lunedì 13 gennaio 2014

Messinese, Leonardo, Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia

Bari, Dedalo, 2013, pp. 160,  euro 16, ISBN 978-88-220-5389-3.

Recensione di Gaetano Vena - 05/10/2013

Con questo libro Leonardo Messinese, docente di Storia della filosofia moderna presso l'Università Lateranense di Roma, continua la sua analisi della teoresi di Emanuele Severino, alla quale ha già dedicato i volumi: L’apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla ‘struttura originaria’ del sapere (Mimesis, 2008) e Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele Severino (ETS, 2010). Lo studio che Messinese presenta al lettore si prefigge di fornire un quadro globale della riflessione condotta dal pensatore bresciano, 

raccordando due aspetti del suo pensiero fino ad ora studiati separatamente dagli esegeti della sua opera: la riflessione sul destino dell'Occidente, la cui vicenda è segnata dal nichilismo conseguente dall'oblio del senso dell'essere, e l'analisi delle tendenze attuali della cultura contemporanea, dominata da quello che Severino chiama “Apparato scientifico-tecnologico”, la cui episteme caratterizza l'intero orizzonte noetico della nostra epoca. Secondo Messinese, essendo la matrice culturale di entrambe le linee di riflessione la medesima, esse possono essere comprese fino in fondo solo tenendo conto del loro intreccio. Nel corso del suo libro Messinese ricostruisce quindi la storia di questo intreccio, prendendo le mosse dagli esordi dell'allora giovane filosofo, che lo vedono seguace del magistero di Gustavo Bontadini, esponente di punta della filosofia neoscolastica, con il quale si era laureato presso l’Università di Pavia, e che aveva poi seguito presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si era insediato prima sulla cattedra di Filosofia morale e poi su quella di Filosofia teoretica. Il Severino di questo periodo assorbe dal maestro l’aspirazione ad edificare una filosofia dell’essere, che si opponga al soggettivismo immanentistico di cui soffre gran parte della filosofia contemporanea (il cui prototipo è rappresentato dalle filosofie idealistiche), il quale conduce a quella concezione ‘fenomenistica’ della conoscenza e dell’etica che costituisce lo stigma più profondo della cultura moderna. Il giovane Severino, sulle orme del maestro, vorrebbe invece reiterare l’isomorfismo tra pensiero e realtà che secondo lui permeava il pensiero greco antico – inteso come un corpo dottrinale fondamentalmente unitario, culminante nelle figure di Platone e di Aristotele – la cui migliore eredità sarebbe stata raccolta dalla teologia scolastica, dando vita a quella che egli chiama la “metafisica classica”. Lo scritto più rilevante di questa prima fase è La struttura originaria (1958), nel quale l’autore si interroga sulla “struttura della verità nella sua dimensione più universale (tale, cioè, da valere per ogni affermazione che ambisca alla incontrovertibilità)” (p. 26): già qui viene alla luce quella che sarà la preoccupazione teoretica costante di Severino, ossia la ricerca di una “verità incontrovertibile, assoluta, definitiva” (p. 18), unico punto di partenza possibile per la costruzione di una conoscenza che non voglia porre le basi per il proprio superamento. Il libro è importante anche perché in esso compare per la prima volta la “tesi dell’immutabilità dell’essere relativa ad ogni essente” (p. 26), all’interno della cui prospettiva il divenire rimanda ad una aristotelica causa indiveniente che ne giustifichi la posizione (causa identificabile con la divinità trascendente di cui parla la tradizione cristiana). Con il successivo Studi di filosofia della prassi (1962) emergono le prime frizioni del filosofo rispetto all’ateneo nel quale insegna, perché il teologo Carlo Colombo giudica pericolose alcune tesi sostenute nel volume, valutandole poco collimanti con il magistero ecclesiastico (p. 27). Se in quella occasione la polemica si stempera grazie soprattutto all’intervento di monsignor Francesco Olgiati, grande estimatore di Severino, con la