venerdì 19 settembre 2014

Bazzani, Fabio, Vitale, Sergio, Lanfredini, Roberta (a cura di), La verità in scrittura

Firenze, Clinamen, 2013, pp. 146, euro 17, ISBN 978-88-8410-196-9.

Recensione di Massimiliano Chiari - 22/12/2013

L’opera è il frutto di un’iniziativa seminariale promossa da alcuni docenti del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze. Se da un lato l’obiettivo principale del seminario era quello di dare avvio ad una riflessione sistematica sulla scrittura filosofica, dall’altro i contributi contenuti nel testo in esame si spingono ben oltre, andando a lambire i rapporti profondi che intercorrono tra la scrittura, il tema della verità (in scrittura, appunto) e l’indagine filosofica nel suo complesso, con rimandi non occasionali anche alla prassi della

 ricerca scientifica. L’opera, nello specifico, propone i contributi di nove autori (Landi, Parrini, Oneroso, Ademollo, Perrone Compagni, Erle, Mauriello, Civitarese, Handjaras) che, in ultima istanza, cercano di rispondere al seguente quesito: come si dà la verità in scrittura, ovvero, che rapporto esiste tra la verità in quanto pensata e la verità in quanta scritta? Vi è assoluta coincidenza tra le due, tra i due luoghi (pensiero e scrittura) in cui la verità si esprime? Ed ancora: rispetto alla verità del pensiero e della scrittura, come si colloca la verità dell’essere, non necessariamente esprimibile in nessuna delle due precedenti dimensioni?
E’ chiaro che le questioni sollevate vanno ben oltre le possibilità di un’iniziativa seminariale; esse rappresentano, per certi aspetti, il cuore di tutta la filosofia occidentale, in particolare della sua anima epistemologica. Vano sarebbe, quindi, pensare di individuare nel testo proposto delle risposte risolutive ed ultimative. Direi, invece, che l’opera contiene delle interessanti suggestioni, anche per quanto attiene, ad esempio, il tema della verità scientifica che, per sua natura, appartiene tutta alla dimensione della scrittura.
E proprio a questo riguardo, in un’ottica comparativa tra il tema della verità filosofica e quello della verità scientifica, si legge un’importante considerazione proprio nelle prime pagine del libro, nella premessa dei tre curatori: “[…] le verità dei filosofi non posseggono la stessa aggressività letale di altre verità, come quella di ambito scientifico, dove la sua affermazione equivale alla morte di una verità preesistente. La dinamica interna alla filosofia non fa vittime, al contrario di quanto produce il conflitto tra teorie scientifiche rivali” (p. 7); in filosofia, ritengono i curatori, non vi sono verità indiscutibilmente vincenti o indiscutibilmente perdenti, ma vi è, piuttosto, “un gioco sempre in corso di rimandi reciproci e di opposizioni” (ivi). Secondo gli scientisti, i dogmatici che fanno dei risultati della ricerca scientifica un vero e proprio idolo oggetto di venerazione, coloro ai quali la lezione epistemologica di P.K. Feyerabend non è mai giunta, secondo costoro, dicevo, questo tratto di non definitività della verità filosofica appare una debolezza, piuttosto che una ricchezza; peccato che proprio in casa loro, nell’ambito della ricerca scientifica appunto, a partire dal secolo scorso, siano stati minati – come vedremo – i fondamenti di questa granitica certezza epistemologica.
Come ha ricordato Oneroso, questa visione dogmatica è stata messa in crisi, – addirittura all’interno della matematica, cioè in una struttura di conoscenza apparentemente saldissima -, con “la formulazione, da parte di Kurt Gödel, del teorema di indecidibilità, in base al quale una proposizione assiomatica può non essere né vera né falsa, ma, appunto, indecidibile” (p. 42). Se noi andiamo ai fondamenti, alle proposizioni assiomatiche del pensiero matematico, non sempre siamo in grado di decidere, tra assiomi contrastanti, quale sia vero e quale sia falso. “Allo stato attuale, infatti, vi sono molte matematiche, più geometrie (una geometria euclidea e le geometrie non euclidee) e differenti logiche. Vi sono quindi più concezioni del tempo e dello spazio. Certamente il pensiero contemporaneo ha affermato la non certezza della verità, di qualsiasi verità” (p. 45).
