sabato 10 settembre 2005

Rossi, Pietro – Viano, Carlo Augusto, Le città filosofiche. Per una geografia della cultura filosofica italiana.

Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 396, € 25,00, ISBN 88-15-10131-4.

Recensione di Massimo Pulpito – 10/09/2005

Storia della filosofia (contemporanea)

Torino, Milano, Padova, Genova, Bologna, Pisa, Firenze, Roma e Napoli: sono queste le “città filosofiche” raccontate nel volume collettivo curato da Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano. Obiettivo del testo è il tentativo di ricostruire “una geografia della cultura filosofica italiana del Novecento”, come recita il sottotitolo. Si tratta di un modo di fare storiografia filosofica certamente inedito e degno d’attenzione, sebbene la sua novità sia solo di carattere editoriale, giacché l’autorappresentazione geografica della filosofia (non solo quella italiana) è un elemento caratteristico degli ambienti accademici, dove la provenienza da una certa città universitaria e l’appartenenza a una scuola (l’“aver studiato con”, l’“essere allievo/a di”) sono ancora imprescindibili fattori di riconoscimento tra gli studiosi. Non è certo un caso che le città di cui qui si parla non siano semplicemente importanti centri di cultura, o magari luoghi di nascita di noti filosofi italiani, ma le sedi di famose Facoltà universitarie di filosofia. Le vicende intellettuali descritte in questi saggi sono quelle legate alle più importanti cattedre di filosofia in Italia, e quindi alle carriere di professori prestigiosi, insigni studiosi e filosofi, veri “maestri”, in quanto, nella maggior parte dei casi, iniziatori di scuole teoriche o metodologiche, che hanno lasciato una traccia profonda nell’insegnamento delle discipline filosofiche. Sulla quarta di copertina si avverte che “più che ai filosofi e ai loro itinerari di pensiero, l’attenzione è rivolta al diverso ‘clima’ delle città in cui essi si sono formati e hanno insegnato, alle relazioni tra pensiero filosofico e ambiente intellettuale”.

Non c’è geografia di ambienti umani e istituzioni che non sia costretta a darsi dei limiti temporali. Il periodo di riferimento di questi testi è quello che va dagli anni del fascismo e del successo della filosofia idealistica agli anni Settanta, con la nascita di nuove correnti di pensiero. È proprio questa scelta temporale che giustifica alcune importanti esclusioni, come  Pavia, la cui rilevanza sul piano nazionale si ferma agli inizi del secolo, oppure Palermo, che dopo la chiamata di Gentile a Pisa conobbe un inarrestabile declino.

Carlo Augusto Viano descrive la Torino di Nicola Abbagnano e Norberto Bobbio. Fu Augusto Guzzo ad appoggiare la chiamata di Abbagnano a Torino, probabilmente per la vicinanza con i temi irrazionalistici e vitalistici, che avevano condotto il giovane allievo di Aliotta ad aderire alla filosofia esistenzialistica. Abbagnano fu al centro di un dibattito filosofico nazionale sull’esistenzialismo, che vide tra i protagonisti lo stesso Bobbio, il quale giudicava questa filosofia come un prodotto tardivo del decadentismo, una delle cui conseguenze era l’amoralismo. Tuttavia, Bobbio e Abbagnano si sarebbero in seguito riavvicinati, collaborando a quel Centro di Studi Metodologici, che rappresentò uno dei punti di riferimento più importanti della cultura filosofica italiana del dopoguerra. Attorno al Centro gravitò quel movimento neoilluminista che vide tra i suoi protagonisti i più importanti studiosi del dopoguerra, da Ludovico Geymonat a Giulio Preti, da Paolo Rossi a Guido Calogero.

A Milano sono dedicati due racconti, quello della Statale scritto da Massimo Ferrari e quello della Cattolica scritto da Mario Sina. Il primo comincia ricordando la figura del filosofo Piero Martinetti, uno dei pochissimi professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo e per questo collocato a riposo ‘per motivi di salute’. La figura più prestigiosa tra i docenti della Facoltà, dopo l’allontanamento di Martinetti, sarebbe stata quella di Antonio Banfi, fondatore di una vera e propria scuola, che avrebbe accentuato col tempo la sua autonomia non solo dal maestro, ma anche al suo interno, dando vita a correnti difficilmente accomunabili. Tra i suoi allievi vi furono personaggi diversi come Enzo Paci, Remo Cantoni, Giovanni Maria Bertin e Giulio Preti.

