sabato 30 settembre 2006

Sfez, Lucien, Tecnica e Ideologia. Una questione di potere.

Milano, Spirali, 2006, pp. 329, Euro 28,00 ISBN 88-7770-676-7.

Recensione di Gennaro De Falco - 30/09/2006

Sociologia (tecnica, comunicazione, globalizzazione)

Tecnofobi o Tecnofili? È questa la classificazione (pp. 23-24) in cui sono inseriti, in modo semplificante, come fa notare Lucien Sfez, gli studiosi che odiano e quelli che amano la tecnica. Una tale contrapposizione – che fa venire alla mente un certo manicheismo della peggior specie – è già indicativa di come la tecnica abbracci ormai trasversalmente tutta la società e di come, più che cercare una sintesi tra visioni contrapposte, bisogna accettarne o meno, integralmente, la fede.
Nelle pagine interessantissime di questo libro, l’autore riesce ad illustrare ampiamente, anche facendo ricorso a fatti accaduti nella Francia degli ultimi anni, l’importanza che ormai ha acquistato la tecnica sulla nostra vita.
Premessa indispensabile di Sfez è che, in realtà, tutte le questioni poste dalla tecnica e riguardanti la sua utilità, la sua moralità, etc, sono relative (p. 27).
Si crea, dunque, una situazione ibrida, fatta di finzioni (p. 13) in cui addirittura termini quali “scienza” o “tecnica”, oppure “scienziato” o “tecnico” non hanno più distinzioni nette: “con le nuove tecnologie, il tecnico è un programmatore” (p. 56).
Uno dei punti su cui più fortemente insiste l’autore è “il matrimonio morganatico tra tecnica e sistema di decisione” (p. 74), laddove bisogna ricondurre la decisione alla sfera della politica che ovviamente non può riconoscere il suo legame con la tecnica (p. 75).
La domanda che ci si deve porre infatti è quanto indispensabile sia la tecnica intesa come innovazione – e differente dalla invenzione intesa come scienza – alla vita dell’uomo (pp. 108 sg.).
È proprio questo il punto: non vi è nessun fondamento che legittimi la presenza di un oggetto tecnico(p. 80) ed è quindi inevitabile che, per irrompere nella vita dell’uomo, ha bisogno di un sostegno che è dato, allo stato attuale, dalla “tecnoeconomicopolitica” (p. 91), tale nome rendendo i lettori certi dell’identità dei protagonisti di questo intreccio e del quale, ad esempio, Sfez cita le vicende legate alla riforma della France Telecom (pp. 96-101).
Una lettura superficiale del legame fra tecnica e politica potrebbe portare a pensare che, in fin dei conti, siccome la politica dovrebbe essere la rappresentazione del volere collettivo, le tecniche di uso comune ne siano l’espressione.
In realtà la collettività, senza rendersene pienamente conto, è sottomessa alla tecnica: dimostrazione ne è data dai gruppi che si riuniscono su internet, dove si perde il legame con la comunità a tutto vantaggio di una dimensione virtuale (p. 146).
E c’è un’altra domanda da porsi: quale società viene fuori da questa applicazione indiscriminata della tecnica? Si tratta, e anche questo preclude la visione di una gran parte della realtà, di una società di persone che, vivendo in condizioni agiate e non avendo problemi di salute, si perdono in questioni superficiali come la scelta dell’automobile più potente (p. 136).
Tale sorta di problemi, legati alle macchine più o meno veloci o ad altre stupidità come queste, ci danno anche l’immagine di una società leggera e superficiale che, intenta a spendere in prodotti tecnologici, dimentica i problemi della Terra e del mondo, confermando i caratteri descritti da Bauman e da altri sociologi del suo livello.
E’ dunque la tecnica che plasma la società e la collettività, soddisfacendo i bisogni prima ancora che nascano (p. 153).
Altro interessante aspetto di cui si occupa l’autore è il ruolo degli investitori nell’assicurare il legame fra la tecnica e la politica: gli investitori si muovono, già da qualche anno oramai, in un mercato feroce dove gli Stati sono soltanto dei regolatori (pp. 175-176), e a volte non riescono nemmeno a essere tali.
Se si parte dalla considerazione che Sfez ha degli investitori, rappresentanti di una “ideologia camuffata da utopia e ibridata di pragmatismo” (p. 180), appare chiaro che questi ultimi vogliono un ritorno, in termini di profitto, dei soldi investiti. E se la tecnica in sé non è necessaria, è altrettanto chiaro che gli investitori devono farla percepire necessaria.
