lunedì 6 febbraio 2017

Grimké, Sarah Moore, Poco meno che gli angeli. Lettere sull’eguaglianza dei sessi

A cura di Thomas Casadei, trad. it. di Ingrid Heindorf, con una nota bibliografica di Serena Vantin, Roma, Castelvecchi, 2016, pp. 126, euro 14,50, ISBN 9788869444.

Recensione di Giuseppe Moscati  - 01/07/2016

Uno degli aspetti più interessanti che emergono con maggiore evidenza dalla lettura di questo testo così intenso e anche così fortemente militante dell’autrice statunitense Sarah Moore Grimké (1792-1873) è la radice solidamente “religiosa” di una organica rivendicazione dei diritti delle donne.
Grimké, infatti, risale a quel nucleo fondamentale di rispetto verso l’esistenza e la libertà (e il diritto alla felicità) di ogni individuo che ha basi (anche) evangeliche. La rivendicazione “religiosa” da lei qui articolata, peraltro, ben si accorda con una qualsiasi posizione di laica etica della responsabilità, che ha già per sua stessa costituzione filosofica – verrebbe da dire ontologica – 


nell’egualitarismo e nel riconoscimento della parità dei sessi due pilastri fondamentali.
Quacchera come l’altrettanto energica sorella Angelina (1805-1879), Sarah Moore Grimké incarna dunque la lotta per l’affermazione di una parità dei diritti che, al contempo, fa da perno per la promozione di una sensibilità che sia finalmente capace di accordare abolizionismo e femminismo (cfr. pp. 59, 63, 66). E lo fa lavorando su due registri paralleli: confrontandosi con l’ambiente particolarmente ostile quale quello della Carolina del Sud da cui proviene e, più in generale, affrontando a testa alta gli esponenti più coriacei della mentalità chiusa del clero sudista del suo tempo (cfr. pp. 29-37).
I due grandi muri, quello della schiavitù e quello della discriminazione sessuale, le appaiono un tutt’uno, essendo la loro edificazione riconducibile alla logica di fondo del dominio, della sopraffazione e dello sfruttamento. Alienato è lo schiavo, alienata è la donna privata dell’accesso al ‘sacrosanto’ suffragio universale, privata del diritto di partecipazione alla cosa pubblica (e di parlare in pubblico) e, come nel caso biografico dell’autrice stessa, privata dell’opportunità di conseguire studi accademici. Gli schiavi e le donne, insomma, in questo contesto sono visti come compagni di alienazione già in quanto repressi nella loro aspirazione ad avere una voce.
C’è una sorta di amara confessione nel cuore di queste Letters on the Equality of the Sexes and the Condition of Woman del 1838 e dà molto da pensare sulla condizione della donna ma, in senso lato, anche sulla condizione della vittima all’interno di una prassi reiterata, e quasi normalizzata, di violenza. Scrivendo all’amata sorella nel settembre del ’37, Sarah ammette: «A volte sono stata sorpresa e addolorata a causa della servitù involontaria delle donne e della modesta idea che tante di esse sembrano avere della loro propria esistenza morale e delle loro responsabilità» (p. 70). Grimké sembra cogliere quasi il peso enorme che può avere la disistima della vittima nella dinamica di affermazione del carnefice (prefigurando alcune delle traiettorie degli studi del filosofo e antropologo francese René Girard).
Ma la rivendicazione di Grimké del diritto per tutti e tutte di espressione e di voto – come pure di libertà di coscienza, di partecipazione politica e di cooperazione alla ricostruzione di un’autentica giustizia sociale – rimanda di fatto ad una interpretazione limpidamente alternativa e diversa delle sacre scritture. Non a caso Thomas Casadei, nella sua Nota introduttiva (pp. 5-15), sottolinea le radici bibliche del femminismo di Grimké. A partire da questo elemento di sostanziale importanza egli insiste opportunamente sull’elemento della dignità femminile nei termini non di una rivendicazione astratta di diritti naturali e di giustizia, ma in quelli più forti e netti di una sua natura morale (cfr. p. 9). Si potrebbe in tal senso parlare di un orizzonte etico-religioso dei diritti umani, che orienta quello più strettamente giuridico.


Indice

Introduzione
Sarah Moore Grimké: le radici bibliche dell’argomentazione femminista
di Thomas Casadei

Lettere sull'eguaglianza dei sessi e la condizione della donna

L’uguaglianza originaria della donna
Lettera pastorale dell’Associazione Generale dei ministri congregazionalisti
La relazione sociale tra i sessi
L’intelligenza della donna
L’abbigliamento delle donne
Incapacità giuridica delle donne
La relazione fra marito e moglie
Il ministero delle donne
L’eguale colpa dell’uomo e della donna nella Caduta