Più omogenea, per ragioni evidenti, fu la scena filosofica della Cattolica, caratterizzata dalla scelta programmatica di improntare l’impianto di studi e la formazione degli studenti ai principi e alla dottrina della filosofia neoscolastica. Centrale in questo racconto è la personalità polemica e forte del fondatore dell’Università, padre Agostino Gemelli. Attorno a lui ruotavano personaggi come Francesco Olgiati e Giuseppe Zamboni, protagonisti del dibattito filosofico della Cattolica. Le questioni che distinsero il profilo teorico di questa Università furono la battaglia contro le insidie dell’idealismo, che pareva affascinare i giovani, e il chiaro riconoscimento dell’ortodossia come mezzo per perseguire il proprio programma culturale, nell’intento di mantenere una certa libertà d’azione.

La storia della vicenda filosofica a Padova non poteva che essere affidata a uno dei suoi protagonisti più noti e autorevoli, lo studioso di Aristotele Enrico Berti, che descrive la parabola che condusse l’accademia patavina dall’originario positivismo primonovecentesco (Roberto Ardigò, Giovanni Marchesini) agli anni dell’egemonia cattolica. Fu a Padova, infatti, che sorse il “movimento di Gallarate” (fondato da Carlo Giacon, Umberto Padovani e Luigi Stefanini), che avrebbe dato vita al Centro di Studi filosofici cristiani (aggettivo quest’ultimo che si lasciò cadere dopo il Concilio).

Anche Genova, descritta da Mirella Pasini e Daniele Rolando, era agli inizi del secolo uno dei centri in cui fioriva la cultura positivistica. La scena però sarebbe subito mutata, e il segno fu la chiamata di “una della figure emergenti della cultura italiana” (p. 163), Giuseppe Rensi, che giunse a Genova nel 1918. Rensi fu uno dei pensatori più originali dell’epoca, fautore di una scepsi radicale che lo avrebbe condotto alla ‘filosofia dell’assurdo’. Il dopoguerra sarebbe però  stato dominato da uno studioso che avrebbe trasformato la filosofia genovese: Michele Federico Sciacca, abile organizzatore culturale, capace di consolidare negli anni successivi un’indiscutibile egemonia all’interno della Facoltà. L’indirizzo filosofico della sua scuola era lo spiritualismo cristiano, che fungeva da modello alternativo alla neoscolastica della Cattolica.

Giuseppe Ferrandi si occupa della filosofia a Bologna. Due nomi si distinguono nello scenario filosofico degli anni ’30: Federigo Enriques e Rodolfo Mondolfo, responsabili entrambi di una serie di iniziative culturali, che raccoglievano scienziati e filosofi dell’Università di Bologna. Fu questo uno dei momenti più alti della cultura italiana, giacché, contrariamente a quanto succedeva in altre città e sarebbe poi accaduto nei decenni successivi, in esso si riaffermava la continuità di questioni tra scienza e filosofia. La vicinanza agli ambienti antifascisti e l’emanazione delle leggi razziali (che costrinsero Mondolfo all’esilio argentino) decretarono la fine di questa esperienza. Lentamente l’anomalia bolognese, che aveva resistito all’egemonia idealistica, fu superata, sebbene il panorama diventasse sempre più eterogeneo, fino a un vero pluralismo di orientamenti di ricerca a partire dagli anni ’50.

Michele Ciliberto si occupa dei due più importanti atenei toscani, di cui ricorda la tradizionalmente riconosciuta polarità di interessi: a Pisa la filosofia, a Firenze la filologia. Non c’è dubbio che Pisa, anche per l’impulso alla teoresi che derivava dalla presenza di Gentile, direttore della Normale, ebbe fin dagli inizi del periodo qui considerato, una sensibilità teorica più accentuata rispetto a quella di Firenze, città nella quale, invece, non solo l’eccellenza era riservata prevalentemente (sebbene non esclusivamente) agli studi storici, in particolare a quelli sul Rinascimento, ma verso la metà del secolo, con Eugenio Garin, sarà teorizzata la Filosofia come sapere storico (1959), rivendicando il valore e l’impegno teoretico del lavoro storiografico. Queste due città avranno, così, per tutto il Novecento, atmosfere e stili diversi. Pisa nel dopoguerra diventerà uno dei principali centri di elaborazione del marxismo. Opereranno in questa città studiosi come Delio Cantimori, Cesare Luporini e Nicola Badaloni. “Non è dunque un caso se nel ’68 Pisa sarà uno dei centri più vivi del movimento studentesco, sia sul piano politico sia su quello teorico” (p. 230). Se a Pisa fu Gentile a lasciare l’impronta più duratura, a Firenze fu invece lo storico della filosofia Felice Tocco, che privilegiò metodologicamente sempre l’accuratezza dell’esegesi e l’attenzione ai contesti storici, prima del lavoro interpretativo.