pubblicazione del saggio Ritornare a Parmenide (1964) viene alla luce un dissidio insanabile tra il filosofo bresciano e l’ateneo milanese. E non si tratta di una disputa ‘solo’ filosofica: Messinese riferisce del processo canonico a cui lo studioso è stato sottoposto dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, nel corso del quale le sue tesi sono state minuziosamente esaminate da un consesso di tre periti, che ne ha infine decretato l’incompatibilità con le verità di fede custodite dalla Chiesa romana (p. 34). A questo punto, preso atto da ambo le parti della gravità di una frattura incomponibile, a Severino non restò che abbandonare l’Università Cattolica per trasferirsi presso quella di Venezia (nel 1970), dove rimarrà fino alla fine della sua carriera universitaria. Ma qual era la tesi filosofica che aveva suscitato una reazione tanto eclatante? In Ritornare a Parmenide, Severino riprende la tesi dell’immutabilità dell’essere, ancorandola questa volta appunto alla prospettiva parmenidea (almeno come la interpreta lui), secondo la quale l’essere, inteso come il complesso di tutto ciò che è, non può non essere, cioè non tollera alcuna contaminazione con il suo opposto, il non essere. Tutto ciò che è, appunto è, senza distinzioni di valore o di grado. Severino asserisce quindi “la tesi dell’immutabilità di ogni ente, come ciò rispetto a cui si dovrà procedere per ogni ulteriore determinazione della verità dell’essere” (p. 78). Il maestro di Elea ha intravisto questa verità fondamentale, ma il pensiero greco successivo, invece di costruire a partire da essa, ha scelto di lasciarla cadere nell’oblio. Più precisamente, è stato Platone a concepire l’ente come qualcosa di “intermedio tra l’essere e il nulla, ovvero come ciò che oscilla tra l’uno e l’altro di questi due estremi”: ecco perché il pensiero platonico identifica l’essere con il niente (p. 82). La novità rispetto a La struttura originaria va individuata nel fatto che Severino presenta questa tesi sganciandola da ogni riferimento all’idea di una causa incausata, che funga da motore immobile. In effetti, se l’essere è una totalità olisticamente completa ed autosufficiente, ogni riferimento ad una realtà trascendente che se ne faccia garante è assurdo, poiché sarebbe già un decremento della sua perfezione. Per la cultura cattolica una impostazione di questo tipo era inaccettabile, perché non riservava alcuno spazio a quel “Dio metafisico” che costituisce l’architrave concettuale di ogni costruzione filosofico-teologica. Su questo punto, tuttavia, Messinese esprime una serie di puntualizzazioni interessanti, ponendo il dubbio che, proprio perché poco ortodosso, il pensiero di Severino possa agire da ‘lievito’ e da ‘pungolo’ per la cultura cattolica, come attesta quello che egli chiama il suo “confronto sempre vivo con il cristianesimo”, al quale dedica l’intero settimo capitolo del libro (pp. 109-121). Ma, al di là delle questioni strettamente teoriche, il vero divario tra Severino e la cultura cattolica consiste nel fatto che il suo pensiero non riconosce alcun valore particolare al kerigma cristico e di conseguenza all’istituzione che pretende di amministrarlo. Nel corso degli anni, riflettendo sul suo allontanamento dalla Cattolica, Severino preciserà con nettezza sempre maggiore che “la pronuncia di quel giudizio implica che la Chiesa si consideri depositaria non soltanto della verità soprannaturale – come essa sostiene – ma anche della verità naturale o filosofica” (p. 34), e con ciò pretendendo di giudicare la liceità di tale verità naturale; ed è precisamente questa pretesa che il filosofo considera irricevibile. Consumata la rottura con l’ateneo milanese, Severino espande il raggio d’azione della sua indagine filosofica, la cui critica investe ora l’intera civiltà dell’Occidente, le cui manifestazioni sono accomunate dall’abitare la dimensione del nichilismo, un sentiero cognitivo basato sulla fede nella realtà del divenire: da qui si origina la lunga storia dell’alienazione dell’Occidente, incominciata appunto con il pensiero