lunedì 1 novembre 2010

Pagnini, Alessandro (a cura di), Filosofia della medicina. Epistemologia, ontologia, etica, diritto.

Roma, Carocci, 2010, pp. 583, € 42,50, ISBN 9788843054039.

Recensione di Emanuele Antonelli - 01/11/2010

Filosofia della scienza (Filosofia della medicina), Etica

“La medicina è “una scienza applicata o una somma di scienze applicate” che si occupa della salute del singolo malato o di una popolazione umana, e che, al fine di conseguire al meglio lo scopo, cerca, nell’osservazione sistematica, nel metodo sperimentale e nelle conoscenze di base che ne sono la linfa vitale, di accrescere il proprio livello di scientificità” (pp. 15-16).

A partire da questa definizione, che è anche una dichiarazione programmatica, Alessandro Pagnini ha raccolto a convegno un gruppo di lavoro costruito sull’accostamento di giovani e autorevoli professionalità italiane le cui provenienze — medicina, filosofia della scienza, filosofia della mente, filosofia morale, filosofia del diritto, giurisprudenza, psicologia e scienze umane — mettono capo ad un lavoro polifonico e armonico.

Il volume in esame va a colmare una lacuna editoriale, manifestazione di una carenza a livello progettuale e scientifico, pronta ora ad essere obliterata. In coda ad un florilegio di contributi interessanti ma sempre parziali, questo Filosofia della medicina, certo non il primo a presentarsi sotto questo titolo, offre un’introduzione tematica generale, organicamente finalizzata a costituire un campo coerente di discussione filosofica che non ha pari, né in italiano né in una lingua straniera accessibile.

La struttura dell’opera, di cui ci si potrà fare un’idea più approfondita consultando l’indice in calce alla recensione, fa di questo testo un manuale sistematico, dedicato ad approfondire ed ancora prima a presentare, la variegata gamma di problemi filosofici — non solo bioetici — posti dalla medicina, in quanto scienza e in quanto pratica, ad aggiornare le posizioni filosofiche relative, a proporre nuove analisi concettuali e ricostruzioni razionali della teoria e delle pratiche mediche e a mettere a disposizione il vocabolario essenziale di diritto ed etica per discutere le implicazioni valoriali della medicina e della cura. Insomma, un vero e proprio trattato che offre “tutto quello che avreste voluto sapere di filosofia per discutere correttamente dei problemi filosofici della medicina”, con il dichiarato auspicio di farsi leggere anche, se non soprattutto, da non filosofi.

Le quattro parti di cui si compone il volume sono dedicate rispettivamente ad un’analisi dei metodi e dei fondamenti delle scienze mediche, alle metodologie cliniche, all’epistemologia ed all’ontologia della malattia mentale ed ai dibattiti di ordine giuridico ed etico con cui una comunità consapevole deve fare i conti al fine di determinare correttamente deontologia e responsabilità, limiti e condizioni della scienza medica e delle sue applicazioni cliniche.

Pagnini fornisce, nell’introduzione, una premessa di carattere generale che è bene riportare per liberare sin da subito il campo da una delle domande classiche a cui ogni filosofia della scienza deve fornire una risposta. Specialmente in un momento che l’autore definisce di crisi paradigmatica, in cui la medicina pare affrontare una perdita, sia pure costruttiva, di identità, “il compito della riflessione filosofica non è indicare alla scienza una “retta via” per la ricerca e per la pratica, quanto semmai cercare di sondarne le implicazioni e gli impliciti e di vagliare criticamente le vie effetivamente prese da quella scienza e dalla comunità dei suoi praticanti” (p. 20).