Come?Veicolandola in modo subdolo, vendendo non i meri prodotti, ma i grandi ideali: infatti il lato puramente commerciale dei prodotti viene lasciato da parte, prevale un marketing di idee (p. 191).
In sostanza bisogna far circolare idee, seppur utopiche, ma idee che creino nell’uomo positività, identificazione e fiducia: ritornando al caso della France Telecom, questo nuovo nome dato alla vecchia DGT (la direzione generale delle telecomunicazioni francese), dimostra la scelta volontaria di mettere nel dimenticatoio le Poste (che ormai rappresentavano il passato), nonostante avessero realizzato prodotti e servizi meritevoli di attenzione (pp. 184-190). In questo come in altri casi viene fuori una “realtà soltanto costruita, e le tecnologie che la costruiscono divengono le qualità intrinseche di ciò che costruiscono”(p. 210).
Altri spunti degni di nota del testo di Sfez riguardano le considerazioni della tecnica come finzione: senza volersi abbandonare in discorsi fittizi e con una debita premessa (p. 232), l’autore analizza le caratteristiche della finzione verosimile che si ripetono nella tecnica (pp. 238-240). La conclusione dell’analisi porta Sfez a sostenere che la finzione sia alleata della tecnica ed insieme a quest’ultima riesca a sedurre l’uomo (p. 246).
Dimostrazione a contrario di questa seduzione è la paura che l’uomo ha di perdere la sua amata tecnica, paura dimostrata da tutte le precauzioni adottate dagli Stati ricchi in occasione del bug informatico, in corrispondenza del passaggio all’anno 2000 (p. 251). Pensiamo, a tal proposito, anche al comportamento che hanno i traders professionisti, gli investitori che, grazie alle nuove tecnologie, operano in borsa direttamente da casa: il terrore che, nel bel mezzo di un’operazione di borsa, siano abbandonati dalla loro connessione ad internet o dal loro pc, li spinge a moltiplicare connessioni e pc in modo tale da averne altri immediatamente disponibili (con somma gioia dei fornitori di servizi e dei produttori).
E’ indubbio che l’analisi di Sfez, per quanto in alcuni punti particolarmente complicata, porta alla luce un mondo dove la tecnica non è neutrale, ma impregna di sé la vita quotidiana e le nostre abitudini; anche Umberto Galimberti, diversi anni fa, nel suo libro Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, avvertiva di questo pericolo quando scriveva che “la tecnica non è neutra, perché crea un mondo con determinate caratteristiche che non possiamo evitare di abitare e, abitando, contrarre abitudini che ci trasformano ineluttabilmente”.
La tecnica, nel suo intreccio morganatico, non ha limiti se si pensa che l’ingegneria genetica sarà sostituita dalle nanotecnologie, campi di ricerca interdisciplinari che studiano e manipolano la materia atomo per atomo.
Lo sviluppo delle nanotecnologie ci mostra come la corsa non si è arrestata e come chi possiederà queste conoscenze così specifiche – e cioè le grandi transnazionali che sono ormai centri di potere, che affiancano gli Stati e talvolta li sostituiscono – governerà anche il mondo.
Il film, The Manchurian Candidate, di produzione statunitense (2004) e ispirato all’omonimo romanzo di Richard Condon, è molto significativo in tal senso in quanto è la storia di un uomo che, per una serie di vicende intricate, è candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Costui, in realtà, è pilotato da una grossa multinazionale che gli ha installato nel cervello un chip grazie al quale esegue tutti gli ordini che gli sono impartiti. Una storia del genere potrebbe significare il dominio dei pochi?
La tecnica diviene l’unico soggetto capace di dischiudere agli uomini mondi inesplorati e – ancor peggio – altamente desiderabili, tanto è che, per citare ancora Galimberti: “la scienza non è più al servizio dell’uomo, piuttosto è l’uomo al servizio della tecnoscienza”.
E senza dover essere grandi studiosi, basta analizzare un po’ più a fondo ciò che ogni giorno le metropoli, i giornali, le televisioni ci offrono in modo martellante per comprendere quanto ciò sia una terribile ed incontrovertibile realtà.