Scendendo verso sud il panorama filosofico si fa meno composito, caratterizzato da una forte chiusura verso la modernità, determinata dall’indiscutibile egemonia idealistica. Da questo punto di vista le vicende di Roma e Napoli, descritte rispettivamente da Paolo Casini e Giuseppe Cantillo, si rivelano emblematiche. Le due città universitarie rappresentarono, infatti, l’alternativa tra le due versioni antagoniste dell’idealismo italiano: quello gentiliano a Roma, quello crociano a Napoli. Roma fu la città che, per ragioni che si intuiscono, subì il condizionamento maggiore da parte del regime durante il ventennio, fatto questo che non facilitò certo la prosperità dei suoi studi, e che nel dopoguerra generò una situazione di grande incertezza. Tra i nomi che più segnarono la storia dell’ateneo vanno ricordati Pantaleo Carabellese, Guido De Ruggiero, Ugo Spirito e Guido Calogero, il più importante tra gli allievi di Gentile.

A Napoli, unica eccezione nel panorama presentato in questo libro, la cultura filosofica non aveva il suo unico centro nell’istituzione universitaria. L’ateneo infatti era uno dei centri filosofici della città. Ciò era dovuto a una caratteristica propria dell’idealismo crociano che dominava la cultura napoletana, e cioè l’idea che la filosofia fosse un momento della cultura in senso più ampio, intesa anche come impegno politico e critico-letterario. Ciò poi aveva il suo suggello nel fatto che Croce, pur dirigendo una rivista e intervenendo autorevolmente nel dibattito filosofico, non era un docente universitario e mantenne sempre una certa diffidenza per “l’universitarismo”. Non è un caso dunque che Napoli avrebbe ospitato successivamente due prestigiosi istituti di cultura ispirati direttamente a Croce. Ciò, naturalmente, non vuol dire che l’Università non ebbe valenti studiosi al suo interno: vanno ricordati Adolfo Omodeo, il grande etnologo Ernesto De Martino, ma soprattutto Antonio Aliotta.

Il quadro storico composto dai diversi scenari conferma nell’insieme quanto i curatori osservano già nell’introduzione. Sia per gli scambi tra le varie città (organizzazione di convegni, passaggi di carriera e, nei tempi più recenti, consorzi di dottorati), sia per l’inesistenza, o comunque il graduale superamento, di chiusure verso orizzonti filosofici alternativi (fattore, quest’ultimo, accentuato dalla comparsa delle filosofie settoriali: filosofia del linguaggio, della scienza, della mente ecc.), non ci si trova mai di fronte a filosofie locali, ma soltanto a momenti della più vasta situazione culturale del paese. Se si eccettua la Milano della Cattolica, nessuna città, nemmeno quelle egemonizzate dall’idealismo, presentano un quadro del tutto omogeneo e definito, senza voci di dissenso o espressioni di interessi discordi. I paesaggi sono sempre più o meno compositi, anche laddove è possibile riconoscere una certa “aria di famiglia” tra gli studiosi. Ancora oggi, sebbene il quadro sia mutato radicalmente, tanto da divenire irriconoscibile, è possibile ritrovare delle sopravvivenze delle storia raccontate in questi saggi. Per questa ragione, il testo andrebbe fortemente consigliato agli studenti di Filosofia, magari proprio a coloro che devono ancora scegliere la sede dei propri studi.

Indice

Introduzione, di Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano
1. La filosofia a Torino, di Carlo Augusto Viano
2. La filosofia all’Università Statale e la cultura milanese, di Massimo Ferrari
3. La Facoltà filosofica dell’Università Cattolica, di Mario Sina
4. La filosofia a Padova, di Enrico Berti
5. La filosofia a Genova, di Mirella Pasini e Daniele Rolando
6. La filosofia a Bologna, di Giuseppe Ferrandi
7. La filosofia tra Pisa e Firenze, di Michele Ciliberto
8. La filosofia a Roma, di Paolo Casini
9. La cultura filosofica a Napoli, di Giuseppe Cantillo
Indice dei nomi

I curatori

Pietro Rossi, professore ordinario di Filosofia della Storia nell’Università di Torino, da molti anni è direttore responsabile della “Rivista di filosofia”. È autore della Storia della filosofia, in sei volumi, coordinata con Carlo Augusto Viano.

Carlo Augusto Viano, professore ordinario di Storia della filosofia nell’Università di Torino, è autore di studi fondamentali su Aristotele e Locke. È membro della direzione della “Rivista di filosofia”.

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