Nota bibliografica
di Serena Vantin

3 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

In America e negli Stati Uniti d'America esisteva un delitto assai vasto di schiavitù non interraziale ma inter-etnica entro variegate comunità africane non ancora afroamericane, commesso in maggioranza dei casi da donne e connesso a concorrenza tra matriarcati. Esisteva anche uno schiavismo di sostituzione, attuato da matriarcati americani, che di solito ne diminuiva la violenza. A volte a questa schiavitù si aggiungeva quella di quei coloni europei che, minacciati anche di morte da indiani non selvaggi e da africani nuovi venuti, cercavano di difendersi intromettendosi nelle guerre ed aggressioni tra tali indiani ed africani e usando le servitù obbligate per sanzioni nei confronti di assassini di entrambi gli schieramenti; questo accadeva in tempi antecedenti ai viaggi forzati di africani verso la America del Nord, mentre era non conspicuo ugual fenomeno verso il Sud e poi per il Nord, dove in principio nessuno cedeva alle imposizioni di schiavisti sudamericani. In principio i viaggi forzati dall'America erano di cacciati o condannati ad esilio; poi i disordini etnici e la delinquenza diedero occasione a rapitori e profittatori. Dovendo Autorità soltanto americane od anche indiane ed europee fronteggiare i delitti e le emergenze umanitarie anche per luoghi vasti e poco densamente abitati, poco frequentati e poco conosciuti territori, non se ne poteva da presto venire a risoluzioni.
La violenza della schiavitù aumentò e mutò e le più sfortunate erano le presenze africane ma non senza essere in parte gruppi composti da molti o tutti invasori o profittatori, mentre gli afroamericani erano in maggioranza liberi ed in altra parte o minacciati o non del tutto liberi. Di questa situazione gli Stati del Nord proposero soluzione basata su un censo generale, inter-etnico, ma gli Stati del Sud comunicarono rifiuto per non svantaggiare riservatezza indiane; dal Nord fu riformulata la proposta con salvaguardia di riservatezza ma dal Sud si rifiutò per nuovo rischio di intromissioni etniche straniere, ostili, non americane o da altri luoghi lontani americani. Queste essendo poi accadute ugualmente allora dagli Stati del Nord si mosse guerra verso gli Stati del Sud perché preda di sopraffattori stranieri. Tra costoro v'erano ex europei non americani, non tantissimi ma ignoranti, americani forestieri moltissimi e bellicosi, africani assai pochi e i più violenti, afroamericani quasi nessuno e delinquenti; mentre le penurie dovute ai rapporti non liberi svantaggiavano più le minoranze che le maggioranze e proprio degli eguali. Per tali ragioni vinta la guerra dal Nord si attuò programma di vantaggio per il Sud, ed infatti i residui di schiavitù restarono più a Nord che a Sud, in forma di separazioni non desiderate o di vicinanze forzate (questa ultima condizione problematica restata ancora assai rilevante fino a tempi recentissimi in luoghi americani statunitensi reconditi, isolati, di difficile collegamento, le separazioni cadute interamente negli Anni Sessanta del Ventesimo Secolo).

La coincidenza determinante fu da filosofi, criminologi, psicologi, etnologi ritenuta: la schiavitù istituita da donne africane contro maschi africani diversi ed i tentativi di imitazione di datori di lavoro bianchi ai danni di lavoratori neri, cosa questa ultima che creava condizioni ancora più avvilenti e svantaggiose; ma questa non fu mai prevalente datoché non ve ne fu ratificazione giudiziaria in nessun caso neppure momentaneo. Infatti dalle vere leggi anche americane non solo europee la schiavitù fu sempre proibita.

I contrasti tra femminismo e maschilismo e gli impedimenti alle separatezze erano durante Secolo Decimo Nono eventi concomitanti negativi e cause principali indirette degli ambienti di schiavitù e le Autorità americane cominciando a risolverle si trovarono, dopo, a dover affrontarne principalmente i rovesci ma non solo questi.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ho voluto scrivere:

riservatezza indiane,

avvalendomi dell'uso sintattico, grammaticalmente non scorretto, per il termine 'riservatezza' di numero singolare con significato collettivo (unità molteplici, unità di molteplicità, unità per molteplicità).

Invito il lettore a non considerarlo un errore né svista.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ho voluto usare la dizione:

conspicuo,

con stesso non medesimo significato della dizione: 'cospicuo', non per un caso né per errore.

La differenza è nella distinzione tra i suffissi 'co-' e 'con-' .
Per usi linguistici diffusi codesti hanno sempre valore effettivo di sinonimi e sarebbero comunemente da applicare foneticamente non semanticamente in base alla pronuncia più semplice ordinariamente o più tipica. Secondo abitudine linguistica esclusivamente moderna la parola: conspicuo , è elemento arcaico in prosa ed arcaico in poesia ma io di tale utilizzo abitudinario non sempre mi avvalgo e per serie o serissime ragioni comunicative anche. Non si tratta di non usare linguaggio moderno, perché questo non è fatto solo da abitudini.

Avevo scritto dunque

conspicuo ,

perché così ho escluso sensi aggiunti di eventuali 'associazione, collaborazione' oltre che 'consistenza, compagnia', ed in effetti questo dovevo io significare per raccontare.

MAURO PASTORE