Indice

Apertura – Racconti sparsi
1. Technopolis, un discorso di finzione
2. Un’impregnazione ideologica
3. Temi riccorrenti e punti critici
Prima parte - Il racconto tecnopolitico fondante
Capitolo I I marcatori della tecnica
Capitolo II Il matrimonio morganatico tra tecnica e decisione
Capitolo III Teorie della tecnica politica
Seconda parte – Le immagini del racconto tecnopolitico
Capitolo I Immagini della tecnica e loro costellazioni
Capitolo II Le immagini tecnosociali degli investitori (industriali e finanzieri)
Capitolo III L’emergere delle immagini e delle pratiche tecnonaturali
Finale – La tecnica è una finzione istituente?
1. La tecnica come finzione?
2. La finzione della tecnica è istituente?
3. La tecnica, finzione che manca di simbolicità
Postfazione La resa dei conti o i vantaggi della nozione di finzione
Appendici
Bibliografia
Indice dei nomi


L'autore

Lucien Sfez è docente all’università di Parigi I Panthéon Sorbonne, dove dirige il dottorato Comunicazione, tecnologie e potere. È autore di molte opere, tra cui Critique de la décision (1973, 1992), La politique symbolique (1988, 1993), e Critique de la communication (1988, 1992; trad. it. Firenze 1995), che hanno contribuito al rinnovamento della scienza politica.

Bibliografia

Bauman, Zygmunt, Globalization. The Human Consequences. Cambridge, Polity press, 1998. Traduzione di Oliviero Pesce: Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle persone. Roma, Editori Laterza, 2001.
Galimberti, Umberto, Psiche e teche: l’uomo nell’età della tecnica. Milano, Feltrinelli, 1999.

Links

Di Zitti, Ermanno, et al., Nanotecnologie e Ict: potenzialità e prospettive. In: “Mondo digitale”, 3 (settembre 2004), 
Galimberti, Umberto, Il dominio della tecnica. In: “La Repubblica”, 15 agosto 2003, 

