venerdì 7 settembre 2007

Marini, Giuliano, La filosofia cosmopolitica di Kant, a cura di N. De Federicis e M. C. Pievatolo.

Bari, Laterza, 2007, pp. 279, € 22,00, ISBN 8842083313.

Recensione di Jamila Mascat - 07/09/2007

Filosofia politica

Pubblicato postumo il volume dedicato a La filosofia cosmopolitica di Kant raccoglie i materiali manoscritti –rivisti e integrati dai curatori- redatti da Giuliano Marini tra il 2001 e il 2004 in vista della composizione di una monografia sul pensiero politico kantiano intitolata nel progetto originario dell’autore Lezioni sulla filosofia politica di Kant.
I testi presi in considerazione da Marini nel tentativo di pervenire ad una ricostruzione organica della teoria politica kantiana sono cinque scritti brevi di argomento specificamente politico risalenti all’ultimo ventennio della riflessione del filosofo –Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (1784); Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784); Sopra il detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica (1793); Per la pace perpetua: un progetto filosofico (1795); Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio (1798)- sebbene non manchino i richiami alle tre Critiche e compaiano frequenti riferimenti alla Metafisica dei costumi (1797) e alla Religione (1793).
Del disegno repubblicano inteso in senso cosmopolitico Marini fa il perno della filosofia politica di Kant, e a partire da questa idea egli tenta di sistematizzare i contenuti di un pensiero che giudica in ultima istanza essenzialmente asistematico, in particolare se comparato con le acquisizioni maturate dal criticismo kantiano nel campo dell’etica e della metafisica: “Tenteremo in tal modo –scrive nelle prime pagine- di ricostruire quell’opera politica sistematica che Kant non ci ha dato, cercando di superare l’occasionalità e frammentarietà di tali scritti” (p.4).
Diviso in quattro sezioni distinte, il libro si apre con un capitolo intitolato Ragione e realtà dedicato all’approfondimento del rapporto della teoria e della prassi. Il nesso ragione-realtà rappresenta la problematica speculativa che percorre trasversalmente tutto l’arco della riflessione politica kantiana, la questione fondamentale alla luce della quale soltanto è possibile comprendere il progetto cosmopolitico del filosofo e il suo disegno repubblicano, la rivendicazione illuminista della libertà di penna e il carattere trascendentale dell’uso pubblico della ragione; come tale essa costituisce il filo conduttore dell’interpretazione di Kant che Marini svolge nel presente volume.
A dispetto della distinzione tra noumenico e fenomenico posta da Kant in relazione alla sfera pratica, nello scritto Sul detto comune il filosofo difende il principio che ciò che vale nella teoria vale anche nella pratica, ovvero la tesi che quanto stabilito dalla dottrina morale valga anche come fondamento della sfera politica e del diritto che della morale rappresentano il terreno dell’applicazione pratica. La teoria morale infatti prescrive all’uomo sottoforma di dovere solo comportamenti effettivamente attuabili; la pratica d’altra parte non incarna una dimensione sconnessa dal mondo dei principi e della teoria, ma proprio quell’attività che attua e realizza concretamente i contenuti di tali principi. E’ qui in gioco la comprensione del rapporto tra morale e politica -sapienza e prudenza- di cui Kant enuncia la compatibilità teorica e auspica il compimento pratico; ed è qui manifesto quel carattere d’approssimazione della filosofia kantiana sui cui Marini insiste fin dall’Introduzione, dove leggiamo che “la filosofia kantiana può essere considerata una filosofia dell’approssimazione, sia nel campo conoscitivo sia nel campo pratico” (p.4).
La questione del rapporto di teoria e prassi si complica a proposito del concetto kantiano di stato.