Il contributo di Pagnini, le cui intenzioni introduttive puntano a definire lo spazio e i confini all’interno del quale possano animarsi i dibattiti proposti dai convenuti, si richiama alla classica “disputa sui metodi”, accesasi nell’ambito della distinzione tra le Naturwissenschaften e le Geisteswissensshaften, rintracciandone per altro l’origine nell’articolazione di due tradizioni differenti circa il modo di intendere le condizioni che una spiegazione deve soddisfare per essere scientificamente accettabile; una tradizione galileana di matrice platonica ed una tradizione aristotelica, fondate su spiegazione causale (meccanicistica) e spiegazione teleologica (finalistica). Ripercorrendo le fasi evolutive dell’articolazione di queste due prospettive, Pagnini sostiene che nel caso della medicina le ragioni di contrasto tra le due tradizioni, a partire dalla nota distinzione tra il comprendere (verstehen) e lo spiegare (erklären), non siano in grado di fornire una precisa classificazione.

La premessa che sostiene il volume punta a superare questa distinzione datata e inservibile ravvisando nella nozione di forma mentis scientifica un’utile strumento per condurre l’operazione di chiarificazione concettuale ricercata.

Sperando di cogliere correttamente le intenzioni degli autori, si potrebbe sostenere che i contributi della Parte prima, la più ampia del volume, siano dedicati a chiarire quali siano i tratti caratteristici di una forma mentis scientifica, ovvero di un atteggiamento che non rinunci mai a fare uso dei procedimenti e degli utensili dell’intelligenza.

Federspil, Giaretta e Oprandi si dedicano nel primo intervento a rispondere a domande fondamentali in merito al chiarimento della relazione di priorità epistemologica tra i concetti di salute o di malattia e allo statuto ontologico delle malattie. Si chiedono poi se sia possibile evitare il soggettivismo individualistico e il costruzionismo sociale e difendere una concezione che consideri la salute un valore e sia nello stesso tempo fondata su basi oggettive. Rispondono a queste domande sondando le prospettive analitica e olistica, l’approccio naturalista e le critiche normativiste, la prospettiva evoluzionista e quelle sociologiche.

Stefano Canali fornisce un’analisi introduttiva del concetto di “medicina scientifica”, offrendo gli strumenti epistemologici per comprendere gli enjeux dei dibattiti che investono la pedagogia medica. Affronta i presupposti metafisici della medicina scientifica valutandone le ricadute tanto sulla ricerca quanto sulla pratica clinica, generalmente ignote e, ancora più grave: inaccessibili, a chi non disponga delle competenze analitiche per affrontare la questione con un approccio filosofico.

Di natura più esplicitamente logica l’intervento di Festa, Crupi e Giaretta, dedicato alle forme fondamentali del ragionamento e della valutazione delle ipotesi nelle scienze mediche. Vengono affrontate in queste pagine le forme fondamentali dell’inferenza, deduzione induzione e abduzione e chiarito il ruolo e le modalità del metodo ipotetico-deduttivo nelle scienze mediche.

Il contributo di Campaner e Cavanna affronta la determinazione dei concetti di legge scientifica, offrendo al lettore un’ampia panoramica sul dibattito filosofico generale in merito alle leggi di natura e, nello specifico, in merito alle leggi biomediche, introducendo le prospettive principali sul tema. All’interno della sezione dedicata al ruolo del trial clinico nella ricerca scientifica, interessanti le pagine dedicate all’effetto placebo.

A chiusura della sezione epistemologica dedicata alla medicina del corpo, un intervento di Benzi e Campaner sui modelli di spiegazione e previsione più comuni — ovvero su quali siano le caratteristiche logiche necessarie perché una spiegazione possa essere ritenuta valida e quali i criteri causali ammissibili — e un intervento di Marraffa sul ruolo della teoria delle funzioni nel contesto delle scienze mediche (per lo più prive della possibilità di ambire alla generalità delle spiegazioni che contraddistingue le leggi universali, meta che viene infatti definita “ideale euclideo”).

La Parte seconda affronta il contesto della pratica medica, mettendo in campo i fondamenti della metodologia clinica, nel primo contributo di Scandellari; e le problematiche legate alla relazione tra generalizzazione e singolo caso clinico — e i singoli individui coinvolti, che rendono evidente il peso maggiore del confronto con il particolare rispetto al generale nel campo delle scienze mediche — nel contributo di Gabbani. Il contributo di Federspil affronta nello specifico il tema della diagnosi, fornendo una prospettiva che, come per altro quasi tutti i saggi del volume, si giova di un ampio respiro storico oltre che epistemologico.