greco antico e proseguita con l’avvento del cristianesimo, che radicalizza ulteriormente il nichilismo platonico. Secondo gli esegeti della rivelazione cristiana, infatti, il mondo non solo nasce, essendo creato dalla divinità, ma ha addirittura bisogno di essere salvato da essa, per essere strappato alla morsa del peccato e della consunzione: in questo modo non solo si perpetua l’oblio dell’essere, ma gli si fa raggiungere l’apoteosi. Per questo Severino afferma che “Nessun Dio ci può salvare. I Salvatori salvano dal nulla. Gli essenti – gli eterni – non hanno bisogno di essere salvati. Al di fuori della fede nel divenire e del senso alienato della salvezza, la salvezza è il tramonto della follia del divenire e dei Salvatori” (p. 98). L’Occidente, quindi, vive in una condizione patologica, perché abita una dimensione fondamentalmente inautentica, che Severino chiama “mondo”, ossia l’“orizzonte nichilistico” nel quale le cose appaiono nella dimensione del divenire. All’interno del “mondo”, l’uomo si pensa come “mortale”, cioè come un ente caduco e votato alla disfatta, mentre il suo destino sarebbe di risplendere nella “Gloria” imperitura dell’essere, una dimensione che il filosofo chiama “Gioia”. Ma proprio perché il “mondo” è qualcosa di sostanzialmente ‘sbagliato’, esso patisce una condizione di disagio continuo, figlio della fede nella realtà del divenire. Tale disagio lo porta a difendersi dall’angoscia del divenire, cioè dal terrore che ciò che è possa essere inghiottito dal nulla (dal quale in realtà proviene, secondo l’ontologia distorta del nichilismo). Per questo il “mondo” forgia di continuo dei simulacri dell’essere, che vorrebbero ambire a quella saldezza in cui può abitare solo l’essere. Ogni preteso “immutabile” prodotto dal “mondo” è quindi destinato al “tramonto”, perché è proprio la fede nel divenire che rende improponibile la presenza di una realtà che voglia affermarsi come non transeunte. Così è stato per tutte le ‘fedi’, religiose o secolari, susseguitesi nella lunga parabola dell’Occidente: la fede nel cristianesimo, nel progresso, nel liberalismo, nel comunismo, nella democrazia, nel capitalismo, nella scienza e nella tecnica, sono tutte accomunate dall’abitare il “tempo” (del “mondo”) e per questo votate al cupio dissolvi. Con l’avvento della tecno-scienza si è entrati in una fase forse ultimativa, perché, se le fedi precedenti ambivano almeno potenzialmente ad un miglioramento, per quanto illusorio, della condizione umana, la tecno-scienza, o, meglio, l’Apparato scientifico-tecnologico che la governa, non si pone nemmeno più il problema di realizzare uno scopo allotrio, al di fuori del proprio perpetuo autopotenziamento. Ma allora, giunti a questo punto, che cosa resta dell’Occidente? E, soprattutto, qual è prognosi di Severino sul suo destino? La risposta del filosofo è paradossale: si tratta semplicemente di attendere ciò che è inevitabile, cioè “il tramonto dell’Occidente”, determinato dalla sua stessa fede nella realtà del divenire. Insieme all’Occidente tramonterà infatti, né potrebbe essere altrimenti, il nichilismo di cui l’Occidente è il prodotto. Oltrepassata questa dimensione ci attende quella che Severino chiama la “terra che salva”, abitando la quale l’uomo non sarà più costretto a pensarsi come “mortale”, bensì come compartecipe della “Gloria” dell’essere. All’interno di questa prospettiva escatologica, il pensiero di Severino riveste la funzione di preparare l’attesa di tale tramonto, in modo da viverlo con serenità e consapevolezza (p. 150). Messinese guida il lettore all’interno di questo processo teoretico con grande chiarezza e sistematicità, sorretto da un indovinato piglio ‘didattico’, che ricostruisce il pensiero severiniano riducendo al minimo l’uso di tecnicismi, che sarebbero potuti risultare ostici al lettore non specialista. In ultima analisi, si può senz’altro concludere che il suo lavoro proponga un ottimo strumentario, concettuale e terminologico, per chi da ora in poi voglia imparare a confrontarsi con il pensiero del filosofo bresciano. 