La seconda parte del volume dedicata al pensiero kantiano dello stato si sofferma proprio su questo tema: quando si ha uno stato secondo ragione? Nello scritto sulla Pace perpetua Kant individua nella repubblica il modello di una società civile secondo ragione fondata sui principi naturali della libertà, dell’uguaglianza e dell’indipendenza che il filosofo, in polemica con Hobbes, riconosce in qualità di diritti inalienabili dei sudditi nei confronti dello stato. L’istituto del contratto, rispondente ai dettami della ragion pura legislatrice, assume per Kant valore costitutivo e diviene termine di paragone della giustezza di ogni costituzione razionale; in quanto patto che è a fondamento di ogni altro patto civile, esso si distingue dall’insieme dei patti privati che possiedono valore soltanto utilitaristico, nella misura in cui il contratto non ha di mira la felicità dei cittadini, ma piuttosto incarna per ciascun individuo l’imperativo morale di entrare in società e fuoriuscire dallo stato di natura. Per Kant la definizione della forma di stato, in relazione al numero dei governanti (forma imperii), è secondaria rispetto a quella basata sulla forma regiminis. Al filosofo preme soprattutto determinare le caratteristiche della forma regiminis e sotto questo aspetto sancire l’assolutezza della forma repubblicana contro l’opposta forma dispotica; e sempre al fine di scongiurare la minaccia del dispotismo lo stato kantiano prevede un sistema della rappresentanza e la suddivisione dei poteri tra i diversi organi competenti che il filosofo riprende dalla teoria di Montesquieu.
Sulle realizzabilità di questo assetto statuale concepito secondo i principi della ragione si interroga l’autore del volume: esso “è soltanto un’idea - cioè dobbiamo tendere ad esso come a un modello per la nostra azione, ma sapendo che esso è inattuabile compiutamente [....] Oppure pensiamo che un tale stato sia realizzabile, come lo furono i singoli stati, che hanno eliminato la barbarie? “ (p.67).
Se nello scritto sulla Pace perpetua Kant da un lato riconosce l’assoluta legittimità delle aspirazioni incondizionate della ragion pratica al disegno repubblicano, tuttavia viene a definire tale costituzione come “la più ardua da istituire e ancor più da mantenere, tanto che molti affermano che dovrebbe esserci uno stato di angeli poiché gli uomini con le loro inclinazioni egoistiche non sarebbero capaci di una costituzione così sublime” (p.96). Altrettanto viene ribadito circa le condizioni di attuabilità del modello cosmopolitico cui Kant fa riferimento nel secondo articolo dello scritto sulla Pace perpetua e nello scritto del 1798 Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, dove le prerogative dell’ordinamento repubblicano vengono estese all’orizzonte della società mondiale: da un lato al fine di superare la condizione di status naturae che vige nei rapporti tra stati sovrani il filosofo teorizza la necessità di uno ius cosmopoliticum e auspica “che un siffatto stato universale dei popoli venga preparato e sia considerato possibile (in praxi) e tale da poter esistere” (p.146); dall’altro contemporaneamente fa allusione all’eventualità che il progetto della repubblica mondiale, quale condizione della pace perpetua, possa rivelarsi, oltreché di difficile attuazione, “per un altro aspetto ancor più pericoloso per la libertà, originando il più orribile dispotismo” (p.145) e propone suggerendo l’ipotesi dell’assetto confederale una più modesta soluzione di compromesso.
La questione del cosmopolitismo, cui specificamente è dedicato il terzo capitolo di questo volume intitolato L’organizzazione internazionale, è oggetto di particolare attenzione da parte del nostro autore che in esso individua “le prospettive più audaci e attuali” della filosofia kantiana: “il problema che si pone all’umanità e che deve essere quindi indagato dal filosofo – scrive Marini- è quello di superare l’attuale condizione di un diritto internazionale (jus gentium) che non è in grado di regolare coattivamente i rapporti tra i popoli.” (p.8). Discostandosi dall’interpretazione di Bobbio Marini intende il cosmopolitismo kantiano in senso federalistico e fa del filosofo tedesco il fautore del disegno della repubblica federale mondiale (Weltbundesrepublik). Nel proporre questa lettura egli interpreta le oscillazioni della teoria kantiana tra opzione federale e opzione confederale – tra Volkerstaat o civitas gentium e Volkersbund o foedus gentium- nel senso della prima opzione, adducendo a ragione di questa scelta l’argomento che solo un progetto autenticamente federalista sarebbe coerente con il disegno kantiano della pace perpetua: “la civitas gentium dà la garanzia della pace –osserva Marini- perché è un solo stato dotato di sovranità e di forza coattiva nei confronti dei popoli che vivono sotto di esso” (p.67).