Interessante il contributo di Crupi e Festa, dedicato alla presentazione e discussione dello studio delle decisioni in ambito medico. Si discutono le origini, il significato e i limiti dell’analisi decisionale applicata alla medicina clinica. Ad una necessaria introduzione alla teoria della scelta razionale — ormai sempre più diffusa in un’ampia gamma di discipline, a partire dall’economia —, segue la presentazione delle particolari condizioni di esercizio che il medico può fare di questo strumento.

Chiude la sezione un saggio di grande attualità pratica di Delvecchio e Cherubini sul tema dell’errore in medicina. Un intervento che fornisce strumenti teorici ed ermeneutici fondamentali per capire cosa sia l’errore medico — distinguendo innanzitutto tra errore del medico e errore della medicina —, quali siano le incidenze, quali le responsabilità e quali le conseguenze sociali ed economiche.

La Parte terza, forse quella con risvolti più ampiamente filosofici e logici, è dedicata all’epistemologia e ontologia della malattia mentale. I tre saggi che la compongono affrontano tematiche molto complesse e stratificate. Il saggio di Civita mira a discutere il concetto di malattia mentale e i limiti insuperabili che questo oppone ad una caratterizzazione filosoficamente e scientificamente inoppugnabile, affrontando di petto il problema dello statuto ontologico della mente e dei paradigmi che nel corso della storia hanno cercato di fornire spiegazioni alla malattia mentale. La seconda parte del saggio si cimenta con il concetto di malattia mentale su un piano pragmatico, cercando di fornire gli strumenti per discutere l’adozione, comunque necessaria, di una prospettiva in grado da un lato di ordinare razionalmente le conoscenze disponibili, dall’altro di fornire risposte utilizzabili sotto il profilo operativo.

Il contributo di Aragona affronta il tema della storia e dei criteri dei paradigmi nosografici, considerando la relazione tra i presupposti filosofici, empiristi, piuttosto che illuministi o sensisti, e i criteri diagnostici. Il saggio di Meini e Di Francesco, dedicato alle patologie della coscienza e all’identità personale, cerca di fornire delle considerazioni fondamentali sulle filosofie di base nella definizione dell’identità personale, ripercorrendo la storia delle teoria dell’individuazione — ovvero cosa sono io, cosa fa di me un io e cosa fa di me sempre lo stesso io — e aprendo uno scorcio sul ruolo delle patologie della coscienza come “esperimenti della natura”, in risposta alla metodologia discussa ma ampiamente diffusa degli esperimenti mentali inaugurata da Locke.

La Parte quarta del volume affronta temi di più immediata utilità dialettica, fornendo gli strumenti per comprendere, innanzitutto, e valutare i dibattiti sulla deontologia professionale del medico, a partire dal giuramento di Ippocrate di Kos, nel saggio di Ricciardi.

Gli ultimi due saggi rispondono ai dibattiti biopolitici più recenti, offrendo una prospettiva sugli argomenti più consolidati e gli strumenti ermeneutici più diffusi, per farsi un’idea meno ingenua e teleguidata sui delicati temi della responsabilità del medico, specialmente in contesti come quello dei trattamenti di fine vita — questo uno dei casi specifici trattati da Pelliccioli e Rabitti — e sui problemi etici legati all’inizio della vita dell’individuo e alla tutela morale dell’embrione — nell’ultimo saggio, di ispirazione liberale e pluralista, di Magni e Massarenti.

In linea generale, il volume affronta un florilegio di temi e problemi che mira ad offrire “tutto quello che avreste voluto sapere di filosofia per discutere correttamente dei problemi filosofici della medicina” (p. 15); un lettore filosofo potrebbe, in modo forse estemporaneo, lamentare l’assenza di considerazioni sull’immunologia, impegnativa branca della scienza medica, dai risvolti filosofici di eccezionale complessità e profondità.