Indice 

A chi si rivolge il libro
Sulla soglia
Vita e opere di un filosofo
Un pensiero all’insegna dell’eterno
Una discussione lunga quanto la storia della filosofia
La ricerca giovanile della metafisica invincibile
La clamorosa «svolta» del ritorno a Parmenide e l’inizio di un nuovo cammino
L’interrogazione appassionata e radicale sul senso della vita e della morte
Il confronto sempre vivo con il cristianesimo
La fede nel divenire, la fine della metafisica, la distruzione della tradizione occidentale
Il nichilismo contemporaneo. La risoluzione della metafisica e dell’etica nella tecnica
I «rimedi» inefficaci per l’angoscia del divenire e la Gioia
Congedo

8 commenti:

edoardo gianfagna ha detto...

La recensione è ben sviluppata, estremamente chiara ed articolata in modo convincente. Quello che mi resterà di questa lettura su una scrittura sopra un'altra scrittura (che a sua volta si rifà ad altre scritture) è il dubbio se valga sempre la pena d'acquistare e leggere libri che parlano innanzitutto e quasi soltanto di altri libri. I libri sono un mondo, è vero; e leggere libri che parlano di altri libri è come un viaggio in mondi sconosciuti: ma se di quei mondi non sappiamo ancora se siano abitati, se meritino il nostro interesse, o addirittura se esistano (e cioè, fuor di metafora: se i libri di cui gli altri libri parlano meritino di essere indagati ed esplorati con tutte le fatiche che ciò comporta) forse è bene attendere la giusta prova del tempo (e non quella del successo commerciale) e nel frattempo dedicare le proprie riflessioni a libri il cui valore non solo è provato, ma pure largamente dimenticato. Le mode, pur puntellate con acume, non cessano d'essere fatti effimeri. E i libri che si impongono alla storia del pensiero, lo fanno per forza propria; non certo per il puntello d'altri libri.

MAURO PASTORE ha detto...

Indice del libro recensito segna tematiche cui argomenti in recensione non concordi.


Nondimeno in recensione non si trova altro argomentare da quanto stesse tematiche consentirebbero; a dirimerne può esser utile appellativo di pensatore usato da recensore stesso che fa da avvertimento a lettore di recensione circa alterità di indiretto oggetto recensito di soggetto non recensito... Comparazione di titolo e indice lasciano dedurre trattazione aporetica in lavoro recensito, poiché si definiscono in titolo inderminatezze cui in indice corrispondono determinazioni; discordanza cui non concordanza in recensione a sua volta aporetica senza contraddittorità di fondo, ma cui sfondo descritto da titolo e indice non solo senza garanzie logiche ma anzi con assicurare ad altrui fondo non contraddittorio esiti contraddittori che potevanosi evitare con interrompere ma che recensore non attuava; ed infatti non ne mancano esiti contraddittori, per falsa identità non di fondo non riconosciuta da recensore di:

Assoluto-relativo/relativo-Assoluto,
Dio-della-fede/Dio-creduto
mondo/mondo-occidentale,
Gloria-dell'essere/Gioia-dell'essente .