Qualcosa di simile è accaduto anche nella ricerca fisica, in particolare nella meccanica quantistica. Nel 1927 Heisenberg formulò il principio di indeterminazione che governa, appunto, alcune possibilità di conoscenza a livello quantistico; egli stabilì che “in ragione del carattere intrinseco delle particelle subatomiche (i quanti) e del loro peculiare e imprevedibile comportamento dovuto alle duplici dimensioni in campo, l’ondulatorietà e la matericità, non è possibile individuare alcuna verità onnicomprensiva dal momento che le due dimensioni [posizione e velocità] sono osservabili solo separatamente, e mai simultaneamente” (ivi). In altre parole, il comportamento delle particelle subatomiche non è prevedibile, semmai può essere oggetto solamente di una probabilità statistica. Con la teoria dei quanti vengono stabiliti inquietanti rapporti tra il reale ed il possibile, “tra il non visibile e l’osservabile”, tra l’immaginario e il reale, rapporti tradizionalmente ritenuti appannaggio non certo del campo scientifico, semmai del campo filosofico-artistico-letterario” (ivi).
E’ chiaro, quindi, che alla luce di tali problematiche acquisizioni avvenute anche in campo scientifico (matematica e fisica), il tema della verità e della sua possibilità di scrittura assume un’immagine poco confortante, per nulla salda. Russel sosteneva che ciò che gli uomini vogliono veramente non è la conoscenza, ma la certezza, o meglio: delle certezze. Se le cose stanno come abbiamo mostrato, emerge che anche la non certezza della verità è una verità, con gli annessi rischi di cortocircuito che l’affermazione comporta.
Si capisce, allora, perché tra i diversi contributi raccolti nell’opera in esame si passa da quello di Parrini, il quale ci ricorda che, fin dai tempi di Aristotele, l’argomentazione dimostrativa è ritenuta la forma classica della scrittura filosofica, fino a quello di Handjaras che – con un interessante rimando tra filosofia e letteratura – ci ricorda come “la verità non è solo questione di contenuti da acquisire e registrare. La verità è soprattutto il mantenere in vista il divenire della ricerca, è il trascorrere costante tra prospettive diverse, è la difficoltà di modulare, nella comprensione, la voce del soggetto-interprete col risuonare-insieme delle altre voci”; porsi al cospetto della verità, insomma, significa affacciarsi a “questo «concerto di voci» sia filosofiche che letterarie”, significa rivolgersi a “idee, figure, passioni, contesti, situazioni, tempi, prospettive che pervengono alla loro effettività nel flusso discontinuo delle interrogazioni (o delle letture) incrociate” (p. 126).
Ademollo, invece, analizza nel suo intervento il rapporto tra Platone e la scrittura filosofica, riprendendo la classica “questione del perché Platone abbia scritto dialoghi anziché opere di genere diverso, per esempio trattati filosofici” (p. 55), spingendosi poi ad esaminare il famoso passo della VII Lettera attribuita all’allievo di Socrate che molti interrogativi ha suscitato tra gli storici: “sulle questioni filosofiche più importanti, quelle «alle quali mi interesso seriamente» (341c1), «non c’è alcun mio scritto, né mai potrà esserci» (c3-4)” (p.66). Il riferimento alle cosiddette “dottrine non scritte” di Platone, introduce idealmente al contributo della Compagni la quale mostra come in epoca rinascimentale uno dei luoghi della verità di maggior successo sia divenuto il corpus non omogeneo di alcune opere esoteriche: nel tardo ‘400 si afferma “la volontà di riunire disparate tradizioni dell’antichità (Platone, Orfeo, i Dicta Magica di Zoroastro, Ermete Trismegisto, gli Oracula Sybillina, la tradizione della cabbala ebraica)” (p. 74), nella salda convinzione che le verità più profonde siano, debbano rimanere, celate in un “parlare velato” (p. 73) non accessibile ai più. Anche in questo caso, quindi, si mostra chiaramente il rapporto tra la verità e la scrittura o, sarebbe il caso di dire, della verità nascosta nella scrittura.