L’operazione editoriale di Carocci e scientifica dell’équipe raccolta da Pagnini è lodevole e, oltre a fornire una preziosa introduzione alla disciplina, risponde — specialmente laddove indirizzata, negli auspici del curatore, ad un pubblico di non filosofi — all’esigenza di contribuire ad un miglioramento della qualità del dibattito pubblico su temi di bruciante attualità, generalmente abbandonati nelle mani del più retrivo dogmatismo o del più volgare populismo mediatico.

Purtroppo il prezzo e la ponderosa consistenza del libro in questione si intromettono con una certa evidenza rischiando di ostacolare in qualche misura l’iniziativa.

Indice

Premessa
Introduzione. Prolegomeni a una medicina come scienza, di Alessandro Pagnini
PARTE PRIMA. SCIENZE MEDICHE: METODO E FONDAMENTI
Salute e malattia, di Giovanni Federspil, Pierdaniele Giaretta e Nadia Oprandi
La medicina scientifica, di Stefano Canali
Forme di ragionamento e valutazione delle ipotesi nelle scienze mediche, di Roberto Festa, Vincenzo Crupi e Pierdaniele Giaretta
Generalizzazioni scientifiche e trail clinici, di Raffaella Campaner e Andrea Cavanna
Spiegazioni e cause in medicina, di Margherita Benzi e Raffaella Campaner
Funzioni, meccanismi e livelli, di Massimo Marraffa
PARTE SECONDA. LA CLINICA E IL METODO
La metodologia in medicina, di Cesare Scandellari
La questione del singolo caso clinico, di Carlo Gabbani
Diagnosi, di Giovanni Federspil
La decisione nella medicina clinica, di Vincenzo Crupi e Roberto Festa
L’errore in medicina, di Giacomo Delvecchio e Paolo Cherubini
PARTE TERZA. LA MALATTIA MENTALE: EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA
Il concetto di malattia mentale, di Alfredo Civita
Storia e criteri dei paradigmi nosografici, di Massimiliano Aragona
Patologia della coscienza e identità personale, di Cristina Meini e Michele Di Francesco
PARTE QUARTA. MEDICINA, DIRITTO ED ETICA
La deontologia professionale del medico, di Mario Ricciardi
La responsabilità del medico, di Luca Pelliccioli e Maddalena Rabitti
Etica ed esercizio della medicina, di Sergio Filippo Magni e Armando Massarenti
Bibliografia
Indice dei nomi


Il curatore

Alessandro Pagnini insegna Storia della filosofia contemporanea all’Università di Firenze. È fellow del Center for Philosophy of Science di Pittsburgh, direttore del Centro fiorentino di storia e filosofia della scienza, membro fondatore della Società italiana di storia, filosofia e studi sociali della biologia e della medicina. È editor della rivista “Medicina & storia” e fa parte del comitato scientifico della rivista di Medical Humanities “L’arco di Giano”. È stato per otto anni membro del Comitato Regionale Toscano di Bioetica. Collabora all’inserto domenicale del “Sole 24 Ore”.

9 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Quel che il recensore dice a proposito del testo riportato in virgolette a inizio recensione, "dichiarazione programmatica" è senza dubbio vero ma non è abbastanza; infatti affinché la definizione di A. Pagnini abbia davvero un senso bisogna criticarne la espressione, datoché lo studio della medicina può essere studio di scienze, lo studio medico può essere anche uno studio scientifico, ma assolutamente la medicina non può mai esser scienza; perché la applicazione di una tecnica o di un metodo di tipo tecnico non è applicazione di scienza, bensì questa può essere favorevole affinché si possa applicar tecnica o metodo analogo.
La filosofia non ha a che fare con la medicina solo per la possibilità e realtà di una medicina filosofica, ma anche perché può ispirare le scienze utili per la medicina o può esserne rigorosa insostituibile interpretazione; ma va pur detto che i rapporti tra medicina e filosofia posson essere anche altri e vari.
...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