Nondimeno —
giacché aporeticità in esposizione di autore recensito differente-
...ovvero differir-ente, 'differirente' cioé qual azione di azione non sol azione...
-da oggetto soggetto (operato, autore di esso E. Severino) contenuti
...qual -rispettivamente- riferire e riferimento...
in lavoro recensito di stesso autore (recensito) —
risultato recensito non annullato da procedere senza interrompere;
ciononostante tra lavoro recensito e recensire una scepsi, cui totalità non totalmente designificante a causa di divario costitutivo di recensire/recensito e cui recensito origine della scepsi ma non scaturigine e cui recensire non scaturigine stessa, data differenza pensatore / pensante, in indirettamente-recensito/indirettamente-recensire; e stante non scaturigine di origine di scepsi, essa dunque non da quanto recensito né da recensire, ma da condizioni del recensire... Cui contraddittorità precedute da addizioni da tradizioni distinte e non unificabili a priori:

0)
"Metafisica classica ; Metafisica teologica"
che in luogo di studi milanese dove Severino insegnava era mediata da dottrina teologica ed era nozione teologica-filosofica - non-filosofica...

1)
'Essere, parmenideo' , 'Essere, cui Parmenide'
che in recensione tròvanosi indistinti...

2)
Grecità , Grecismo
cui differire-divergere in recensione non espresso...

3)
L'Occidente , Occidente
della cui diversità ideologica-ideografica, la recensione stessa non comprensiva realmente...


Aporia - scepsi di operazione recensiva e contraddizioni risultanti sono a motivo di addizioni di nozioni diverse, di classicità non teologica e di teologia non classica, cui risultati addizioni di nozioni distinte e cui distinguere necessario ed assolutamente in succedersi (di progressione numerica).

Valutando quanto in progressione (0-3), si può denotare contesto logico - storico di ontologia - storiografia prodotte in lavori di E. Severino cui lavoro recensito (di L. Messinese) appone

A)
storiografia - ontologia,

da ragion filosofica —cioè, empiricamente, da costruzione, da soggetto, di soggetto – a

B)
ex filosofica razionalità

—ma a sua volta in schema razionale di empirici soggetto-soggetto – determinandosi in apposizione soggettualità determinabili per altra oggettivazione filosofica.


Insomma, rapporti di Messinese, soggettivi alteranti; cui recensire da sé non discerneva in forza di recepibilità di ulteriore alterazione non impeditiva: tre piani filosofici distinti, di cui uno incognito, per singola scepsi (cui esente mio commento)!


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Realtà greca cui Prof. E. Severino si era posto a intenso confronto intellettuale, è definibile eleatica, cui figura storica di Parmenide – non a caso costui detto di Elea – era ed in certo senso è, conosciuta.
Ordetto Professore, aveva non compiuto un ritorno bensì indicatolo; ed in successiva, altra!, sua prosecuzione, non era altro comando ma necessità non solo sua e non sua invenzione; tanto che suo precedente scritto "Ritornare a Parmenide" era ascrivibile a movimento filosofico di recupero del pensiero antico che era collettivo e per moventi non solo singoli e suo abbandono successivo non era seguito a recupero ma a ripetizione non originale dei motti filosofici parmenidei, cui possibile viatico allora impossibile, da prima che era non più fattibile.
...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