Giorgio Erle ci offre una riflessione sull’esperienza vocale letta alla luce di un’espressione (l’uomo come “macchina parlante”) utilizzata da Kant nella Metafisica dei Costumi, mostrando come “la voce dell’essere umano che dichiara non soltanto oggettivamente , ma anche soggettivamente […], quella voce ci dice che non siamo solo meccanismo, che non siamo automi spirituali, che non siamo marionette. La voce testimonia l’unità vivente dell’uomo fenomenico e dell’uomo noumenico” (p. 93), come a rimarcare l’esistenza di un altro luogo autentico della verità, quello della voce, dell’intenzionalità, oltre a quello più filosoficamente classico della scrittura.
Mauriello ci conduce, attraverso l’esempio di Kierkegaard, al punto di incontro più stretto tra verità e scrittura, giungendo a sostenere che per il filosofo di Copenaghen “verità nella scrittura e verità come scrittura hanno coinciso, poiché la scrittura non è stata solo lo strumento della verità, ma la sua più autentica sede, il suo spazio di manifestazione” (p. 99).
A quest’ultimo riguardo, mi sia concessa una (solo apparente) digressione: nel 1982 W.J. Ong pubblicava un saggio molto interessante, “Orality and literacy. The technologizing of the word” (trad. it., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, 1986), con il quale venivano studiate le modificazioni e le trasformazioni legate al crescere dell’uso della parola scritta nella storia del pensiero occidentale. In altre parole, Ong esaminò – anche avvalendosi di studi antropologici – come si modificava la capacità di pensare degli uomini a seguito del passaggio da una cultura prettamente orale (“comunità senza scrittura”) ad una cultura chirografica (caratterizzata dalla presenza di scrittura). Egli scoprì, ad esempio, che “il pensiero analitico […] non può essere comunicato, e neppure pensato, in una cultura che non conosca la scrittura alfabetica: le culture ad oralità primaria […] non hanno filosofia” (p. 8) e, aggiungerei, non hanno neppure scienza. Con queste precise parole si esprimeva W.J. Ong: “Differenze di fondo sono state scoperte in anni recenti tra i modi della conoscenza e dell’espressione verbale nelle culture ad oralità primaria, vale a dire culture senza scrittura, e quelli delle culture profondamente influenzate dall’uso della stessa. Con sorprendenti implicazioni: molti dei tratti per noi ovvi del pensiero e dell’espressione letteraria, filosofica e scientifica, nonché della comunicazione orale tra alfabetizzati, non sono dell’uomo in quanto tale, ma derivano dalle risorse che la tecnologia della scrittura mette a disposizione della coscienza umana” (p. 19). Paradigmatico è il caso degli studi compiuti da A.R. Luria su illetterati e su persone a bassa alfabetizzazione nelle aree più remote dell’Uzbekistan e della Kirghizia in Unione Sovietica negli anni 1931 e 1932. Queste persone, poste di fronte al banale sillogismo: “I metalli preziosi non arrugginiscono. L’oro è un metallo prezioso. Arrugginisce o no?”, rispondevano (erroneamente) come segue: “ Arrugginiscono o no i metalli preziosi? L’oro arrugginisce o no?”, oppure, “I metalli preziosi arrugginiscono. L’oro prezioso arrugginisce” (p. 83). Cosa mostrò Luria, e Ong con lui? Che la logica (sillogistica, aristotelica), anche quella più elementare, ha una base chirografica, cioè non si dà al di fuori della cultura alfabetizzata, della scrittura.
Ebbene, se così stanno le cose, allora potremmo anche pensare di osare una modifica al titolo dell’opera che abbiamo esaminato: non più “La verità in scrittura”, ma piuttosto “La verità della scrittura”, nel senso che la verità che si esprime, si dà, si manifesta nella scrittura è una verità profondamente permeata, condizionata dalla scrittura stessa, potremmo dire: è una verità ad immagine e somiglianza della scrittura. Questo non significa, naturalmente, che fuori dalla scrittura non via sia verità, che la verità non sia dia anche nelle culture ad oralità primaria, ma si tratta di una verità altra, diversa, non riconducibile alla prima, per dirla con Kuhn si tratta di una verità incommensurabile rispetto alla verità della scrittura.


