lunedì 2 aprile 2007

Fabris, Adriano, Senso e indifferenza. Un clusterbook di filosofia.

Pisa, Ets, 2007, pp. 142, € 12,00, ISBN 978-884671708-5.

Recensione di Daniela Di Dato - 02/04/2007

Filosofia teoretica (gnoseologia)

Che rapporto esiste oggi fra realtà e pensiero? E in questo rapporto, qual è il ruolo della filosofia? Sono questi gli interrogativi da cui prende avvio la riflessione di Adriano Fabris, che subito vuol essere relazione coinvolgente con i lettori.
Dietro un’apparente sintonia, assistiamo sempre più a una marcata dicotomia tra realtà e pensiero. Il reale non è più pensiero che si fa, che si concretizza, ma esso stesso si fa pensiero. Nella cultura premoderna, al pensiero si attribuiva una potenza utopica e alla filosofia la capacità di aprire al futuro. Nel modo moderno, invece, la realtà diventa virtuale: non è reale un pensiero che si fa concreto, ma spesso è già reale un pensiero non ancora elaborato. E ciò impedisce al pensiero, al fare filosofia di riconoscere come propria la realtà. Quasi incapace di afferrare il reale, il pensiero sfugge e proprio per questo, secondo l’autore, deve dare a pensare.
Il testo è un esercizio, un tentativo di condurre il pensiero là dove forse non si è soffermato, in pensieri incarnati, vivi e concreti nel nostro quotidiano: la rivelazione, l’apparenza-spettacolo, la comunicazione e il consumo. La realtà è epifania, è una rivelazione che, da sempre, la filosofia accoglie, approfondisce, scoprendone la verità e l’alterità oltre il velo dell’apparenza. Oggi invece la rivelazione si esaurisce in ciò che è rivelato: realtà e apparenza sono piani non più distinti, ma coincidenti e tutto fa, è spettacolo. I reality show confondono la vita quotidiana con lo spettacolo, il modello con la copia, la rivelazione con l’apparenza: l’uomo qualunque è attore del suo stesso quotidiano, ma è anche spettatore. Imbambolati, rapiti dal mondo delle immagini, stabiliamo un rapporto che non è di coinvolgimento e di relazione, ma di distaccata autoreferenzialità con un apparente che non cela più uno spessore da approfondire.
L’autore non riconosce più nelle immagini l’espressione della creatività umana: esse ci attraggono perchè ci assorbono completamente. Le immagini si esauriscono nel loro apparire, senza rimandare ad altro da sé: la luce che un tempo illuminava, orientava, creando profondità, ora è solo un luccichio intermittente che mostra e nasconde immagini, dietro le quali e delle quali non interessa più l’originale, c’è solo l’apparecchio e le potenzialità dell’hardware che le ha generate. Le immagini riflettono perciò sé stesse, noi stessi diventiamo immagini, ma non certo, secondo l’autore, immagini significanti. Oggi inoltre il mondo occidentale è scandito dal consumo: del tempo, della vita, di noi stessi. Il consumo è in stretto rapporto con il desiderio, in quanto ciò che si desidera si può comunque riavere e quindi non è necessario conservarlo. Nell’era premoderna il valore delle cose era legato al suo durare, nell’era moderna invece l’uomo diventa produttore e quindi creatore: è artefice di tutto ciò di cui ha bisogno e addirittura del bisogno in sé. Perciò usare, distruggere, consumare non rimandano più a un significato negativo, ma alimentano la catena produttiva, amplificando l’orgoglio e il senso di onnipotenza dell’uomo moderno.
E allora, viene da chiedersi, qual è il valore di ciò che è sempre disponibile, che si può sempre avere e buttare via? Si produce per consumare e si consuma per produrre. La creazione dal nulla e l’annullamento non sono più categorie di ordine etico e religioso, ma solo economico. Ed è proprio questo circuito vizioso del produrre, consumare, distruggere e di nuovo produrre ad alimentare l’indifferenza sia come ciò che non ha differenze rispetto ad altro (indifferente rispetto a qualcosa), sia come ciò che non ha o suscita interesse (indifferente verso qualcosa). In entrambi i casi, essa implica l’annullamento di un rapporto reciproco di confronto, di relazione. Ancora una volta è l’autoreferenzialità a produrre indifferenza: laddove non c’è confronto, rapporto, non c’è neppure distinzione, non c’è più il senso delle cose. Paradossalmente i fondamentalismi sono la massima espressione dell’indifferenza: l’adesione alla lettera ai testi sacri, il rifiuto del dialogo, la convinzione che il proprio credo sia l’unica verità sono tutti sintomi di un profondo disinteresse a ciò che è diverso da sé, fuga da un rapporto di relazione con l’altro. Infatti anche l’identità rimanda a un’esperienza di relazione che si definisce nel momento in cui ci si rapporta ad altro. L’altro in sostanza è funzionale all’affermazione del concetto di identità: può essere muro, ossia qualcosa da negare come il fondamentalismo che esclude tutto ciò che è diverso da sé, oppure specchio, ossia occasione di autoaffermazione e riconferma di sé.