...
Ragione di già non fattibilità di ritornare ad antico pensiero sull'essere, era stato rifiuto di Modernità da parte di Stato Pontificio e negazione del Modernismo da parte di Clero Cattolico restato senza propria istituzione politica dal finire, in realtà improvviso, di quello Stato, ma cui era seguito Falso Stato, a causa di richieste e costrizioni fasciste cui non dinieghi e non difese clericali...
— Della grande chimera ottenutane, con accesso vasto a Cattedrale di zona di medesimo falso stato, voluto per pagana monumentalità da Benito Mussolini, aveva prevalso desiderio di cristiana repubblica poi che sconfitti già Stato italiano e tedesco dagli "Alleati", quindi costituita nuova Statalità pontificia solo con zona concessa in utilizzo ecclesiastico senza proprio territorio statale; tal concessione nominata in Costituzione di Repubblica Italiana poi senza esclusività dopo necessaria Riforma del Compromesso Storico, già in sé non attestante rapporti di Stato con Stato ma di Stato con Chiesa storicamente appartenente ad altro Stato estinto; "Vaticano" frattanto istituito da B. Mussolini non più accettato e disconosciuto da stessa Chiesa e da Stato Italiano; tal "Vaticano" quindi Nullo e non niente i crimini commessi da chi per oppure in esso. Ciononostante Direzione del Clero cattolico quasi da sùbito si arrogava integrità di proprie inesistenti passate onestà. In Europa poi altrove già da assai prima del periodo fascista stesso Clero aveva ricominciato contro diritti fondamentali umani a inquisire e subdolamente e violentemente chi contrario ad espressioni non solo comunicative di stesso Clero, le quali peraltro o irreligiose od altramente religiose e ciò risultando da modi da esso deliberati di esistere (esso stesso) e da azioni volontarie proprio da esso commesse o fatte, di cui anche: vasta complicità a delitti di dittatura fascista e complicità a crimini nazisti, indulgenza a crimini stalinisti quindi non rifiuto di essi: papa polacco qual accondiscendente o spesso accondiscendente a regime dittatoriale stalinista fu ed è stato descritto da Autorità ex belligeranti russe ex sovietiche, da Autorità di liberi sindacati polacchi e da Autorità di polizia statunitense. Da realtà clericale anche criminale era iniziata contrarietà a E. Severino, cui opposti termini di processualità non riconducibili a Statalità ecclesiastica restante cattolica che in zona vaticana con Patto di rispettare Leggi e Costituzione italiane!! Intenzioni di inquisitori furono da inquisito E. Severino ritenute motivate da volontà di difendere futuri di studi; ma concezioni culturali intellettuali di inquisitori erano contro filosofia perché non ne intendevano necessità di conoscenze non solo specifiche pure in studi teologici filosofici. Dai tempi di tal "processo" ad oggi, di Statalità vaticana ne era cominciata a finire dopo attentato di Alì Agcà (pronuncia pressappoco: alí agcià) e ne è terminata del tutto con fermo di polizia, in Svezia, a fanatici al sèguito del papa con cognome Bergoglio; di fatto e comunque Essa non sussistendo già e non potendo sussistere più, a causa di comunicati politicamente sessuofobici e di messaggi non rispettosi di libertà religiose; per Leggi italiane trasgredite o comunque ignorate da cosiddetto "... Stato... Vaticano" questo già disconosciuto per inottemperanza e non continuità possibile accettabilmente. —


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Era stata ed era esclamazione fenicia araba, poi cristica, riferita a Dio creduto non a Iddio di fede, incontraddittoria se ispirata da intendere Occidente qual umana costruzione in straordinarie circostanze; e cristiana espressione, di coloro che ne conoscevano poi o riconoscevano per vivere e vivendone:

'Dio Occidente !'

A pochi o non tanti comprensibile sùbito, mentre di altra assai diffusa, "Dio buono!", senso agli atei non immediato ed origine dai culti cui Dottrina di Mani, dopo diffusa in cristianesimo europeo e in particolare medioevale germanico.
Entrambe non originarie né originali del Cristianesimo, ma in storia vera non solo ideale e realmente poca oppur di pochi, di "Europa ossia Cristianesimo" e di "Occidente ossia Il cristianesimo" e per certa originalità cui remotissima (remota) analogia-anticipazione di cristianità in imprese fenicie, paion più originali e cui confusione tra fedi e credenze fa sembrare, senza che ne siano, esclusive...
Ma solo locali e morali cristologie ne asseverano ed altramente, forse anche a Milano durante Guerra Fredda ed altrove in Italia ed Europa, vicino o lontano da Zona Vaticana di Roma.

(...)

Tuttavia è in notare di Occidente alterità, non interezza di parzialità divisorie, l'individuarNe altro — senza altrui tragica alternativa negare.