7 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Il recensore procede secondo Scuola di Francoforte (oramai retaggio, ma da altri contesti, di Guerra Fredda tra blocchi ideologici di poteri mondiali non l'attuale contrasto di guerra fredda su scala mondiale (tra Stati Uniti di America e Repubblica Cinese e relativi specifici affiliati)) usando recente epistemologia-ontologia, in ciò senza corrispondenza solo rispondenza filosofica tra quanto posto in atto da stessa recensione oltre che riferito.
La pubblicazione cui recensione riferisce si svolge più essenzialmente che non in riferimento stesso recensorio; l'indice dell'Opera recensita offre se non altro tematiche compiute: di rischi tecnologici, tecnici, tecnici-tecnologici, ipertecnici; dando idea di ostinazione supertecnologica, oltremodo tecnica, che non si arresta al fallimento del dominio tecnico-artificiale ma cerca negli ipertecnologismi modi per evitare vita naturale e si rifugia in diaframmi di separazione, difatti questo diventano le finzioni tecniche nella vicenda di sopravvalutazione di tecnica e tecnologia.
La matrice ideologica post-ex-marxista non assume radicalità di conclusioni epistemologiche-ontologiche; infatti codeste delineano un estetico, dimentico, provvisorio "Paradiso della Tecnica", quale termine ultimo e attuale mèta della illusione che il divenire ha suscitato in ufficialità dell'Occidente: nel caso specifico individuato in Francia, la illusione di vincere nella vita con apporto determinante delle nuove e nuovissime tecnologie di comunicazione e tecniche comunicative; in altro esempio, particolare, la assenza di scopi reali di vetture fuoriserie ma con funzioni di serie, tendenza (io ebbi modo di constatarlo) reale ancor oggi e pratica circostanziale, omologante direttive a circuizioni, le vie stradali ai circuiti stradali, gli scopi degli autodromi agli scopi delle autostrade (codeste da se stesse (auto... ) atte ad ospitare tragitti veicolari (... -strade) tecnologici, tecnici); ma essendo questa una sola tendenza tra tante! Invece la recensione fa trapelare propria circuizione, nel comporre circolo chiuso, tra sociologia delle comunicazioni e tautologia filosofica, da cui rimedia omologante riduzione, che non permette essa di contenere tutti gli argomenti.
Specificamente la notazione di Umberto Galimberti su scienze e tecnoscienza si avvale di critica storica-esistenziale mentre l'attenzione del recensore di critica storica-essenziale, ridotta, che verte, forse senza filosofica consapevolezza, su gerarchia di essenze, di ascendenze ideologiche, forse indirette, marxiste. Per questo il recensore resta in indeterminato, con inconcludenza di stessa recensione e che la espone a faziosità, di tradizionalismo medioevale, cattolicista, o di revanscismo antico, paganeggiante; senza che gli Assoluti ne siano coerentemente assunti, con ciò pregiudicando le rispettività, astratte o già concrete, con realtà europee solo analoghe, di altre nazioni od ambienti etnici diversi.
La citazione della attività filosofica di Galimberti pone orizzonte di tecniche, anche terapeutiche non eminentemente comunicative, da potersi valutare; cui recensione invece non aiuta o potrebbe distogliere. Nessun senso nel citare attività, che è fatta pure di professione di psicologia oltre che di interventi di filosofia, senza poterne considerare interamente anche apporti tecnici, di progressi ovvero non-involuzioni linguistiche, quali quelli del Dizionario di Psicologia di stesso Galimberti; né bisogna confondere polemiche passate su progettualitá culturali e politiche con altrui (non mie) polemiche presenti antipolitiche ed antiprogettuali contro stessa cultura non solo filosofica o non eminentemente tale! Il discutere filosofico su tecnica e potere incontra nonsenso e fine se oscurantismi medioevali e revanscismi antichi prevalgono pur inavvertitamente; questi non essendo eredità di Evo di Mezzo né ritorni di Antichità.
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)
Certo che non sarebbe, non è scientificità né tecnologismi di semiotica, a poter dare sensi adatti alla discussione filosofica condotta per tramite della epistemologia-ontologia sulla vuotezza ed ingannevolezza dei Paradisi Artificiali della Tecnica; non serve dunque ai negatori o loro sottoposti o a quelli da loro ingannati rifuggire dalle realtà simboliche per evitare piena descrizione della inanità di tali paradisi ed anche dei segni che vi alludono, talvolta per inversi, rovesci, opposti; ed allora non si tratta di analizzare la terribilità tecnica secondo parametri desueti, parziali, neppure fossero materialisti; ed allora usar insegnamento di Scuola di Francoforte, assai manchevole per statuto nei confronti della simbolicità dell'Occidente, cosa di fatto attuata dal recensore, non serve e semmai allontana da pensiero filosofico; inoltre usar tautologie contemporanee per supporti trasforma parzialità in parzialismi; infatti non esiste solo l'Occidente nichilista, non esiste solo la illusione paradisiaca associata a tecniche e tecnologie contemporanee; perché nei fatti ne esistono anche esigenze improbabili ma reali, funzioni pratiche non teoriche di solo apparentemente inutili ma in realtà utili od utilissimi estremismi; ed oltretutto esistono gli estremi per i quali la tecnica ed il potere non possono esser separati da saggezza perché sono sopravvivenza; e non v'è giustezza nell'opporre un no alle ragioni della fretta (è il caso anche dei reali utilizzi delle automobili velocissime) neppure a ridurre la filosofia ad un giudizio univoco che se dato escluderebbe ingiustamente ed anche parte di se stessa, perché la filosofia stessa può giovare e giova e non solo alla scienza, pure a tecniche... ed anche terapeutiche (mi riferisco di nuovo anche a psicologia e a metodi psicologici).
Si dice di "Psiche e techne", Psiche, Techne... E ciò non implica mai alternativa tra fatalismo e rifiuto qualora se ne affermi per itinerario filosofico.
(...)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)