Indice

Premessa dei curatori

Paolo Landi
Il linguaggio, la scrittura e la significazione filosofica

Paolo Parrini
La scrittura filosofica

Fiorangela Oneroso
La verità elegante

Francesco Ademollo
Linguaggio della filosofia e filosofia del linguaggio in Platone

Vittoria Perrone Compagni
Parlare velato: trasmissione esoterica della verità nel Rinascimento

Giorgio Erle
Kant, la voce e la macchina parlante

Marta Mauriello
Kierkegaard. Scrivere l’esistenza

Giuseppe Civitarese
“Evidenze” di Bion e lo stile della teoria

Luciano Handjaras
Filosofia e letteratura. Il riconoscimento dell’altro e la verità dello scetticismo in Stanley Cavell

8 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Scopo diretto di quanto pubblicato, cui recensione, non sarebbe potuto, non potrebbe esser esplicato senza sapere degli altri intenti universitari, di tempi luoghi e quindi di evento particolare. Inutile analizzare, dunque, se logica possibile è incompiuta, di binomio conoscitivo A/B essendone monomio non conoscitivo /B ed allora nessuna vera analisi da interrogativo iniziale (?/B=\). Recensore ne trattava da apertura logica (?/B=?) evidentemente a partire da premesse anticonoscitive ma pretendeva più di risultanza non conoscitiva, elencando in base a dualità in realtà tratta da scienza linguistica e con implicita euristica, che se era produttiva in non intellettualizzazione consapevole, era dedotta da stessa realtà cui superare; notandosi dunque da parte di recensore assunzione di positivistico dato e riduzione di esso a positivista darsi... A che pro, se non essendo scopo universitario pubblicistico anche positivistico? Indice accluso (in recensione) mostra che in realtà oggetto cui titolo è autoriflessione filosofica; di ciò evidentemente recensore prescindeva, questo potendo esser per replicare ad ambienti studenteschi neppur in grado di distinguere tra indiretta acritica accezione di dati scientifici da diretta stessa. Senza dubbio in Italia ve ne erano, ma resta disvalore cui recensione; non però manifestativo, solo comunicativo. Difatti, recensore con sua pochezza interrompeva cerchio di non detti tutt'altro che virtuoso. Stessa recensione, d'altronde, allineata a parzialità di conoscenze scientifiche determinata da fisicalismo engelsiano, a cui non entro cui non positivismo ma critica essendo unico filosofico pensiero possibile.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore mediava totalmente euristicamente scientificità che considerava, evitandosi possibilità ermeneutica e portando a termine inderogabile conflitti di iperconcentrazioni intellettualistiche che opponevano dati a dati per tesi a tesi non euristicamente corrispondenti; ciò bloccando positivistiche illazioni, ne lasciava tuttavia di positiviste, in relativismo estremo non rispondente a tutte le datività scientifiche; in particolare recensore restava entro ideologia di Era Atomica non Post Atomica senza concepirne intera idealità... Di alternativa tra inconcludenza ex atomica e concludersi atomico, recensione ne faceva inconcludenza; cui dunque non pericoli di ignorare stesso, ma comunque cui rischi con ignorare qual altro esito non disastroso; e con mancata occasione, appunto in recensione, di confutazione di non vere tecnologie atomiche, cioè quelle di armi distruttive oppositive...
Infatti principio di indeterminazione non è possibilità non individuabile in causalità fisica ma mobilità strutturale fisica cui cause interne tutte entro mobilità medesima che è dunque retta da non determinazione in quanto 'materico semovente', cui non esistere di differenze determinanti ma di distinzioni; queste individuabili, quali tendenze oggettive materiali, di matricità vettoriali, cui vettori gravitazionali tramite equivalenze spaziotemporali entro matrici stesse; ne scrivo non solo per necessità causate da scientismo ma anche perché tal mio operato di pubblicismo riduce pericoli di tecnicità spurie. Tali ultime, furono alla base dei disastri atomici, in Giappone durante seconda guerra mondiale, altrove per manovre -illegali ovunque- intromesse in Guerra Fredda tra Est-Ovest del Mondo. Al contrario, porre in linguaggio filosofico tematiche cui anche scientismo, era — non solo per università fiorentina — risoluzione a favore di scienze e tecniche e contro chiusure scientiste; iniziativa non compresa però da recensore, che lavorava su apparenze attualistiche di pubblicazione da recensire, cui funzione possibile a volontà filosofiche però anche altra.