Tutt'altro fanno!, tematiche di autore recensito.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(... :)

Di fatto filosofia antinichilista di E. Severino, ricevute molte interpretazioni soggettive antinichilistiche ma non tutte concretamente possibili se moderazione non diversificazione di destinazioni, non giungeva da cultura di occidentale dizione di Divinità Una; però non senza attinenza a culture di molteplici divinità occidentali: attraverso mitografia greca demitologizzata, demitizzata..., eredità indiretta ed in finire; ed 'intraverso' grecismo da questa restante e grecismi non di questa.
Psicologia cattolica italiana era ed è affollata da psicologie numinose cui politeismo non psicologizza oltre e cui monoteismo teologizza; e Vaticano cattolico già incline ad animismi meridionali, cui religioni più diffuse africane direttamente in forma generalmente monoteista o frammista a politeista, durante propaganda atea comunista in chiese cattoliche proposte per essere imposte, culto delle anime dei morti essendo meno inaccettabile ad antireligiosa marxista; sincronismo pagano-cristiano da Africa Nera a Brasile Coloniale, magia-esoteria, detta "Macumba", restando manifestazione ancora onesta di cattolicità mutante in cattolicismo, elogiata da preti o intellettuali ancora seri in religione e con religiosità ma culticamente incivilizzante e culturalmente indisponibile a civiltà europee, nonché ad occidentale selvatichezza o barbarie... In studi cattolici e filosofici, grecismi e grecità - viceversa in Meridione d'Italia (comunque Nord del Mondo) - erano ...tra ateismi costretti da altri tempi vitali da violenze staliniste tra moralismi ex cristiani e tra confusioni areligiose, gnostiche, agnostiche... modi di pensare divinità o a Iddio, cui Dio dei filosofi estraneo ma cui dittatorialità marxista ovunque sortiva alienità cui intellettualmente hegelismo (non ex) immune... Ma filosofia procede non per inventiva uguale ad artistica! Nella Università Cattolica di Milano prospettiva filosofica unicamente disponibile restò neoidealista, da idealista, cui Pensiero Cattolico ne aveva una propria; negata con ignorarne da Vertici Ecclesiastici. Ma neoidealista era Pensiero Cattolico a Milano e altrove in ambienti cattolici.
In dottrina metafisica idealista di Prof. G. Bontadini, Severino individuò tratti ontologici aporetici di fondo, cui pretesa clericale di lasciarne ambendo a supremazia teologica ancillare contro intero idealismo, da ex pseudo aristotelismo a pseudoantichismo ma repressione inquisitoria non impediva continuazioni: di sfondo-fondo ontico-ontologico "non nullo"; di tauto-onto-logia.
Polemiche tra i due, costruttive; sicché tautoteologie e teotautologie;
Divinità di Occidentalità, qualsifosse, non più misticamente divisa tra gnosi e agnostica: una condizione di evidenza semplice e molteplicemente manifesta, di intellettual alternativa tra essere reale o ancora essere in apparenza: tra Essere e Non Nulla, a causa di circostanze ingannevoli di falsi domini tecnici ed a motivo di evenienze occultative di vere libere e non schiavizzanti tecnocrazie, cui inganni ed occultazione rendono presenza di emergenza esiziale e se non accolta di catastroficità assoluta — ciò anche filosofo Severino comunicava.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Itinerario filosofico di Prof. E. Severino si rapportava a grecità ed a retaggio non esso stesso greco: da medesimo retaggio non esso stesso greco, Prof. (E.) Severino se ne rapportava.