La nostra epoca esaspera l’identità sia rivendicandola in modi rigidi ed intolleranti, sia negandola, trasformandola in un’identità “liquida” che non ha più forma: se non c’è rapporto di relazione non solo l’identità viene perduta ma anche l’indifferenza si diffonde. Ma è chiaro che il vero rapporto da salvaguardare non è il rapporto con il sé, autoreferenziale, pura riflessione e quindi esibizione, ma quello che espone il sé nella misura in cui si coinvolge con l’altro: dunque, in questo rapporto, l’identità del sé non viene assorbita, il legame non annulla le differenze, ma accelera lo sviluppo e perciò elimina l’indifferenza. Quindi è solo quando realizziamo un coinvolgimento con l’altro che tutto assume un senso.
L’autore continua dunque la sua riflessione sul significato di “virtuale”. Se nella filosofia classica le categorie del reale, del possibile, del potenziale e dell’attuato si mantenevano differenziate e poste su livelli diversi, nell’era moderna tutto appare semplificato in un’unica dimensione, in cui il possibile (cioè ciò che non è reale ma che potrebbe divenirlo) si confonde con ciò che è reale, in cui la potenza è capace di attuarsi prescindendo da ogni atto. E dunque oggi che significati assume il “senso”? Uno dei cinque sensi, il significato di qualcosa, una direzione e senso di marcia, il buon senso, ma è anche ciò che ha senso (sensato) e ciò che dà senso (sensante), quindi senso è inteso come una molteplicità di punti di vista non relativistica quindi escludente, ma prospettica quindi panottica. La pubblicità oggi esprime il senso. Essa non è semplice trasmissione di messaggi, ma creatrice di senso: il prodotto pubblicizzato non è esaltato solo nel suo valore di mercato o d’uso, ma è caricato di un valore simbolico, di un qualcosa che non è reale ma possibile e che è capace di attrarre e sedurre. Ma questo senso che appare, che illude, ha veramente senso? È questa la domanda che l’autore pone ai suoi lettori. In realtà senso vuol dire coinvolgere: anche il concetto di Dio può essere reinterpretato in questa nuova accezione. L’idea di Dio non è più solo propria della teologia filosofica che ne fa concetto, ma appartiene anche alla filosofia religiosa che ne cerca testimonianza nella realtà: l’uomo, il mondo possono dare un senso all’idea di Dio che stabilisce un rapporto con l’uomo attraverso la creazione e crea coinvolgimento nel rapporto tramite la rivelazione. La forma triadica in cui si esplicita il senso (sensante, sensato, sensare) riporta alla trinità divina e comunque a una dimensione virtuale in cui possibile, potenziale e reale si confondono.
Ma basta tutto questo? Certamente no: Adriano Fabris espone le sue riflessioni su alcuni concetti quali senso, indifferenza, identità con l’intento di dimostrare che il pensare non è una struttura definita in cui collocarsi. Il pensiero fugge a sé stesso, nel senso che probabilmente anche il pensiero si è fatto virtuale: pensiero e decisione, etica e teoretica non sono da considerare come due ambiti disciplinari distinti, ma rimandano continuamente l’uno all’altro e attraverso il loro coinvolgersi, la loro relazione. Ecco perché clusterbook: la copertina rimanda metaforicamente a una bomba cluster, dotata cioè di submunizioni pensate per aumentare l’area di diffusione dell’atto epslosivo. Così questo testo permette ai lettori di aggiungere pensieri sul link www.edizioniets.com/clusterbook, di rendere il libro un libro aperto che si fa nella relazione e nel coinvolgimento che l’autore stabilisce con chi legge. Un libro che, nel tempo, può anche fuggire da sé stesso, aprire nuovi orizzonti, e soprattutto combattere l’indifferenza di rapporti autoreferenziali che, al giorno d’oggi, s’insinuano nella nostra vita, nel quotidiano ma anche in quegli spazi che, forse, pensavamo di completa libertà come quello della lettura e della filosofia.

Indice

Premessa
Inizia
Oggi
Nell’indifferenza
Virtuale
Una filosofia prima
Dei sensi molteplici
Come coinvolgimento


L'autore

Adriano Fabris insegna Filosofia morale ed Etica della comunicazione all’Università di Pisa. Ha pubblicato, fra l’altro, i volumi: Esperienza e paradosso (Angeli, Milano 1994); I paradossi dell’amore (Morcelliana, Brescia 2000); Paradossi del senso (Morcelliana, Brescia 2002); Etica della comunicazione (Carocci, Roma 2006). È direttore della rivista “Teoria”.

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