In tal senso le ambiguità del discorso di Kant vengono ricondotte alla necessità avvertita dal filosofo di mediare la perfezione dell’idea repubblicana e cosmopolitica in thesi con la realtà delle condizioni fenomeniche che impediscono la realizzazione politica di questo progetto in hypothesi.
La specificità della lettura che Marini offre del cosmopolitismo kantiano consiste nel metter in relazione questo elemento considerato fondamentale nell’economia della teoria politica del filosofo tedesco con la questione del finalismo teleologico; nel progressivo e tendenziale perseguimento della costituzione cosmopolitica da parte del genere umano Kant avrebbe individuato la finalità suprema della storia del mondo e la testimonianza del suo costante progresso verso il meglio. Posta la meta ideale della Weltrepublik il percorso del genere umano secondo Kant non è altri che un cammino di sempre crescente approssimazione all’idea cosmopolitica scandito talvolta dal ricorso al “surrogato negativo – così lo definisce Kant nell’art.2 della Pace perpetua- di una confederazione permanente e sempre più estesa che ponga al riparo dalla guerra e arresti il torrente delle tendenze ostili contrarie al diritto, ma col continuo pericolo della sua rottura” (p.153).
La quarta ed ultima parte, come già accennato, è dedicata al tema del chiliasmo e prende in considerazione il rapporto tra chiliasmo teologico e chiliasmo filosofico nell’opera dell’ultimo Kant, confrontando in particolari gli scritti di argomento politico con l’opera sulla Religione che Marini considera essenziale per la comprensione del problema chiliastico. La questione del chiliasmo, questione di pertinenza etica e religiosa, viene trattata in relazione alla teoria kantiana del cosmopolitismo e “in questo intreccio tra morale e teleologia – afferma l’autore- consiste la specificità del nostro problema”. Nell’Idea per una storia universale del 1784 compare per la prima volta il termine Chiliasmus e si accenna alla possibilità del chiliasmo filosofico, che Kant formula interpretando in chiave storico-mondana il regno millenario di Cristo e dei beati sulla terra di cui parla il libro dell’Apocalisse. Il chiliasmo in senso filosofico è rappresentato pertanto dal progetto kantiano della pace perpetua; esso –ci spiega Kant nella Religione- “spera in uno stato di pace perpetua, fondato sulla confederazione dei popoli come repubblica mondiale” (p.237); è -per dirla con le parole di Marini- “il regno del diritto sulla terra, ovvero il regno della ragione” (p.235).
In questo modo il concetto del chiliasmo filosofico si discosta dal concetto del chiliasmo teologico, nella misura in cui mentre quest’ultimo allude all’idea dell’assoluta perfezione morale, il primo rappresenta soltanto una forma parziale ed esteriore di moralità, limitata entro i confini dell’orizzonte giuridico, il quale ha l’obbiettivo di provvedere al miglioramento politico delle condizioni di vita degli esseri umani sulla terra, senza tuttavia poter garantire l’avanzamento morale del genere umano. Attraverso il tema del chiliasmo il discorso torna a collegarsi ai contenuti della prima sezione e nello specifico al tema del rapporto ragione-realtà. Marini sottolinea infatti a proposito della distinzione fra i due chiliasmi, l’onnipresenza dell’ambiguità kantiana tra il massimalismo delle formulazioni in thesi e il minimalismo delle soluzioni proposte in hypothesi. E tuttavia lungi dallo scorgere -sulla scia di altre letture interpretative- in questa duplicità del pensiero kantiano un vizio di incoerenza, l’autore intende mostrare l’intima coerenza della teoria politica del filosofo della Pace perpetua, la quale teoria riflette in maniera assolutamente consequenziale la complessa e duplice costituzione della natura umana – noumenica e fenomenica – così come Kant la concepisce.