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore si limitava a comporre quadro di termine filosofico determinista, non terminologicamente.
Invece per capire cultura scientifica contemporanea in sua effettività - realtà, devesi considerare sistemi di filosofie naturali non di cause-effetti né proprio di azioni-reazioni, bensì di tensioni-ritensioni; cui fisicamente Schelling, fisioantropogicamente Kierkegaard, morfologicamente Schopenhauer, e cui finalismo idea di base non necessariamente teleologica, questa ultima adducendo a scienze di esperire non di esperimento.
Dunque non si tratta di identificare tender fisico con finalizzazione psichica, per quanto paralleli interdisciplinari — da tempi di Jung e Pauli, M.L. von Franz e Planck, fino a odierne teoresi del caos psichico cui ordine psicologico e sino a odierne recentissime teoresi delle particelle elementari fisiche, i bosoni — ne offrano analogia di stessa realtà.
Rifiuto del finalismo qual originarietà cui originalità del causalismo, è verso oscurantismo oppure da esso. Tal rifiuto dipende da scientistica indistinzione tra metodi di scienze ed oggetti di scienze in non intender differenze tra etiologia nonché eziologia e teleologia. Etiologia in scienza ed eziologia in scienze applicate, sono specificità di settorialità, se oggettualità scientifica di fenomeni causa-effetto, ma questa mai essendo la causa-effetto di ricerca-produzione di dati scientifici. In ambienti pseudoculturali, cui determinanti presenze umane pressoché primitive e disadattati ad intera società globale, si confonde conoscere e conosciuti di scienze, non solo fisiche quantistiche; ultimamente da ambienti ipercivili in procinto di esser anticulturali si confonde intellezione-pubblicazione scientifica con ricerca-produzione di dati scientifici.
Quanto emerge comunque da recensione, è concezione a metà tra individualistica e probabilistica di scritti, che non identifica culturalmente tutta la impersonalità degli scritti in quanto materiali stessi, la quale consente indicazioni oggettivamente maggiori soggettivamente minori di realtà in comune viceversa di non in comune. Scienza linguistica ne distingue sola oggettività, scienza glottologica sola oggettualità di soggettività. Interdisciplinarità ovviamente non annulla divario ma ermeneutica filosofica ne avrebbe potuto descrivere in riferire non di quanto in comune o non, ma di quel comune e non. Ciononostante, euristica susseguente è non comprensiva di comunalità e antecedente esposta ad ulteriori positivismi se assolutizzata e separata da ermeneutica.
Scienza matematica del multiverso dava a scienza fisica relativistica ipotizzabilità cui risultanze nulle ed a fisica teoretica delle particelle elementari offriva modularità di calcoli cui distinzioni di varietà di particelle, durative e non; esito euristico non relativistico non in contraddizione a relatività fisica ma in recensione contraddittoriamente e di fatto negato. Ciò recensore faceva a causa di sua riduzione di teoria matematica di incompletezza, cui scienza matematica, ad applicazione scientifica matematica in insiemistica in particolare in 'chiusure di insiemi', mentre aritmeticamente non insiemisticamente Teorema di Incompletezza non utilizzabile ma aritmetica entro insiemistica. Riduzione fatta da recensore era da ambienti cui utilizzi di algoritmi solo informatici, non nautici anche (in astrofisica in uso anche algoritmi di tipo nautico).