A cosa potrebbe servire affermazione dimidiata ed espressione distorta su studio della medicina e studio delle scienze?
Faccio un esempio di affermazione possibile ed attratta: sarebbe utile dire, a custode che pensa del proprietario nome sbagliato, un nome non vero di stesso proprietario, quello inteso dal custode, affinché non gli sia impedito uso di sua proprietà... Analogalmente se parte vasta di ambienti medici versano in condizioni di subculturalità, potrebbe esser utile enunciare verità in forme espressive subculturali...
Però le situazioni non sono state semplici, con le facoltà di medicina a numero chiuso e criteri di selezione non veramente legittimi cioè inottemperanti a principi costituzionali dello Stato, tanto che a provvedere futuro diverso il Governo italiano lo ha fatto ultimamente ma anche per necessità giudiziaria (è iniziato già questo futuro?... se no, lo dovrà al più presto); allora si consideri l'esempio da me addotto non casuale e tutt'altro che lieve.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Eppure altro assolutamente va detto! Esiste anche la controparte violenta della realtà subculturale in medicina, quella che non pratica tutte le distinzioni, per ignoranza e distrazione ma nei casi peggiori per mancanza di vitalità nel fare stesso, peggio ancora essendone la frangia direttamente violenta, che sostituisce alla preparazione scientifica l'esperimento contro la vita, sostenuta da chi in settore sanitario e professionale non distingue tra scienze sperimentali quali fisica e chimica e scienze basate su solo esperire quali psicologia e fisiologia. Le indistinzioni tra tecnica e scienze sono causa di errori sugli usi tecnici o tecnologici aggiunti, non medici ma di utilità per attuare quelli medici; e questo, per esempio, lo si nota anche dalla insistenza da parte di molti sedicenti operatori sanitari oppure medici a ritenere che esistano solo ecografie con scopo di servizio ad attività mediche... invece esistono, faccio adesso controesempio pertinente, anche le ecografie marine, che servono a studiare ambienti diversi non terrestri appunto marini...
Allora in tanta confusione e scorrettezza anche verbale, si trovano purtroppo postulati di fatto inservibili ed irreali, quali quello — nefasto! — sulla presunta impotenza di studio medico improntato a studio scientifico a costruire una medicina per malattie mentali, in verità impotenza solo presunta e non reale perché esiste psicologia scientifica cui psichiatria può e dovrebbe e deve far riferimento. Di fatto i pregiudizi a riguardo son di tanti e son troppi: si vorrebbe, da parte di ambienti intrusi e violenti: negare linguaggio psicologico fingendo che esista sola materialità non anche energia, confondere manifestazioni di capacità per dati ottenuti con scienze, confonder psicologia scientifica con l'assistere a manifestazioni di capacità mentali, confondere la psiche, che studiano gli psicologi, per capacità mentali fingendo che la psicologia sia una mnemotecnica e che gli psicologi siano dei grandi autorealizzatori e realizzatori di mnemotecniche, costringendo chiunque psicologo, professionista o consulente o referente che sia, a prove di memoria attuate con costrizioni, sottrazioni, distrazioni; e se lo psicologo si occupa del fenomeno della violenza, ecco che le prove sono mortali od esiziali!... E tali prove, gravi e men gravi, sono attuate da innumerevole gente, per cui comprar cibo, vestiario ed altro diventa difficile, arduo o, in casi estremi, eroico. (Ho fatto altro esempio ed anche assai grande!) Da queste moltitudini giunsero, son giunte, giungono interdizioni a giuste espressioni, anche stesse intrusioni ed intrusi in ambienti professionali, di mestiere, comunicativi; e come in antica Roma esistevano legittimamente i Tribuni, cosi nelle Sanità occidentali e non solo occidentali esiste ma illeggittimamente (ovvio!) la malasanità, che imperversa e che è causa di guai anche ai danni di acculturazioni e valori culturali, creando fitte schiere di fraintenditori anche pericolosi.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Tra i fraintendimenti verbali più diffusi e disastrosi quelli su termini di ampio uso filosofico, quali: 'estetica', confusa per studio di cambi di connotati; e cosmesi, non intesa quale semplice riordinamento di aspetto fisico e confusa per trucco e finzione teatrale... Ed a ciò, a molto altro pure, soprattutto ad errori su terminologia greca di stesso uso ed appartenenza linguistica italiana, corrispondono immani violenze contro manifestazioni fisiche e contro molto altro, fino all'estremo dell'errore sulla eutanasia, confusa per presunto permesso da parte di moribondo non morente a subire aggressione violenta di veleni od altro per essere ucciso senza averne tutta accortezza... Infatti a guidare la scellerata schiera di inetti e fraintenditori sono i fautori di segregazioni e costrizioni, che non badano alla condizione della malattia mentale, consistente appunto in limitazione non in errore del malato, e che non badano a tossicità di ambienti quando si voglion illudere di proteggersi e proteggere da contagi, fino a non distinguer persone da sporcizie né da veleni.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Per cominciare a districarsi negli eventi ed accadimenti di sanità e malasanità, si considerino fenomeni psicofisici di ubriachezze, di alterazioni da droghe, senza escluderne tabagismo; e si consideri la puntuale volontaria distrazione, secolare ed in certi casi millenaria, praticata in certi ambienti sociali con alcol e droghe ed effetti e coinvolgimenti diretti o relativi; e si noti che la medicina non è fatta per aiutare chi in bisogno e tantomeno chi senza bisogno a vivere con alcol e droghe ed altre analoghe sostanze psicoattive e che la diberata insistenza a non sapere, non capire, non avvertirsi, di effetti e conseguenze di tali sostanze, è atto non istintivo cioè nella fattispecie atto di intento suicida e che la medicina non serve ad evitar suicidi e la terapia potrebbe aiutare ad evitarne ma potrebbe anche servire a realizzarli. Difatti i problemi attuali e più gravi di esistenza di vera medicina e di possibilità di vera espressione di medicina dipendono da intenzioni ed azioni di autoannientamenti di masse di individui vari anche per ruoli e non intenzionati a restar senza coinvolger anche altri.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In mio messaggio precedente 'diberata' sta per: deliberata.

