è inaugurato dalla relazione materna, la matrice entro cui impariamo a parlare e impariamo il dialogo tra il simbolico esistente e l’ingresso della parola nuova: lo spezzarsi di questa relazione produce la riduzione del parlare ad ordinare segni come mezzi oppure, al contrario, la sua devastazione in una ribellione ineffettuale, cancellando in entrambi i casi la possibilità del desiderio creatore e della libertà generativa.  «Dell’indisponibile possiamo così concepire un’interpretazione positiva: è indisponibile quello che è tenuto a disposizione del di più che è la gioia del vivente» (ibidem). Si comprende come un simile “indisponibile” non appartenga al campo della scelta tra possibilità (simbolicamente) indifferenti in un regime di scambio di e tra soggetti legalmente eguali; ma richieda di divenire, invece, il cuore del discorso politico. La relazione di prossimità e di differenza (concetti estranei al diritto liberale, cardini invece del materno) diviene il fondamento della possibilità di parlare e ci indica, secondo Muraro, la via di una politica che si faccia luogo del desiderio e della libertà. 


Indice

Avvertenza 
Dentro le parole
Diamoci il tempo di pensare  
Un ingorgo di problemi
Le leggi del mercato
Svegliamoci e mettiamoci a pensare 
La potenza del desiderio 
Relazioni, tecnica e mercato
Una libera scelta? 
La Madre di Dio
La relazione materna 
L’unicità della madre 
Oltre la metafora 
Una bella domanda 
Libertà e processo evolutivo 
La misura dei diritti 
Il continuum materno 
Desiderio e diritto  
La questione delle origini 
Imparare a parlare 
L’espansione del possibile

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