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ristrettezze recensive— quanto a tematiche di riferimento— divergono da materia cui Indice accluso attesta, cioè alterità di scrittura/indicazione-di-scrittura attuata da recensore vale per scritti semplici in situazioni semplici non appartenenti a semplicità naturali ma ad ipercivili o incivili; invece riconoscere alterità da scetticismo implica sospensione di riferibilità diretta non sorretta da implicita pregressa naturalità di approccio a scriver e a scritti e a scritture – anche scientifiche e tecniche.
Pubblicazione recensita si limitava riferimento a letteratura, cioè a maggior introversione dei significati; in tempi di incertezze su futuri culturali ancora caratteristicamente europei.
Abbinarsi di recensione dava possibilità di farsi una idea, non recensione!, di catastroficità di fine culturale europea fino a fine tragica di Età della Tecnica in mondi politici.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In recensione son citate dottrine non scritte di Platone. Di esse cultura classica era a conoscenza ma questa in Età dei Lumi accantonata in vasti ambienti culturali; in questi di esse nozioni son state reintrodotte, in Italia con operato di G. Reale; cui utilità sarebbe anche di contribuire a dialoghi culturali tra alterità ma a tuttoggi non tanto più italiane però assai europee... In stessa recensione, stata citata anche affermazione cui originarietà di Platone allievo di Socrate uomo in condizioni di comunicabilità parziali a causa di situazione di estremi inganni collettivi cui altro non opposto dire era necessario a scrivere.
Di limiti scritturali da raggiungere ancora, era invece etica impartita da tiranno Dionisio, in tal caso anche dittatore (non costrittore!), a Platone che ne aveva avuto incontro e che dava integrazioni scritte; le quali son anche in riferimenti di studio di G. Reale ma oggetto di codesti ultimi la distinzione tra integrazioni ed integrati stessi nelle implicazioni relative.


Ciò che recensore incontrava recensendo, costituiva alterità più radicale di quel da recensore stesso pensato ma che costui non ometteva, estremizzando assunti engelsiani fino a esporne alogicità ma non ragioni oppositive antioccidentali; cui forza terminando da sola dopo conversione post ex sovietica. Per tale antioccidentalità, engelsiana, in terminare non finire in sé stessa, era accentrare evento filosofico occidentale in suo divenire esistentivo, non in accettarne; da ciò sensatezze di riferire recensivo ad evento essenziale occidentale cui euristico confinamento era di non esistentività occidentale; tanto che limiti di realtà generale in filosofare naturale, cui intellegibili singolarità esistentive, non comprese in recensione e così che escluso in recensione il finalismo prescientifico e scienza di dopo di esso solo annoverata non definita veramente da recensore (ne ho spiegato in invii precedenti). A non rendere tali lacune recensive distruttive antifilosoficamente, proprio citazioni da antichità platoniche ovvero accluse da recensore, che di fatto hanno funzione di favorevole aporia che limita escursioni logiche non ragionative, però cui testo di recensione stessa non esclude.

Sopravvivere di cultura platonica non era, non è da Engels né engelsiani né da engelsismo, anzi ne fu e ne è —fino alla fine residua della forza di contrarietà con Engels posta in campo intellettuale— con difesa dagli attacchi mossi da essi.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Episodio di ricerche circa culturalità in Uzbekistan e Kirghizia erano con risultati di in certo sensoil apparente ignoranza e reale non ignoranza.

Domande eran poste ad istanze di dubitosità che interrogati in parte non comprendevano in altra parte intendevano meglio di interroganti.