Indice

Introduzione
Ragione e realtà
Lo stato
L’organizzazione internazionale
Il dilemma chiliastico: chiliasmo filosofico o chiliasmo teologico?
Considerazioni su storia pronosticante ed entusiasmo
Tra politica e religione: motivi chiliastici nella filosofia dell’ultimo Kant
Sul sorgere di motivi federalistici nel pensiero politico kantiano tra il 1793 e il 1795


L'autore

Giuliano Marini (1932-2005) è stato docente di filosofia del diritto e filosofia politica presso l’Università di Pisa dal 1969 al 2004. Studioso di Kant, Hegel e Dilthey, è autore di numerosi volumi e pubblicazioni tra cui ricordiamo: Libertà soggettiva e libertà oggettiva nella ‘Filosofia del diritto’ hegeliana (Napoli, Bibliopolis, 1978); Storicità del diritto e dignità dell’uomo (Napoli, Morano, 1987); Tre studi sul cosmopolitismo kantiano (Pisa, Istituti Editoriali Poligrafici Internazionali, 1998) e infine la cura e la traduzione dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel (Bari, Laterza, 1999).

Links

L’archivio Marini presso l’Univeristà di Pisa - http://archiviomarini.sp.unipi.it/

3 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Quale secondo termine di paragone, entro valutazione alternativa in riferimento a tradizione filosofia aristotelica-scolastica - neoaristotelica, codesta quale primo termine del paragone, la filosofia kantiana è considerabile una identificazione di limite e definizione di prossimità relativa a stesso limite definito; ma entro tal paragone vige parzialità di interpretazione ed arbitrarietà di considerazione, tal che si tratta in definitiva di kantismo o di nulla di concludente né quindi di pertinente quanto a materia filosofica originaria in secondo termine di paragone. Però, essendo giunta conoscenza, in Italia, della filosofia kantiana attraverso il kantismo e per mezzo di nozioni incomplete di stessa filosofia di Kant; ed essendo stata impedita diffusione di altre e complete conoscenze — a causa del veto marxista imposto a scuole ed università il quale opponeva rifiuti politici culturali alle maggiori e non post-hegeliste non ex-hegeliste espressioni informative sulla cultura filosofica tedesca precedente a filosofema di Marx, veto che lo stalinismo trasformava in unica alternativa e cui antistalinismo riconduceva ma per annullarlo ma che di fatto causava dapprincipio effetti duraturi e vasti di oblii ed indecifrabilità — allora in molti settori di studi non solo filosofici il kantismo era, è un riavvicinamento al pensiero kantiano e un modo per riformulare non attivamente quel paragone, che serviva a pensiero antikantiano ed anche a polemiche anticulturali ma che disattivato poteva, far da codice per altra non omologa né omologata interpretazione...
Differentemente prevarrebbe tendenza anticulturale ed antifilosofica perché resta una violenza culturale la deliberata sottrazione di strumenti di decifrazione-comprensione del pensiero kantiano, invece resta la possibilità culturale ed intellettuale storicamente fondamentale e culturalmente necessaria a dialoghi politicamente inevitabili, filosoficamente ineludibili anche secondo scopi non kantiani e finanche antikantiani: se infatti la filosofia kantiana è per taluni uno sproposito o fa disinteresse, nondimeno accade di confrontarvisi o di poterne, anche da parte di chi ad essa non amico.
Non amico ne fu maggioranza del clero cattolico e forse adesso maggiorparte d'esso; ma non amico, anzi ostile ne fu post-illuminismo enciclopedista e marxismo derivatone non originatone; di cui ostile fino ad inverosimile il pensiero meccanicista, che della fisica dinamica conosceva applicazioni intere ma non interamente capiva presupposti matematici limitandosi alle approssimazioni di calcoli di Limiti e Derivate, utili ad equazioni economiche, ignorando calcoli di Integrali... fino ai tempi attuali angariando studenti coscienziosi e minacciando studiosi attenti!