Allego intero testo corretto:

*
Per cominciare a districarsi negli eventi ed accadimenti di sanità e malasanità, si considerino fenomeni psicofisici di ubriachezze, di alterazioni da droghe, senza escluderne tabagismo; e si consideri la puntuale volontaria distrazione, secolare ed in certi casi millenaria, praticata in certi ambienti sociali con alcol e droghe ed effetti e coinvolgimenti diretti o relativi; e si noti che la medicina non è fatta per aiutare chi in bisogno e tantomeno chi senza bisogno a vivere con alcol e droghe ed altre analoghe sostanze psicoattive e che la deliberata insistenza a non sapere, non capire, non avvertirsi, di effetti e conseguenze di tali sostanze, è atto non istintivo cioè nella fattispecie atto di intento suicida e che la medicina non serve ad evitar suicidi e la terapia potrebbe aiutare ad evitarne ma potrebbe anche servire a realizzarli. Difatti i problemi attuali e più gravi di esistenza di vera medicina e di possibilità di vera espressione di medicina dipendono da intenzioni ed azioni di autoannientamenti di masse di individui vari anche per ruoli e non intenzionati a restar senza coinvolger anche altri.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In mio messaggio precedente 'diberata' sta per: deliberata.

Allego intero testo corretto:

*
Per cominciare a districarsi negli eventi ed accadimenti di sanità e malasanità, si considerino fenomeni psicofisici di ubriachezze, di alterazioni da droghe, senza escluderne tabagismo; e si consideri la puntuale volontaria distrazione, secolare ed in certi casi millenaria, praticata in certi ambienti sociali con alcol e droghe ed effetti e coinvolgimenti diretti o relativi; e si noti che la medicina non è fatta per aiutare chi in bisogno e tantomeno chi senza bisogno a vivere con alcol e droghe ed altre analoghe sostanze psicoattive e che la deliberata insistenza a non sapere, non capire, non avvertirsi, di effetti e conseguenze di tali sostanze, è atto non istintivo cioè nella fattispecie atto di intento suicida e che la medicina non serve ad evitar suicidi e la terapia potrebbe aiutare ad evitarne ma potrebbe anche servire a realizzarli. Difatti i problemi attuali e più gravi di esistenza di vera medicina e di possibilità di vera espressione di medicina dipendono da intenzioni ed azioni di autoannientamenti di masse di individui vari anche per ruoli e non intenzionati a restar senza coinvolger anche altri.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Sono dispiaciuto dell'inconveniente di scrittura, che purtroppo dipende da noie non solo a me arrecate delittuosamente da altri e durate tanto tempo e reiterate e necessitantimi altre urgenti attenzioni alternative e cui non ho voluto opporre maggior impegno per mio filosofico senso del limite ed istintiva mia saggezza, anche perché Internet non è una libreria, allora basti reinvio cui ho già provveduto.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ritengo opportuno, avendo detto di altri rapporti tra filosofia e medicina, riportare anche pensiero di filosofia spicciola (esiste "psicologia del senso comune", esiste pure "filosofia spicciola"):