Fisicalismo engelsiano marxista era improntato a meccanicismo omologo non coincidente a scientifico e peraltro limitato a situazioni limitate di ulteriori limiti eurasiatici.
Dopo che scienziati chimici già avevano studiato mutamenti atomici di elementi chimici in altri elementi chimici, dopo che applicazione scientifica chimica susseguente aveva spiegato chimica dei pezzi di ori diversi, in pratica arrugginiti senza decadimento qualitativo possibile, scienziati fisici in Germania erano alle prese con la scissione atomica, già notata e spiegata da scienza chimica, e cui scienza fisica volta a studiare fenomeni distruttivi, di cui non producibilità tecnica scientifica dimostravano scienziati e tecnici tedeschi in Germania, ma Hitler tentando e ritenendo tecniche spurie; e costruzioni tecnicistiche di ordigni distruttivi in quasi realizzarsi, evitatene da ritardi volontari dei ricercatori in particolare da quelli di Heisenberg e poi con intervento militare contro regime nazista — ma disastro antitecnologico accadeva poi in Stati Uniti d'America, peraltro in territorio non direttamente politicamente conosciuto, dove sperimentazioni; cui Einstein partecipava senza ritenere alcuna realizzabilità, cui Fermi aveva avviato per mostrare altre realizzabilità; ma cui accadere differenti ed altrui, cioè interventi per successi non da tecnica con scienza dipendenti. Da rapporti resi noti indirettamente, risultò... non senza aver dovuto notare interventi criminali inibitivi contro comunicazioni politiche e tecniche commessi da malasanità intromesso... si evince cioè che proprio tutto quanto accaduto corrispondeva a giocosità, forse (o non forse) solo indiretta, con far accadere a posti, di non aggressiva animalità rettiliana non al fine desiderato da questa perché oggetti di umani in alcunché di sorprendente marittimi ed inetti a farsi manipolare da rettili di deserti (deserto di Los Alamos, America)...
(!) Molto prima di termine di questi fatti, potere restante bolscevico in Unione Sovietica avversava impieghi di eventuali possibili armi atomiche, mentre Stalin e stalinisti ne ricercavano. In tal accadimenti, studiosi furono posti a contatto con persone di luoghi cui giurisdizione sovietica solo limitata a diplomazia ma che regime di "Stalin" tentava di volgere a coloniale. A render obbligato l'incontro, stessa comunità cui delegati da incontrare, i quali già avevano denunciato e minacciato stesso regime e con esso tutti gli altri in stessa imprudenza e violenza. Delegati a domanda rispondevano con domanda che significava affermare di ignoranza dei domandanti, ma cui regime dava nota sbagliata, di "errore", non vero; delegati a domanda ulteriore rispondevano con riferimento pratico a realtà evidente in situazioni non a tutti o a pochi note — in Europa assai note durante Medio Evo, in Impero Carolingio. In Russia mutamenti di materiali preziosi che di proprietà di regime di Zar, non di Zar, quindi non più individuati, in luoghi e eventi climatici terribili e diversi; e ricerca era mossa già da stesso Zar Nicola II, dopo che accusato di esporre Stato a sottrazioni. In Russia Sovietica già venuti a risoluzione, quando regime di "Stalin" ne negava per ignoranza, da procedure fisicaliste non fisiche. Intervistati non avevano risposto solo con dire di conoscenze, ma pure con porre al bando ignoranza di regime di "Stalin", cui venuti a contatto; dacché iniziava fase politica antistalinista di 'non relazioni a regime di cosiddetto "Stalin" ', bando cui Stalingrado esclusa di fatto e giustamente ma non sempre verbalmente essendone stato possibile menzione. Tal bando riemerse ancora attivo ed effettivo in U.R.S.S. durante i decentramenti amministrativi breznieviani.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In messaggio precedente

'sensoil'

Sta per

senso .

Reinvierò anche con emendamenti e miglioramenti.