Mentre Pensiero Debole in Italia si relazionava a sublime idealità di intellettuale contesa sartriana e di Sartre, diverbio anzi di-verbio tra Essere e Nulla... Tautologie di E. Severino tra Non Nulla ed Essere muovevano da impulso culturale di 'concettosa densità' di esistenzialismo positivo (non a caso due strutturismi, di N. Abbagnano e appunto di E. Severino, per correlato e corredo, avventure logiche per esistentività, per essenzialità; cui antifilosofi per un periodo avevano travisato presupposti culturali e fornitone di subculturali a intellettualoidi fascistoidi)... In entrambi i casi densità e 'sublimità' non erano analizzate e conosciute fino a codeste immediate origini. N. Abbagnano aveva descritto la condizione del non sapere oltre quella di illusione; a questa ultima solamente risoluzione essendo saggezza platonica, a quel non sapere essendo di risoluzione saggezza neoplatonica; ma in divenire culturale italiano divario accadeva tra Alternativa di Pensiero e Pensiero Alternativo, cui filosofare rispettivamente di Abbagnano e Severino; inoltre separazione accadeva tra Pensiero Non Alternativo e Non Alternativa di Pensiero, e tra ciò in divario con ciò in separazione accadendo non comunicabilità di separazione e non comunicazione di divario ((per ovviarne, anche scrivo questi messaggi, ma non solo))...

Dunque da grecismi culturali necessari a Prof. Severino, non discendeva diretta accessibilità a Pensiero Antico e indiretta non sempre consapevole e non stabilmente e poi inconsapevolmente, datoché studi di greco in Scuole e Università e di Accademie basate: su lingua morta, l'antico greco elleno; o – e solo provvisoriamente– su linguistica passata, di medioevale greco elleno bizantino; poi anche su non etimologico conoscere lingua moderna greca di attuali elleni (di Stato Greco); né quelle antecedenze, in tal caso cioè studi di Abbagnano, né potevano più ricondurre a identificarne e dopo neppure a individuarne ancora; tanto che trovasi dialogo che di fatto riesce immaginario, scritto recentemente da Severino stesso, tra 'Severino' ed ormai solo ipotetico "Parmenide"... Eventi non sradicalizzanti ma distanzianti diverse radici culturali, in opere di Severino essendo direttamente neolatina la radice culturale.

...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)

Da Essere e Non Nulla, Severino traeva aforisma che si potrebbe dire ' di "Nonnulla" '. Questa sua intellettualizzazione di non affermabilità è riconducibile a meditazione di Sartre, ma cui antecedente è "Essere e tempo" di Heidegger di cui le radici culturali: non filosofiche europee, non filosofiche...
Insomma prospettive culturali, filosofiche, dalle quali poteva restare di Parmenide solo "riflesso" storico e di Platone e di sue concezioni di essere e non essere solo menzione indiretta cui nessun contraddire realmente opponibile a diretto pensiero.

Pensiero originale di Platone sull'essere attualmente può esser recuperato, per chi senza retaggi o eredità di esso ed in necessità di esso, da esistenzialità filosofica russa, per concezioni di essa di:
tempo ed esistere, esistere e tempo, tempo esistente, esistenza del tempo.
Si può notare analizzando questa quadruplice espressione, che non è necessaria logica ontica né ontologica per razionalizzare il concetto di: | essere|. Esso infatti qual espressione sensata, esiste concretamente molteplicemente e logicamente ma non in quanto esistere di concetto a realtà corrispondente ma quale realtà non di esistere ma di esistenza, cui non solo mere fantasie anche simboli e non solo simboli anche tramiti, intellettuali non mentali. Non si tratta di restar entro non trovato da analisi linguistica né entro non cercabile da analizzare glottologico; ma di riconoscere con esatto ragionamento fattualità pura essente; e non al modo heideggeriano od husserliano, ma rappresentando razionalmente esistentività qual realtà indenotabile e giungendo ad affermare che l'esistente non è l'essere (essere qual realtà in sé stessa cioè non realtà-di-realtà) e che le due realtà: solo mentale, non mentale; non sono le uniche due, essendovi realtà di agire (mentale, non mentale) e di non agire.
Di ciò, non trovasi per... ma in ...tradizione occidentale!
però accanto a tramandare greco-italo-italico-italiano...
— Per storia, occidentale, a quest'ultimo tramandare legata, filosofia di Prof. E. Severino, non ha effettivo risultante senso; ovvero non significa, niente.


MAURO PASTORE