La tecnica ed il potere contemporanei se aiutano, a vincer tempi veramente avversi e a dominar spazi realmente nemici, non sono valutabili con criteri ideali.

In tale valutazione il realismo oggettivista nato in postmodernità non ha fatto più che da segnale di intellettuali mancanze; di negazioni antimetafisiche per novità metafisiche che non possono conservare tradizioni neppure preziose e neppure garantire futuri adeguati. Questo realismo ha cercato in àmbiti di epistemologia-ontologia quasi del tutto a vuoto, trovandovi solo via del ritorno ma a moderne e coerenti necessità gnoseologiche e fenomenologiche da aggiungere non opporre; e tale si presenta il Realismo postmoderno, sia stimato anche questo nuovo o non lo sia; e non si può assumerne funzioni per estraneità né concorrenzialità.
Il riferimento che in miei commenti ho fatto a psicologia e linguistica in particolare ad attività di U. Galimberti non è un caso; tale sua attività infatti per via di esclusioni, escludendo cioè falsità ma affrontandone inerenze, potrebbe o può aiutare un piccolo intero mondo civile e culturale a ritrovare in mezzo a massime insensatezze minime sensatezze ma ciò non può accadere ad esso senza considerare la ampiezza delle prospettive psicologiche anche scientifiche moderne e postmoderne; ed a tal scopo bisogna rendersi conto della importanza dei Simboli, non solo in psicologia; ed a mio avviso tale necessità non era, non è stata assolta da cotale recensione che ha per oggetto un lavoro di Lucien Sfez certamente per tematiche più rilevante di quanto da stesso suo recensore Gennaro De Falco, in anno 2006, posto ad attenzione.
Da quell'anno molte cose smentirono tante attese (...non mie...) dipendenti però anche da altre opposte parimenti ignare (...non mie...); infatti esiste anche l'altra perdita, non di presente e passati e quindi di presente stesso, ma di futuri non altri, cioè di futuri propri non altrui, a causa di ultramodernismo senza possibili esiti trasformativi, cui decadenze non sono di civili estetiche soprardinate non sovraordinate ma purtroppo di culture fondative che non più fondanti lasciano o lascerebbero interi ambienti culturali e civili, i quali non vivono unità naturale di cultura e natura, senza capacità di fare né di fare per vivere.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Mi pare giusto aggiungere a miei commenti precedenti qualcosa che possa dare non solo idea di cosa abbia io posto in causa ma perché ne consista; infatti concordo in merito alla manifestazione della esigenza di far valer fatti oltre che prassi; a tal scopo invierò mie descrizioni e considerazioni che ho scritto quest'oggi dopo aver dato brevi letture a Nuovo Dizionario di Psicologia di Umberto Galimberti. Non si tratta di doppiare recensione, ma di valutar separatamente assieme a miei altri commenti qui.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Da considerarsi assieme a mio messaggio precedente:

Su: DIZIONARIO DI PSICOLOGIA di Umberto Galimberti.