al sedicente psichiatra, innamorato di errori altrui che neppure pazienti sono, appassionato di tante distrazioni circa ambienti volontariamente continuatamente sfavorevoli, che volesse impedir difesa personale sostenendo virtù serafica di narcotici, cosa verbalmente gli si potrebbe opporre? Si potrebbe far notare che prima di addormentarsi chi ostile potrebbe cercar di cadere sul proprio nemico per tentar di soffocarlo...

Tanta la invadenza della malasanità, che esempi uguali a questi di filosofia spicciola (sembrano a volte mancare, invece per ciascuna non arbitrarietà di vita corrisponde arbitrarietà restante di vita, questa è affermazione di filosofia niente affatto spicciola) risultano assai utili purtroppo necessari.

Si consideri tal fatto:
risulta che alcune indicazioni usate in ambienti sanitari su alcuni farmaci (che io sappia anche direttamente introdotte in confezioni) erano, né risulta che siano state ovunque vietate, basate su affermazioni di pratica di convincimenti e su linguaggio per tutt'altro adatto e non a medicina inerente neanche pertinente, per esempio adatto nell'autodisciplina, quando bisogna render certa ed efficace propria volontà...
È evidente che le sostanze psicoattive e dunque anche gli psicofarmaci non possono essere usate per fortificare volontà, nel senso che concentrando o disconcentrando energie sono sempre limitanti ad uso più o maggiormente attivo di tutte proprie facoltà psichiche, qualunque esse siano!
Ma alcuni di malasanità le altrui reazioni vincenti ad opposizioni le confondevano ed ancora le confondono con azioni di stesse opposizioni, dimenticando che annullare una opposizione è un impegno e dispendio di energie... E costoro, cattivi sanitari spesso sedicenti medici in attività, insistevano ed ancora insistono ad usar o far usar, anche senza accordo o con diretta costrizione, psicofarmaci o peggio a praticare o far praticare intrusioni fisiche violente anche dentro il corpo, perché timorosi essi stessi, oppure obbedienti a chi timoroso, di forti volontà e grandi capacità di opposizioni; queste capacità dalla malasanità, invece che comprese quali umane capacità per vita di umanità se non di particolari umani, confuse per ambizioni criminali...
Da questi errori e torti gli Stati, le società e vitali convivenze, devono difendersi o sottrarsi al più presto e non si deve pretender sopportazione e giustificazione, troppo ingrate per chiunque e specialmente per chi era di altro mondo culturale e civile e naturale che non aveva né ha né mai potrebbe avere evenienze così (anche io che scrivo questo messaggio sono di questo altro mondo) e che non potrebbe voler mutarsi in ciò, perché in esso la istintualità è già avvertita e non ha senso per esso voler debolezze e rischi su cura di sé e sanità.
Invece per strade e altrove imperversano malvagi teatranti che fingono che scritture siano segni diretti e che segni diretti siano solo indizi e che tentano di calunniare ed avversare chi ben agisce fingendo che azioni mancate siano eccessi; ma bisogna assolutamente capire che è necessario difendersi da questi pessimi e con prepotenza intromessi teatri, fatti anche di pessimi sfondi sonori o non solo sonori collettivi e purtroppo anche fatti di altro e di peggio, tentando anche di far o far realizzare falsa burocrazia.

MAURO PASTORE