Immanuel Kant, autore di una cosmologia-cosmogonia 'gravitazionale' (in corrispondenza a principio di gravitazione universale, scoperto e formulato da Newton), dopo l'antica 'levitazionale' (in corrispondenza a principio generale delle leve, scoperto e formulato da Archimede), era a parte dei calcoli integrali dei fisici del suo tempo ed anche di quelli limitati derivati e viceversa derivati limitati, che gli economisti adottavano per valute compatibili di numeri di denari con numeri di macchine; e chi altro solo questi ultimi voleva intendere, era avverso a comprensioni vaste ed esaurienti delle premesse intellettuali e naturali del pensiero di Kant, di cui tollerava Critica di ragion pura non pratica e rifiutava Critica del Giudizio; e ciò e fino ai nostri giorni pure in vasti ambienti culturali dediti a critiche parziali conformi a politiche ristrette, economiciste fino a subculturalità; ma... senza più il sovietismo che usava tutto il resto per ottenere opere su commissione che poi usava non utilizzava in azioni ordinative economiche-politiche, si deve dunque uscir fuori dagli schemi e dalla chimera della "approssimazione" critica.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Reinvierò messaggio precedente con aggiunte necessarie e migliorie al testo.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Quale secondo termine di paragone, entro valutazione alternativa in riferimento a tradizione di filosofia aristotelica-scolastica - neoaristotelica, codesta quale primo termine del paragone, la filosofia kantiana è considerabile una identificazione di limite e definizione di prossimità relativa a stesso limite definito; ma entro tal paragone vige parzialità di interpretazione ed arbitrarietà di considerazione, tal che si tratta in definitiva di kantismo o di nulla di concludente né quindi di pertinente quanto a materia filosofica originaria in secondo termine di paragone. Però, essendo giunta conoscenza, in Italia, della filosofia kantiana attraverso il kantismo e per mezzo di nozioni incomplete di stessa filosofia di Kant; ed essendo stata impedita diffusione di altre, complete conoscenze — a causa del veto marxista imposto a scuole ed università il quale opponeva rifiuti politici culturali alle maggiori e non post-hegeliste non ex-hegeliste espressioni informative sulla cultura filosofica tedesca precedente a filosofema di Marx, veto che lo stalinismo trasformava in unica alternativa e cui antistalinismo riconduceva ma per annullarlo ma che di fatto causava dapprincipio effetti duraturi e vasti di oblii ed indecifrabilità — allora in molti settori di studi non solo filosofici il kantismo era, è un riavvicinamento al pensiero kantiano e un modo per riformulare non attivamente quel paragone, che serviva a pensiero antikantiano ed anche a polemiche anticulturali ma che disattivato poteva, può far da codice per altra non omologa né omologata interpretazione. Differentemente prevarrebbe tendenza anticulturale ed antifilosofica perché resta una violenza culturale la deliberata sottrazione di strumenti di decifrazione-comprensione del pensiero kantiano, invece resta la possibilità culturale ed intellettuale storicamente fondamentale e culturalmente necessaria a dialoghi politicamente inevitabili, filosoficamente ineludibili anche secondo scopi non kantiani e finanche antikantiani: se infatti la filosofia kantiana è per taluni uno sproposito o fa disinteresse, nondimeno accade di confrontarvisi o di poterne, anche da parte di chi ad essa non amico.
Non amico ne fu maggioranza del clero cattolico e forse adesso maggiorparte d'esso; non amico anzi ostile ne fu post-illuminismo enciclopedista e marxismo derivatone non originatone, di cui ostile fino ad inverosimile il pensiero meccanicista, che della fisica dinamica conosceva applicazioni intere ma non interamente capiva presupposti matematici limitandosi alle approssimazioni di calcoli di Limiti e Derivate, utili ad equazioni economiche, ignorando calcoli di Integrali... fino ai tempi attuali angariando studenti coscienziosi e minacciando studiosi attenti!
Immanuel Kant, autore di una cosmologia-cosmogonia 'gravitazionale' (in corrispondenza a principio di gravitazione universale, scoperto e formulato da Newton), dopo l'antica 'levitazionale' (in corrispondenza a principio generale delle leve, scoperto e formulato da Archimede), era a parte dei calcoli integrali dei fisici del suo tempo ed anche di quelli limitati derivati e viceversa derivati limitati, che gli economisti adottavano per valute compatibili di numeri di denari con numeri di macchine; e chi altro solo questi ultimi voleva intendere, era avverso a comprensioni vaste ed esaurienti delle premesse intellettuali e naturali del pensiero di Kant, di cui tollerava Critica di ragion pura non pratica e rifiutava Critica del Giudizio; ciò fino ai nostri giorni, in vasti ambienti culturali dediti a critiche parziali conformi a politiche ristrette, economiciste fino a subculturalità; ma senza più il sovietismo che usava tutto il resto per ottenere opere su commissione che poi usava non utilizzava in azioni ordinative economiche-politiche, si deve dunque uscir fuori dagli schemi e dalla chimera della "approssimazione" critica.

MAURO PASTORE