Lavoro di compilazione preliminare e non definitivo, di cui:
prima realizzazione durante periodo detto della "crisi della psichiatria", ovvero dopo le Disposizioni di legge sulla chiusura delle strutture manicomianali dei luoghi sanitari e prima degli Interventi per la soppressione dei luoghi di curatela nelle strutture carcerarie,
seconda realizzazione di esso dopo tali due eventi e durante l'avvio del Commissariamento delle procedure statali non locali o non localizzate, consistito e consistente in sottoposizione dei dibattiti parlamentari e consiliari a istanze esecutive-giudiziarie-istituzionali a difesa dei servizi sanitari in quanto tali e non altri, cui ha seguito avvio delle Interrogazioni, parlamentari e consiliari, a difesa delle altre necessità di limitare od evitare offerta dei servizi sanitari — i due eventi precedenti da legislazione giudiziaria a giudizio normativo avevano posto fine al coinvolgimento delle Istituzioni statali con le inadempienze e i disastri della Previdenza sanitaria nello Stato; gli altri due successivi hanno iniziato fase statale differente, entro cui funzionamenti esecutivi e funzioni giudiziarie operano e cooperano offrendo percorsi legislativi obbligati e ostacoli normativi necessari —limitare col rifiuto ed accantonamento delle pratiche organizzate di neutralizzazioni organiche e di morti anticipate; periodo di difesa inconcluso detto della "fine della medicalizzazione" ed in opposizione alla cosí appellata "diffusione delle neuroscienze" ma in realtà questa ultima fenomeno di indistinzioni e di confusioni che hanno tentato e tentano vanamente ma disastrosamente di costruire, definire, agire secondo una unità di saperi scientifici impossibile ad esistere e che quale pregiudizio e fantasia sussiste soltanto subculturalmente, mentre linguisticamente vale quale gergo in uso di tecniche ma non per linguaggio tecnico; dunque recepibile quale modo diffuso e non insensato ma non significante di dire, descrivere, comunicare.

Dizionario che è opera aperta, a carattere non sistematico e di impostazione interdisciplinare, nata per finalità scientifiche e da motivazioni filosofiche; da non utilizzarsi per orientamento disciplinare ma potenendosene usare a questo scopo, è basato su descrizioni lessicali e privo di riferimenti terminologici, munito di indicazioni anagrafiche e bibliografiche e di riduzione alfabetica, in pratica questa ultima che non mutandone la elencazione di dizioni ne aggiunge l'altra usufruizione quale dizionario-vocabolario, necessaria in quanto le trattazioni hanno maggior risultato di favorevoli negazioni e minor o nullo risultato di opportune affermazioni.

...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE:...

Durante la crisi della psichiatria non era sempre ovunque possibile definizione diretta rigorosa di psicoanalisi quale metodo psicologico né v'era accesso praticabile a cronache storiche che testimoniavano la preesistenza del metodo psicologico della psicoanalisi quale rigorosa ripartizione della diagnostica psichiatrica supportata da scienza psicologica; a fronte delle reazioni violente che tal metodo suscitava in ambienti sanitari e parasanitari invasi da criminosità e criminalità non solo di incompetenza, si usava illustrare autentico metodo psicoanalitico raffrontando analisi psicologica e psicologia analitica e se ne menzionava solo la applicazione esterna, di tecnica derivata. Solo in tal senso "teoria psicoanalitica" significava — e significa — possesso dei requisiti solo teorici per poter avvalersi di tecnica psicoanalitica, ma non di metodologia scientifica nè applicazione rigorosa di metodo scientifico-psicologico. Analogalmente non era quasi mai o mai possibile dire di scienza psicologica direttamente ma si doveva procedere facendo notare che l'esperimento psicologico non è la esperienza scientifica psicologica ma solo una tra le tante attività cui applicabile scienza della psicologia.
Ma nel dizionario si trovano altresì validi contenuti atti ad introdurre non solo ad evitare esoterismi. Per esempio le dizioni, ivi: "psiche", "dominanza", “psicosintesi“; certamente la dizione, ivi, della psicoanalisi sta diventando vecchia eppure durano ancora impedimenti e pregiudizi e le condizioni positive o favorevoli della politica e cultura attuali sono osteggiate gravemente; per questo ivi le tante inconcludenze, le tante coincidenze verbali (per esempio tra àmbito di psicologia e àmbiti di antropologia, etnologia, neurologia...) non possono esser perdite di sensi ma tuttalpiù perdite di tempo per chi già oltre i nessi subculturali omologanti ed impedenti cultura psicologica e scienza psicologica ad altre logiche e scienze.