(Inconveniente dipeso da campi elettromagnetici da porto non lontano e da segnali di anomalie da sito — assieme a brighe, dai pressi di dove io, attuate da criminali che reagiscono a guai volendone dare di più e fingendosi serietà — — dunque preferendo io eventualità di invio-reinvio. )


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

+
Ricerche su culturalità in Uzbekistan e Kirghizia erano con risultati di in certo senso apparente ignoranza e reale non ignoranza.
Domande eran poste ad istanze di dubitosità che interrogati in parte non comprendevano in altra parte intendevano meglio di interroganti.
Fisicalismo engelsiano marxista era improntato a meccanicismo omologo non coincidente a scientifico e peraltro limitato a situazioni limitate di ulteriori limiti eurasiatici.
Dopo che scienziati chimici già avevano studiato mutamenti atomici di elementi chimici in altri elementi chimici, dopo che applicazione scientifica chimica susseguente aveva spiegato chimica dei pezzi di ori diversi, in pratica arrugginiti senza decadimento qualitativo possibile, scienziati fisici in Germania erano alle prese con la scissione atomica, già notata e spiegata da scienza chimica, e cui scienza fisica volta a studiare fenomeni distruttivi, di cui non producibilità tecnica scientifica dimostravano scienziati e tecnici tedeschi in Germania, ma Hitler tentando tecniche spurie e accreditandone; e costruzioni tecnicistiche di ordigni distruttivi in quasi realizzarsi, evitatene da ritardi volontari dei ricercatori in particolare da quelli di Heisenberg e poi con intervento militare contro regime nazista — ma disastro antitecnologico accadeva poi in Stati Uniti d'America, peraltro in territorio non direttamente politicamente conosciuto, dove sperimentazioni; cui Einstein partecipava senza ritenere alcuna realizzabilità, cui Fermi aveva avviato per mostrare altre realizzabilità; ma cui accadere differenti ed altrui, cioè interventi per successi non da tecnica con scienza dipendenti. Da rapporti resi noti indirettamente, risultò... non senza aver dovuto notare interventi criminali inibitivi contro comunicazioni politiche e tecniche commessi da malasanità, intromessa con altro... si evinse che proprio tutto quanto accaduto corrispondeva a giocosità, forse (o non forse) solo indiretta con far accadere a posti, di non aggressiva animalità rettiliana non al fine desiderato da questa perché oggetti di umani in alcunché di sorprendente marittimi ed inetti a farsi manipolare da rettili di deserti (deserto di Los Alamos, America)...
(!) Molto prima di termine di questi fatti, potere restante bolscevico in Unione Sovietica avversava impieghi di eventuali possibili armi atomiche, mentre "Stalin e stalinisti" ne ricercavano. In tal accadimenti, studiosi furono posti a contatto con persone di luoghi cui giurisdizione sovietica solo limitata a diplomazia ma che regime di "Stalin" tentava di volgere a coloniale. A render obbligato l'incontro, stessa comunità cui delegati da incontrare, i quali già avevano denunciato e minacciato stesso regime e con esso tutti gli altri in stessa imprudenza e violenza. Delegati a domanda rispondevano con domanda che significava affermare di ignoranza dei domandanti, ma cui regime dava nota sbagliata, di "errore", non vero; delegati a domanda ulteriore rispondevano con riferimento pratico a realtà evidente in situazioni non a tutti o a pochi note — in Europa assai note durante Medio Evo, in Impero Carolingio. In Russia mutamenti di materiali preziosi che di proprietà di regime di Zar, non di Zar, quindi non più individuati, in luoghi e eventi climatici terribili e diversi; e ricerca era mossa già da stesso Zar Nicola II, dopo che accusato di esporre Stato a sottrazioni. In Russia Sovietica già venuti a risoluzione, quando regime di "Stalin" ne negava per ignoranza, da procedure fisicaliste non fisiche.
Intervistati non avevano risposto solo con dire di conoscenze, ma pure con porre al bando ignoranza di regime di "Stalin", cui venuti a contatto; dacché iniziava fase politica antistalinista di 'non relazioni a regime di cosiddetto "Stalin" ', bando cui Stalingrado esclusa di fatto e giustamente ma non sempre verbalmente essendone stato possibile menzione. Tal bando riemerse ancora attivo ed effettivo in U.R.S.S. durante i decentramenti amministrativi breznieviani.


MAURO PASTORE