In sintesi, per un buon utilizzo del dizionario, si tratta:
A) di distinguere gli elementi linguistici del gergo "neuroscientifico" dagli elementi non gergali;
B) di individuare per quel che esse sono le componenti linguistiche aggiunte, soprattutto desunte dalle pratiche mediche;
C) di identificare separatamente i soggetti linguistici principali, notandone pregnanza attuale non storica.

Si constata nel Dizionario un uso favorevole di registri semantici tautologici e idiologici (non ideologici), nell'attuale quadro di riferimento sociale e culturale consentendo a studiosi altrimenti sprovvistine di ampliare i riferimenti linguistici anche ovviamente in contenuti concreti; e ciò reca o potrebbe recare un vantaggio non solamente culturale, alle risoluzioni cui servono suddetti Commissariamenti ed Interrogazioni, risoluzioni che già in Italia hanno salvato esistenza di Stato Italiano e che hanno scopo di renderla non solo degna o più degna cioè scopo anche di avvalorarne.

Tal Dizionario aiuta a smascherare disvalori includendone le espressioni senza lasciar nella dispersione intellettuale le espressioni dei valori reali; nulla di fondamentale e solo pochissimo di essenziale ma niente che sia chiuso a fondamenti né di aperto a compiuta essenzialità; esso cioè è una pubblicazione dal valore più storico che rappresentativo, perché non fissa ma segna, pur non provocandone, un divario tra certa ed insicura subculturalità ed incerta ma sicura cultura; attualmente in tutto specchio e in niente ormai tramite (e ciò è un sollievo!) il nuovo Dizionario di U. Galimberti non è ancora simulacro linguistico, tanto che idiomi classici e tipici psicologici vi si ritrovano distaccatamente e — non mi riferisco a grammatica con ciò ultimo — neutramente non solo neutralmente.
...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

... Si consideri, ora, avvalendosi della mia digressione precedente, il quadro filosofico offerto da indice di pubblicazione recensita da Gennaro De Falco; si nota che esistendo, permanendo eventuali e reali distruzioni di poteri tecnici, tecnologici, nella dissoluzione causata tragicamente dalle illusioni della indistinzione della tecnoscienza, resta, oltre le opzioni di totali trasformazioni o completi rifiuti nonché di accettazioni tragiche e di tragici immobilismi, una possibilità di continuazione vitale e non ripetizione vuota, che scaturisce non da vuoto generato nella modernità ma da istanze nonostante tutto moderne, non riducibili ad antitesi opposte di tecnica e potere da una parte e tradizioni e continuazioni dall'altra parte; possibilità che è, rimane utile, praticamente, non essendo astrazione morale neppure essendo una etica della sola disperazione.

È accaduto, siamo in anno 2019, che il dilemma tra il sapere ed il realizzare, già tematicamente posto in dibattito filosofico da L. Sfez in anno 2006 ed anche in Italia, si è dissolto in altro dilemma, eppure con una soluzione positiva, direttamente favorevole, che poneva e pone domanda su cosa fare ed in che modo; e in Italia ciò è accaduto, opportunamente e necessariamente, con politica filosofica non filosofia politica, accadimenti di vigore tanto inusitato quanto trascurato però democraticamente ineluttabilmente determinante, negli stessi atti dello Stato, il cui divenire... ha mutato corso interno!!

MAURO PASTORE